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Lodovico Scarfiotti. Gentleman Driver

"Corro perché mi piace". Così diceva Lodovico Scarfiotti a chi, per amore, tentava di allontanarlo dalle corse. Gentleman driver, eclettico, campione in pista, su strada e nelle cronoscalate, ultimo italiano a vincere nel 1966 il Gran Premio di Monza, quella di Scarfiotti è una storia dispersa troppo presto. Noi lo abbiamo ricordato così.
Ludovico Scarfiotti

Ci sono parole che più di altre dipingono un mondo. Definire pilota non professionista un gentleman driver è una riduzione superficiale, asettica, impersonale. In pratica tutto l’opposto di un gentleman driver che non è mai superficiale, mai asettico, mai impersonale. Il gentleman driver è un anarca jungeriano, un uomo che ha “passato il bosco” e che va oltre la consuetudine, un uomo che corre per passione e che nella corsa trova filosofia di vita. Lodovico Scarfiotti, campione eclettico e dimenticato dai più, innamorato della vita e delle macchine, era uno di loro. Come lui, tra i tanti, Giannino Marzotto e Roberto Rossellini, Steve McQueen e Paul Newman.
Se un giorno di giugno non se ne fosse andato via con la sua Porsche, il prossimo 18 ottobre Lodovico Scarfiotti, avrebbe compiuto 90 anni.
Forse troppi per un pilota e lui, forse, sapeva da sempre che 90 anni non li avrebbe mai avuti.

Una storia di famiglia

Nasce bene Lodovico Scarfiotti. Famiglia più che agiata, possidenti, industriali e anche un po’ visionari. Il nonno, Lodovico come lui, è uno dei cofondatori della Fiat, ne sarà il primo presidente e sembra che sia stato proprio lui a coinvolgere nell’impresa Giovanni Agnelli, amico personale e commilitone ufficiale di cavalleria. Nonno Lodovico scommette sul futuro dell’automobile quindi, ma guarda anche ad investimenti con solide certezze, come il cementificio che impianta a Porto Recanati, nelle Marche.
Papà Luigi è un ingegnere. Inizia presto a seguire il cementificio di famiglia, ma non trascura le sue passioni: la politica e le automobili. Deputato del Regno per tre legislature, alle corse in automobile Luigi arriva da adulto. Ha 32 anni quando lo troviamo in gara alla III Coppa delle Alpi del 1923, ma da lì un poi sarà un continuo. Tra corse locali, cronoscalate e corse monumento come la Mille Miglia – alla quale partecipa nel 1927 per tre edizioni consecutive e poi nel 1932 arrivando terzo -, Luigi Scarfiotti non si farà mancare nulla. Anche zio Casimiro indugia un po’ sul volante, ma solo in qualche gara episodica.
Insomma, Lodovico Scarfiotti nasce bene e con un destino che lo aiuterà a diventare sé stesso, il miglior sé stesso possibile: un gentleman driver, uomo appassionato che non vive con le corse, ma per le corse.

Lodovico

Nato a Torino nel 1933, Lodovico cresce a Potenza Picena dove poco dopo il padre trasferisce la famiglia; il Cementificio recanatese deve essere seguito da vicino. È nelle Marche, quindi, che Ludovico che tutti presto iniziano a chiamare Lulù, cresce e sulle orme di papà Giulio inizia a prendere confidenza con motori, grasso, strade sterrate, velocità e a respirare il profumo delle corse.
Nel 1947 la guerra è ancora una ferita aperta, in giro per l’Italia tante macerie sono ancora lì, a ricordare tutto a tutti, tanti, tantissimi arrancano, si rimboccano le maniche e vivono scommettendo sulla speranza di un futuro migliore. Per la famiglia Scarfiotti il futuro è già facile. Nel 1947 Lodovico ha solo 14 anni, è poco più che un ragazzino, ma deve aver già capito cosa vuole fare della sua vita. Corre su un ciclomotore Cucciolo Ducati, in pratica una bicicletta a motore. Corre alla seconda edizione del Circuito Bicimotoristico di Porto Recanati e arriva secondo; poco tempo dopo corre nuovamente a Porto San Giorgio e arriva primo.
C’è da credere che queste prime ebbrezze non le abbia mai dimenticate.

Sor Gino De Sanctis

Per Lodovico Scarfiotti, la via dei motori passa per Roma. Precisamente per via Arno dove c’era l’antro di un mago. Come lo vuoi chiamare Gino De Sanctis se non mago e come la vuoi chiamare la sua officina se non antro dove forme e motori si trasformano e diventano quintessenza?
Sor Gino, con tutto il rispetto e la familiarità che il Sor indica a Roma, per decenni è stato un mito del motorismo romano. Prima pilota – peraltro, un anno, Campione italiano della Montagna – e poi preparatore, Gino De Sanctis trasformava macchine di serie in gioielli da corsa, le curava come creature e come creature gli dava vita nuova e inaspettata. Quando non trasformava, presto affiancato dal figlio Lucio, il Sor Gino costruiva, in particolare vetturette, formula junior e formula Ford. Un’attività senza sosta che, richiedendo spazi sempre più ampi, ad un certo punto lo portò verso la periferia romana, in via delle Cave di Pietralata.
Ebbene, esordio e primi successi automobilistici di Lodovico Scarfiotti hanno proprio la firma di Gino De Sanctis.

Inizia la corsa

Nel 1952, diciannovenne, Lodovico corre al Circuito del Piceno, 150 km di strade che affronta con una Fiat 500C Topolino preparata da De Sanctis.
Corre Lodovico, corre e non si ferma più. In questi primi anni corre soprattutto gare di montagna e chissà quante volte ne avrà parlato con De Sanctis ascoltandone consigli ed esperienza.
Il 1952 segna quindi l’esordio di Lodovico, ma per il motorismo italiano il 1952 non è un anno qualunque. La Formula 1 ha esordito nel 1950 e noi con uomini e macchine siamo i più forti. Nel 1950 il titolo è di Nino Farina su Alfa Romeo, nel 1951 di Manuel Fangio su Alfa Romeo, nel 1952 di Alberto Ascari su Ferrari. Dal 1950 al 1952 il Gran Premio di Monza è tricolore; prima Nino Farina e poi, per due anni di seguito Alberto Ascari. Dal 1952 bisognerà aspettare quattordici anni prima che un italiano lo vinca ancora.
Bisognerà aspettare Lodovico Scarfiotti.

Scarfiotti agnelli

I successi

Fatte ossa ed esperienza nelle gare di montagna, nel 1956 Lodovico Scarfiotti affronta la Mille Miglia, ancora gara vera di durata e velocità su strade spesso inimmaginabili. Corre con una Fiat 1100 TV sempre preparata da De Sanctis ed è primo di categoria. Nel 1957 corre su una Fiat 8V Zagato, siamo sulle Gran Turismo, diventa campione italiano su strada e su pista, si aggiudica il Trofeo della Montagna, Poi arriva la Osca Sport 1100 dei fratelli Maserati con la quale nel 1958 vince praticamente tutto e mantiene il titolo nazionale di categoria. Altre soddisfazioni se le prende con l’Abarth 1000 SP.  Nel 1959 corre su Osca S1500, vince la Coppa Sant Ambroeus e ottiene un terzo posto nel GP Messina. In quell’anno corre anche la sua prima gara su Ferrari, una Dino 169S che condivide con Giorgio Scarlatti al Tourist Trophy di Goodwood. Insomma, Lodovico in quegli anni è uno dei più interessanti piloti italiani in circolazione ed Enzo Ferrari non se lo fa scappare.

Sogno Ferrari

Chi corre lo sa che sogni e destino passano anche per le macchine.
Con qualche buon ufficio del cugino Giovanni Agnelli, ma soprattutto per i meriti dimostrati, Enzo Ferrari avvicina Lodovico Scarfiotti che, inutile dire, della Ferrari subiva il fascino. In qualche modo era fatale che prima o poi s’incontrassero. La loro storia inizia nel 1960. Il Drake gli affida una macchina. Il sogno inizia così. Con Jose Froilan Gonzalez è alla 1000 km di Buenos Aires e con Richie Ginther alla 1000 km del Nurburgring. A Le Mans, è con Pedro Rodriguez, ma si fermano per esaurimento del carburante. Alla Targa Florio, con Willy Mairesse e Giulio Cabianca, si prendono il quarto posto. Ludovico è sempre un gentleman driver, un indipendente. Il sogno è un presagio. Ci vorranno ancora due anni per realizzarlo e, nel frattempo, corre praticamente con quasi tutto quello che si muove: Osca, Abarth, Alfa Romeo e ovviamente anche Ferrari. Cronoscalate, circuito, gare di durata: Lodovico Scarfiotti affronta tutto con la stessa disinvoltura.

Scarfiotti

1963

L’Italia vive con ottimismo, non può sapere che gli anni del boom stanno per finire. Sicuramente è ottimista Lodovico che nel 1963 entra a far parte ufficialmente nel Team Ferrari. È ottimista ed ha ragione di esserlo. Apre la stagione vincendo insieme a John Surtees la 12 Ore di Sebring su Ferrari 250P. Insieme a Lorenzo Bandini e Willy Mairesse è secondo alla Targa Florio.
Poi il grande salto.
Complice un infortunio di Mairesse, il primo giugno Lodovico esordisce in Formula 1 sul circuito olandese di Zandwoort. 80 giri, 335 chilometri, undicesimo alle qualifiche, sesto al traguardo con distacco di due giri dalla Lotus di Jim Clark, un punto guadagnato. Il sogno, ora, Lodovico Scarfiotti l’ha toccato con mano. Purtroppo dura poco. La settimana dopo ha un incidente durante le prove del Gran Premio di Francia e si ferisce alle gambe. Lo riporta in Italia Gianni Agnelli con un bimotore di casa Fiat. Per tornare in Formula 1, Lodovico dovrà aspettare l’anno dopo.

Verso Monza

Per Lodovico la prima volta a Monza in Formula 1 è il 6 settembre del 1964. Sedicesimo in qualifica, porta la sua Ferrari 156 al traguardo con il nono posto. Consideriamola una parentesi aperta.
Nelle auto sportive, arriva secondo a Sebring con Nino Vaccarella su Ferrari 275P, mentre sempre insieme vincono la 1000 km del Nurburgring. A Le Mans è con Mike Parkes, ma non va bene e si ritirano. All 12 Ore di Reims è invece terzo assoluto e primo in categoria GT3.0. Insomma, dentro la parentesi aperta il 6 settembre a Monza, Scarfiotti mette tanto, anche la vittoria del Campionato Europeo della Montagna nel 1965, che bissa il successo del 1962.
Montagna, già, montagna. Ne parleremo, ma prima dobbiamo chiudere la parentesi.

Scarfiotti monza 66

4 settembre 1966

Monza, Gran Premio d’Italia, settima prova del Campionato Mondiale.
Quel giorno Maranello schiera Lodovico Scarfiotti, Lorenzo Bandini e Mike Parkes su Ferrari 312, mentre Giancarlo Baghetti è su una 246.

Girano forte le Ferrari. Alle qualifiche la pole è di Parkes, Scarfiotti è secondo, Bandini è quinto, Baghetti è dietro, sedicesimo, ma è tutta un’altra macchina. Spinge Ludovico, spinge. In gara con 1:32.4 il giro più veloce è il suo. Suo sarà anche il podio. Quattordici anni dopo Ascari, un pilota italiano torna a vincere Monza.
La parentesi ora possiamo chiuderla.
Vale solo la pena ricordare che, da allora, non si è mai riaperta; nessun pilota italiano ha più vinto il Gran Premio d’Italia.

Corro perché mi piace

Lui non ascolta quelli che gli chiedono di smettere di correre.
Non ascolta e se risponde, risponde così. Corro perché mi piace, dice. Disarmante per tutti.
A Reims il destino gli ha dato un avviso. Non se ne cura. Non può. Lui mica corre per niente o per caso, lui corre perché gli piace.
Il 7 maggio del 1967 al Gran Premio di Monaco non è in gara, con Ferrari ha rotto. Non gli sono piaciute alcune esclusioni e lui che non ha bisogno di nulla e corre perché gli piace, ha chiuso la porta ed è andato altrove.
Però quel 7 maggio maledetto è ugualmente a Montecarlo. All’ottantottesimo giro Bandini arriva veloce alla chicane, la macchina non tiene, urta il guard-rail, vola per cento metri e dopo sono solo fuoco e fiamme. Lorenzo se ne va dopo tre giorni di agonia.
Gente dura i piloti, ma il colpo è duro per tutti.
Lodovico vede e mette da parte.
Il 2 gennaio del 1968 Lodovico apre l’anno con il Gran Premio del Sud Africa. Corre su Cooper Maserati, quindicesimo in qualifica.

Sud Africa 68

A Kyalami il destino batte un altro colpo per Lodovico.
Normalmente assisto a tutte le sue corse. Ultimamente ho avuto un esaurimento nervoso per le gravi ansie che mi danno. Per questo motivo non ho accompagnato Lodovico in Sud Africa. All’ultimo momento ho pensato di raggiungerlo. Ho preso l’aereo, sono arrivata a Città del Capo e con un taxi mi sono fatta portare all’autodromo dove la gara era già iniziata. Nell’attimo in cui entravo ho sentito l’altoparlante che annunciava l’incidente di Lodovico Scarfiotti con le stesse parole che un anno prima a Montecarlo avevano annunciato l’incidente di Bandini. Sono svenuta. Mi hanno portata in ospedale, quando mi sono svegliata ero accanto a lui. Per fortuna aveva riportato solo ustioni non gravi.”
Così racconta Ida Benignelli, già Miss Mondo con quale, al tempo, Lodovico era legato. Senza successo, anche lei aveva tentato di distoglierlo dalle corse, proprio come aveva fatto l’ex moglie Nicoletta Ciardi, madre dei suoi due figli, dalla quale proprio per questo motivo si era separato.
In ogni caso, le “ustioni non gravi” a gambe e schiena lo avrebbero tenuto convalescente per oltre un mese.

Porsche

Se la Ferrari è stata per Lodovico la macchina del sogno, la Porsche è stata la macchina del destino. Se in Formula 1 correva nel team Cooper Maserati, per le Gran Turismo correva invece su Porsche.
È così che arriviamo in Germania, Rossfeld, scalata di Berchtesgaden, il Nido delle Aquile che Hitler aveva voluto per sé e per il suo cerchio magico. Montagna, ancora montagna.
Montagna, proprio come tutto era iniziato per Lodovico Scarfiotti.

Il nido delle aquile

L’8 giugno 1968 qui si corre l’International Alpine Mountain Award, seconda prova del Campionato d’Europa della Montagna. La macchina di Lodovico è una Porsche 910 Bergspyder, 2200 cc, 8 cilindri, 270 cavalli.
Il tracciato è di sei chilometri, 505 metri di dislivello, pendenze che in alcuni punti rasentano il 13%.
Prova una volta, Lodovico. Non è una macchina facile la 910; alleggerita, bisogna imbrigliare i cavalli per tenerla dritta. La montagna però è casa sua. Lui sa come fare.
Seconda prova, 2,4 chilometri dalla partenza, curva a destra stretta dopo un rettilineo che fa spingere a 130/140 kmh.
Tutto normale, a parte un’altra parentesi che si chiude.
La Porsche esce di strada, finisce in una scarpata, si ferma contro gli alberi, Lodovico è sbalzato fuori. Sull’asfalto due lunghe strisce nere, 50, 60 metri. Rimane solo quello.
La formula di rito dice morto durante il trasporto in ospedale, ma a vedere l’incidente ci credono in pochi. Sulle cause, polemiche inevitabili. Nei giorni a seguire la stampa si parla di un problema dovuto proprio all’alleggerimento della macchina e a una possibile rottura dello sterzo. Le inchieste successive non lo proveranno.

Lodovico Scarfiotti

Quello che rimane

Quella di Lodovico Scarfiotti è una storia che fatica a trovare la via dell’ufficialità e del grande pubblico. Il suo nome a molti racconterà ormai poco.
L’ho scritto in apertura, il 18 ottobre avrebbe compiuto 90 anni, ma forse non aveva mai pensato di arrivarci.
Il motivo è semplice: “corro perché mi piace”.
Così diceva e questo rimane di lui.
Così, all’alba dei novanta anni che da qualche parte festeggerà, mi piace ricordarlo.

 

Marco Panella, (Roma 1963) giornalista, direttore editoriale di Sportmemory, curatore di mostre e festival culturali, esperto di heritage communication. Ha pubblicato "Il Cibo Immaginario. Pubblicità e immagini dell'Italia a tavola"(Artix 2015), "Pranzo di famiglia. Una storia italiana" (Artix 2016), "Fantascienza. 1950-1970 L'iconografia degli anni d'oro" (Artix 2016) il thriller nero "Tutto in una notte" (Robin 2019) e la raccolta di racconti "Di sport e di storie" (Sportmemory Edizioni 2021)

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