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Wimbledon, divise bianche e vezzi aristocratici

In principio fu Wimbledon, il più antico tra i tornei di tennis, dove il tennis è da sempre cultura e identità, proprio come il suo colore d'obbligo, il bianco aristocratico, quello che non ammette toni diversi, ma neanche mezze misure. Inizia oggi il nostro racconto di Wimbledon. Non una cronaca, ma un viaggio nella sua storia, tra i suoi personaggi e nel suo futuro.
COVER WIMBLEDON

Gli appassionati di tennis sanno che tra poche ore avrà inizio Wimbledon, più correttamente il Torneo di Wimbledon, l’unico Slam a giocarsi sull’erba. Terzo in ordine di tempo, si tiene dopo gli Open di Australia e il Roland Garros e prima degli US Open. Il 2020 non ha avuto luogo per via delle restrizioni a causa della pandemia. Forse non tutti però conoscono alcuni dei fatti che hanno segnato o caratterizzano ancora oggi l’evento londinese.

Gli inizi

Possiamo affermare che il 1874 data il Kick Off di Wimbledon ma anche del tennis e della partecipazione delle donne (in realtà, il primo torneo che istituì il singolare femminile si era già tenuto cinque anni prima) e delle principali regole della nuova disciplina. Appena tre anni dopo però, siamo nel 1877, vennero stabilite ulteriori regole ancora attuali ad eccezione di qualche inezia, altezza della rete o distanza fra la rete e la linea di fondo.

Fino al 1922 prevalse la regola del challenge round, ovvero il campione uscente incontrava il vincitore del torneo, disputava quella che potremmo chiamare la seconda finale, senza aver partecipato prima ad alcun incontro. Nei dieci anni che precedettero la prima guerra mondiale il torneo andò via via ad internazionalizzarsi anche grazie alla sempre più crescente diffusione della disciplina tennistica negli altri paesi tanto che, alla ripresa della competizione nel 1919, cominciarono a vedersi in campo australiani, americani e pure un giapponese, tale Shimizu Zenzo.
Il 1922, oltre a vedere sorgere la nuova location – il torneo cambiò sede e passò in quella dove si tiene ancora oggi – fu anche l’anno in cui venne soppressa la regola del challenge round. Da quel momento il vincitore dell’edizione precedente avrebbe dovuto competere come gli altri. Ma quel periodo segnò anche il dominio dei francesi, sia nel campo femminile con Suzanne Lenglen, che in quello maschile, tra questi ricordiamo René Lacoste, quello che ci ha tramandato le polo col coccodrillo, giusto per ricordare che si tratta di un brand storico. Il 1931 si verificò un fatto unico, l’americano Frank Shields si infortunò alla caviglia nel corso della semifinale che peraltro vinse, e dovette rinunciare a disputare la finale. Fu l’unica edizione in cui non si è giocato l’ultimo incontro del torneo per abbandono.
Negli anni trenta, quando gli americani vincono sei edizioni su dieci, spicca un inglese, Fred Perry, vincitore per tre anni, dal 1934 al 1936 e in seguito anche lui famoso per la linea di abbigliamento che lancerà nel 1952.

Dal dopo guerra al 2000

Il primo dopo guerra è segnato ancora dal dominio degli americani, il secondo, gli anni ’50, è quello degli australiani, nel 1968 ha origine il tennis moderno. Wimbledon apre le porte ai professionisti e così ha inizio quella denominata Era Open che da quel giorno vede avvicendarsi i migliori tennisti del circuito mondiale.
Dal 1976 in avanti vediamo competere sull’erba londinese quelli che hanno fatto la storia del tennis moderno, nomi che la gran parte di noi conosce e che molti hanno visto giocare in TV e qualcuno anche dal vivo. Quell’anno Bjorn Borg arrivò a Londra reduce dai successi di Parigi, due Roland Garros di fila, e vincitore poi a Wimbledon di ben cinque tornei consecutivi in cui non risparmiò nessuno, nonostante avesse maggiore dimestichezza con la terra rossa. Sotto la sua racchetta e la potenza del più famoso rovescio a due mani, cedettero nomi illustri come Gerulaitis, Connors, battuto in finale per due anni di seguito, John McEnroe che si espresse al massimo in una delle più belle partite, per me la più memorabile, della storia del tennis. I due si incontrarono nello spazio di quattro anni ben quattordici volte, spartendosi il bottino al cinquanta per cento. Va ricordato che Borg decise di chiudere con l’attività agonistica a soli 25 anni. Sempre a cavallo tra il ’70 e gli anni ottanta in campo femminile a Wimbledon dominò Martina Navratilova, vincitrice di ben sei titoli consecutivi sull’erba e battuta solo nel 1988 da Steffi Graf.

Gli anni ottanta videro l’alternanza di Boris Becker e quella dello svedese Mats Wilander che però a Londra non vinse mai, nonostante i molteplici successi in Australia, a Parigi e a New York. Altrettanto fece il ceco Ivan Lendl, vincitore di otto Slam, mai Wimbledon dove arrivò a giocare la finale per ben due volte, il 1986 e l’anno successivo. Il tedesco vinse per la prima volta a Londra a soli 17 anni, era il 1985, ottenne lo stesso risultato l’anno successivo e nel 1989. Raggiunse la finale anche nel ’92 ma venne battuto da Andre Agassi che ricordiamo per il suo taglio di capelli e le sue divise in campo fin troppo originali e per aver sposato in prime nozze Brooke Shields e in seconde la collega Steffi Graf. Dal ’93 al 2000 fu poi la volta di Pete Sampras che si aggiudicò sette degli otto trofei. Nel 1996 l’americano perdette ai quarti contro l’olandese Richard Krajicek che a sua volta vinse la finale contro l’americano MaliVai Washington. Due nomi che di sicuro non hanno contribuito a fare la storia di Wimbledon.

Oggi

Sappiamo bene che a detenere il record di vittorie sull’erba di Londra è Roger Federer con ben otto successi, il primo ottenuto nel 2003, seguito da Djokovic con cinque. Il maiorchino conta solo due vittorie, non è un caso che sia il Re della Terra Rossa. E nella lista ci mettiamo anche Sampras con le sue sette vittorie di cui quattro di fila (1997-2000). È lecito quest’anno pensare di vedere un italiano in finale?

Prima di passare a commentare gli scontri degli italiani delle prossime giornate, l’ultima curiosità. Chiunque voglia partecipare al Torneo deve attenersi al Total White, ovvero rispettare l’obbligo di indossare pantaloncini, magliette, polsini e biancheria intima bianca, negli incontri ufficiali e anche in allenamento. Persino le suole delle scarpe (Federer venne multato per le suole di colore arancio) devono essere esclusivamente di colore bianco. È tutto in un decalogo pubblicato sul sito. La motivazione? In origine si riteneva poco chic esporre macchie di sudore su un abbigliamento colorato.
Più recentemente: Si tratta di un vezzo da vecchi aristocratici.

Vincenzo Mascellaro, uomo di marketing, comunicazione e lobby, formatore, scrittore e oggi prestato al giornalismo

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