Abbiamo incontrato spesso Matteo Salandri nel parco del S. Alessio, luogo che frequenta con continuità visto che ha scelto di allenarsi nella palestra attrezzata della nostra ASP.
Questa volta però lo raggiungiamo telefonicamente mentre si trova in Sardegna; Matteo fa surf ed è nel pieno della preparazione per i Surfing Paralympic World Championship, i Mondiali ISA dedicati all’Adaptive Surfing, in programma dal 5 all’11 dicembre in California sulla spiaggia di Pismo Beach, località che si affaccia sull’Oceano Pacifico, tra San Francisco e Los Angeles.
Gli inizi
Matteo è nato a Roma 34 anni fa con un grave glaucoma congenito. Dopo la laurea si è iscritto al MEMIT (master in economia e management in infrastrutture e trasporti), e attualmente lavora a RFI, società delle Ferrovie dello Stato, dove si occupa di accessibilità dei trasporti e dell’abbattimento di barriere architettoniche in ambito ferroviario. Vive da solo in una casa del S. Alessio e si muove in autonomia grazie anche all’aiuto di Yashi, il suo cane guida.
Sportivo da sempre, dopo aver praticato a lungo atletica leggera, di recente ha scoperto il surf.
“Ho iniziato a surfare quasi per caso, dopo aver visto su Facebook un evento di surf a Fuerteventura, nelle isole Canarie; si erano già iscritte persone in carrozzina, ma cercavano anche persone con altre disabilità tra cui quella visiva, come la mia, e io che ho sempre voglia di provare cose nuove, ho fatto la valigia e sono partito – ci racconta Matteo. – Con il surf è stato subito amore, non appena ho preso la prima onda ho sentito naturale l’istinto ad alzarmi in piedi sulla tavola. Ovviamente il maestro di allora mi ha suggerito di procedere con cautela e di imparare prima a riconoscere l’onda, poi ad affrontarla”.
Come si pratica surf, da persona con disabilità visiva?
Matteo, come tutte le persone con disabilità visiva, non ha modo di sapere in anticipo quanto è alta l’onda che si sta avvicinando. “Da cieco non posso ovviamente vedere l’onda né sapere in anticipo quanto è alta. Posso intuirne la grandezza solo quando inizio a surfarla, o quando l’onda si rompe e riesco ad ascoltarne il rumore”.
“Impossibile quindi fare surf da solo, c’è bisogno di una persona al mio fianco – continua Matteo. – La guida sta sulla sua tavola e ti dà comandi vocali. Solo comandi, non ti può toccare. Ti porta fino al picco dell’onda, ti posiziona, tu senti la spinta dell’onda e da quel momento vai da solo. La prima onda seria l’ho presa in Portogallo. Gonzalo, la mia guida di allora mi avverte, in un misto di inglese e portoghese, che l’onda è in arrivo e di stare tranquillo, ‘l’onda non si rompe’, mi dice… Mi sono accorto della grandezza dell’onda quanto la tavola ha iniziato a salire. E continuava a salire, ancora e ancora. Solo in quel momento mi sono reso conto di quanto potesse essere grande l’onda, ed ho avuto paura. Là ho pensato ‘non lo voglio più fare questo sport’. Non ho nemmeno provato ad alzarmi in piedi, mi sono aggrappato alla tavola con tutte le mie forze, sperando di uscirne vivo. Quando sono arrivato sulla spiaggia mi tremavano le gambe, ho chiesto a Gonzalo quanto potesse essere alta l’onda, e ho scoperto essere alta più di 2 metri”.
Gli allenamenti
Fortunatamente poi ha deciso di non abbandonare questo sport, e Matteo è attualmente uno dei pochissimi surfisti ciechi italiani, e tra i più bravi.
“Ho trovato dei ragazzi che facevano base a Campo di Mare, sulla costa laziale, e mi sono avvicinato a loro. Poi si sono spostati a Santa Marinella ed è lì che ho iniziato ad allenarmi con maggiore continuità, anche se non è sempre facile. In primis bisogna trovare le onde, e poi da non vedente devo sempre avere la disponibilità di una guida che mi possa aiutare a trovare il giusto posizionamento per affrontare l’onda nel migliore dei modi. Io non ho mai avuto una guida fissa, neanche a Santa Marinella dove mi alleno. Non è tanto il gesto atletico, la parte più difficile – da persona con disabilità visiva che sceglie di fare surf – è avere un’organizzazione che ti possa dare continuità, che poi è ciò che ti permette di migliorare”.
Emozione vs paura
“È vero che faccio gare, ma nel surf non c’è una competizione diretta con l’altro, è più una competizione – se di competizione si può parlare – tra me e il mare. La cosa più bella di questo sport è quando scegli l’onda e surfi sulla sua parete. È l’emozione di quello che riesci a ricevere dall’onda”.
E quando gli chiediamo come va ora con la paura, ci risponde: “Sì, ancora oggi mi capita di aver paura quando mi trovo sulla punta dell’onda più alta. Ma ho indubbiamente più paura a muovermi da solo a Roma, tra mezzi di locomozione abbandonati sui marciapiedi e auto che fanno spesso finta di non vederti”.