Da ragazzo a leggenda. La vita di Eddie Aikau, hawaiano e surfista, ha seguito questa traiettoria, fino a diventare Oceano.
Fino a diventare “ka makua o maui”. Fino a diventare stelle.
Provate a fare un salto nel tempo. Provate a immaginarvi negli anni ’60, in vacanza, ma non in un posto qualunque.
Immaginatevi alle Hawaii, magari nell’isola di Oahu, magari nella baia Nord, quella con le onde più alte e pericolose.
Ora guardatevi intorno; ci sono molti ragazzi e sono proprio uguali a quelli dei film o delle pubblicità, bei ragazzi, molti californiani di sicuro, abbronzati, costumi fluo e tavole nuove e incerate.
Tavole, sì, perché qui il surf non è uno sport, è una religione e tutti la praticano.
L’Oceano è gonfio e le onde, bellissime, anche; i ragazzi ci provano a surfare, ma non è giornata, non per tutti almeno.
Loro lo sanno e aspettano.
Aspettano fino a quando non arriva lui con la sua pelle brunita, i capelli crespi e ricci, il costume bianco con una riga rossa e la tavola dello stesso colore splendente.
Lui è Eddie Aikau, la leggenda dell’isola.
Prima della leggenda
Eddie Aikau nasce nel 1946 a Kahului, trascorre i primi anni della sua vita a Maui, per poi trasferirsi di nuovo a soli 12 anni sull’isola di Oahu. È qui che i genitori Solomon ed Henrietta cercano la casa dove far crescere i loro sei figli. Solomon riesce a trovare una casa abbastanza grande da poterci stare comodamente tutti ed è gratuita, ma con l’obbligo di prendersi cura dei nove acri di terreno adiacente, dove tra l’altro sorgeva un cimitero.
Quello che per molti sarebbe stato un inizio difficile, la famiglia Aikau lo vive come una sfida.
Eddie cresce in questo clima e, insieme a suo fratello Clyde, coltiva sempre la passione per il surf.
Forse è per questo che quando a 16 anni annuncia di voler lasciare la scuola per seguire la sua passione, la famiglia non se ne stupisce.
Eddie lascia la scuola, trova lavoro e si fa mettere sempre nei turni di notte così da poter andare direttamente in spiaggia al mattino.
Surfa Eddie Aikau, surfa come e quando altri non riescono a fare, surfa su onde di 10 metri e in acqua sembra un Dio, anche perché ne esce sempre con le sue gambe. Impossibile non notarlo.
La cinquantesima stella
Nel 1960, con lo Statehood, le Hawaii diventano una nuova stella sulla bandiera degli Stati Uniti. Questo cambia tutto; dove prima c’erano solo spiagge incontaminate, iniziano a sorgere alberghi per far fronte all’ondata che nessuno prima si sarebbe aspettato, quella dei turisti.
I nativi hawaiani sono costretti ad abbandonare le spiagge preferite e si spostano a Nord dell’isola, in particolare a Waimea Bay, famosa per la grandezza delle sue onde.
È qui che, nel 1967, davanti a i tanti che non avevano osato entrare in acqua, Eddie Aikau sale sulla cresta di un’onda di 12 metri e si consacra come “surfista di onde giganti”: vederlo deve essere stato uno spettacolo.
Mama I wanna go surfin
Nato per l’acqua, la contea di Honolulu lo assume per sorvegliare sorvegliare le spiagge tra Halaiwa e Popukea ed è così che Eddie Aikau diventa il primo bagnino di Waimea Bay.
Ovviamente non un bagnino qualunque, così come Eddie would go non è una frase qualunque, ma uno stile di vita che, in quel periodo, lo vede salvare circa 500 persone, non temendo mai le condizioni del mare.
Nel 1971 ottiene anche il riconoscimento di bagnino dell’anno, ma è nulla rispetto alla popolarità che il surf gli fa guadagnare in quegli anni.
Tra il 1967 e il 1973, Eddie Aikau è il surfista nativo hawaiano con più presenze alle competizioni e con i migliori piazzamenti, sempre tra i primi. Sempre, tranne quella volta in Sud Africa, nel 1972, quando, invitato per un contest, non solo uscì quasi subito, ma la sua pelle scura gli fece vivere la vergogna dell’emarginazione.
Al ritorno a Honolulu Eddie Aikau era un uomo diverso, più arrabbiato.
La sfida e il sogno
Eddie Aikau aveva un sogno: vincere il prestigioso Duke Kahanamoku Invitational Surfing Championship, dove si era sempre classificato secondo o terzo.
Nel 1973 si trovò davanti una faccia particolarmente amica: il più piccolo degli Aikau, Clyde, aveva deciso di seguire il percorso del fratello, arrivando a gareggiare contro di lui.
Alla fine della competizione un Aikau aveva vinto il Duke, ma era Clyde.
Ma uno che surfa come Eddie Aikau non molla mai.
Nel 1977, decide di surfare per l’ultima volta il Duke: ha 31 anni, è tra i più grandi in gara e sa che non ci sarà un’altra occasione.
Davanti ha ragazzi in gamba, qualcuno fortissimo proprio come Rabbit Bartholomeow, surfista australiano che sarà campione del mondo nel 1978.
La sfida finale è con lui, Eddie Aikau la vince e si porta a casa il sogno di una vita.
Sapendo da dove veniamo, possiamo capire dove stiamo andando
Ma con un tipo come Eddie Aikau, si deve essere sempre pronti alla prossima avventura: dopo aver surfato le onde più grandi, essere diventato il primo bagnino di Waimea Bay, aver vinto il contest dei suoi sogni, Eddie sente il bisogno di immergersi nella cultura hawaiana.
Quando la società di viaggio polinesiana gli propone di essere protagonista di un viaggio che, nel giro di 30 giorni, avrebbe coperto circa 4.000 km sulle rotte delle antiche migrazioni tra le Hawaii e Tahiti, lui accetta con entusiasmo.
Il viaggio si sarebbe svolto su un’imbarcazione tradizionale, hokule’a, e avrebbero seguito solo le stelle, il vento e le onde, proprio come i primi polinesiani.
L’identità come forza
Per Eddie Aikau il viaggio è l’opportunità di farsi portavoce della comunità hawaiiana, da troppo tempo ormai considerata solo come souvenir per i turisti che andavano in vacanza. Affrontare il mare aperto su un’imbarcazione tradizionale significava riappropriarsi della propria cultura e tradizioni e questo Eddie lo considera un onore.
Un giorno avverso
Dopo un allenamento durato qualche settimana, Eddie Aikau e i suoi compagni di viaggio sono pronti per la partenza.
È il 16 marzo 1978 e non è una giornata come le altre. Il mare è mosso, è brutto tempo, ma la partenza non si può rinviare e duemila persone salutano i navigatori con il loro aloha.
Nessuno di loro può sapere che quella mattina anche in Italia, dall’altra parte del mondo, non è una bella giornata. A Roma, in via Fani, cinque uomini crivellati dai colpi sparati da un commando di brigatisti rossi rimangono tra macchine e asfalto. Uno invece è sequestrato e sarà ucciso dopo 55 giorni: si chiama Aldo Moro.
Se esistono giorni avversi, il 16 marzo 1978 deve essere stato uno di questi.
Dopo poche ore di navigazione, il Pacifico è in tempesta: tempesta coglie l’hokule’a imbarca acqua, il vento la ribalta e i nostri diventano naufraghi.
L’ultima tavola
Sono ormai alla deriva da 12 ore, quando Eddie dice al capitano Let me help e volge il suo sguardo verso forse l’unica cosa rimasta dell’imbarcazione: una tavola da surf.
L’isola più vicina era più o meno a 4 ore da lì, Eddie avrebbe remato fino a raggiungerla per dare l’allarme e far arrivare i soccorsi ai suoi compagni che cercano anche di dissuaderlo.
Dopo avrebbero raccontato che in quel momento, Eddie Aikau era come ricongiunto a una forza primordiale; potente e fiero, sulla sua tavola da surf sapeva che quelle era l’unica cosa giusta rimasta da fare.
Senza salutare Eddie Aikau iniziò a remare.
“Go Eddie, go. Go, Eddie, go”
Questo si ripetono pregando i compagni, ma passano solo pochi minuti prima che si vedano venire incontro un giubbotto salvagente.
Passano 30 ore, arrivano i soccorsi.
Tutti i naufraghi sono portati all’aeroporto di Honolulu, dove li aspettano famiglia e amici; tra loro anche i fratelli di Eddie i quali, però, non resta altro che il racconto degli altri naufraghi.
Lasciatelo andare
Gli Aikau, però, sono una famiglia che arrende e iniziano la loro ricerca personale nel mare delle Hawaii.
Dopo 10 giorni sarà Pops Aikau, il papà di Eddie a dire You stop looking for my son, let him go. Basta cercare mio figlio, lasciatelo andare.
Eddie Aikau era ormai parte del mare e delle Hawaii stesse e il padre benedice così il viaggio del figlio verso l’ignoto.
Non una perdita, ma un ritorno a casa, una casa dove tutti un giorno si sarebbero ritrovati.
In ricordo di un uomo buono
Per qualche anno la memoria di Eddie Aikau è rimasta nel suo mondo, quello del surf e quello delle Hawaii.
Nel 1986 in suo ricordo, proprio a Waimea Bay, fu organizzato il Quicksilver memorial of Eddie Aikau big wave invitational e, per un qualche gioco del destino, il contest lo vince Clyde Aikau, a 36 anni, sulla tavola preferita del fratello.
Da quel momento in poi, the Eddie, è diventata la più grande gara di surf al mondo e in apertura di ogni edizione la famiglia Aikau ricorda Eddie, la sua vita e lo spirito con cui l’affrontava: Eddie would go, più di 3 semplici parole.
Hawaiian: the legend of Eddie Aikau
Nel 2013 l’incredibile storia di Eddie Aikau è diventata un documentario diretto da Sam George.
In un’ora e mezza, lo spettatore viene completamente immerso nella religione del surf, con la figura di Eddie vista nella sua dimensione di simbolo della tradizione hawaiana.
Testimonianze di familiari e amici, video e foto originali, rendono vivo il ricordo di quel ragazzo con il costume bianco e rosso diventato Oceano, ma non solo.
Il finale ci svela l’hokule’a ricostruita che continua i suoi viaggi seguendo ka makua o maui, la costellazione di Eddie Aikau, ormai non più solo schiuma e onda, ma anche cielo e stelle per i naviganti.
E se siete riusciti a non commuovervi prima, adesso lo potete fare.