Siamo in Finlandia. Intorno a noi una distesa incontaminata di bianco, in lontananza i profili scuri degli alberi scuri si stagliano verso il cielo. Siamo in piedi su un lago ghiacciato: il freddo ci entra nelle ossa, il silenzio intorno è assordante e appena velato dal sibilo del vento.
Dalla strada si avvicina una figura.
Nel bianco e nel silenzio, il nero sembra fare anche rumore.
Il nero è quello di una muta intera, dal collo ai talloni. Si avvicina e ora vediamo bene le pinne che sporgono da sotto un braccio, gli occhialetti da immersione che tiene in mano, mentre in testa, dalla cuffia, sbucano due ciocche bionde.
Ora è ancora più vicina e possiamo vedere anche due fanali azzurri, profondi e sinceri, incastonati sul viso.
Due occhi ti cui ti puoi fidare e che, anche se l’altra mano stringe una sega, ci fanno pensare che non siamo dentro una scena di Fargo dei fratelli Coen.
Raggiunto il lago la figura inizia ad incidere la superficie, disegna una lastra che poi sposta per rivelare l’acqua al di sotto. nel frattempo è giunta un’altra figura, più incerta, anche lei in muta, ma in mano ha solo una macchinetta fotografica.
Ci avviciniamo e la prima si presenta: è Johanna Nordblad. Il record mondiale di apnea sotto i ghiacci è il suo.
Dietro di lei, come un’ombra, Elina, la sorella, fotografa che ha dedicato la sua carriera a immortalare la sua musa.
Ma prima di diventare la Regina dei Ghiacci, nella vita di Johanna Nordblad c’è stato molto altro.
Tanti pesciolini
Johanna Nordblad nasce nel 1975 a Poli, a soli 6 anni inizia a nuotare nella piscina cittadina, profonda (solo) 4 metri. Gli altri bambini seguivano le indicazioni dei maestri, lei no. Lei scendeva sul fondo della vasca, si sedeva e guardava su e sopra di lei non c’erano più bambini impacciati, ma tanti pesciolini silenziosi che abitavano le sue fantasie. Quello che a rapisce, però, è silenzio, ascoltare solo il battito del suo cuore, nient’altro.
Ben presto i genitori le regalano il suo primo paio di pinne da cui non riesce a staccarsi neanche per prendere sonno, ma anzi, le stringe per sentirsi al sicuro.
Nel 1999, dopo anni di attività subacquea, si immerge la prima volta senza bombole. È bellissimo e Johanna prova una sensazione mai provata prima: si sente leggera, libera. Si sente la stessa bambina che sedeva sul fondo della piscina.
La bambina è diventata ormai una donna, capace di seguire le sue passioni. Il nuoto, certo, ma anche kayak, motociclette e discesa libera con la bicicletta; non c’è limite che lei non voglia e non possa superare, non c’è gradino in più da salire che la fermi.
Non sempre le cose vanno come si immagina
Ma nel 2010, proprio durante una discesa con la bicicletta, Johanna scivola e urta una roccia, la gamba sinistra va in mille pezzi. Trasportata d’urgenza in ospedale, viene operata per scongiurare la necrosi dell’arto, ma le fratture scomposte permettono ai medici di suturare la ferita solo dopo 10 giorni. Le sue giornate, scandite da una lunga e dolorosa riabilitazione che le succhia avidamente ogni pensiero ed ogni energia possibile, diventano interminabili.
La terapia del freddo
Il dolore ai nervi lacerati è lancinante, Johanna solo dopo un anno riesce a riprendere a camminare senza bastone, ma di sport ancora non se ne parla. Per anestetizzare il dolore il medico le consiglia di provare la terapia in acqua fredda.
Alla prima seduta, Johanna riuscì a tenere la gamba nell’acqua a 4 gradi per appena un minuto, ma il sollievo fu immediato. Ogni volta che tornava ad immergere la gamba in acqua, il dolore diminuiva sempre di più e la sensazione di piacere aumentava, fino a quando decise di immergere tutto il corpo nell’acqua gelata. Quella sensazione è come una droga, non riesce più a farne a meno.
I sensi nell’acqua gelida sono portati all’estremo, serve una concentrazione particolare per mantenere il controllo del corpo che è messo a dura prova.
Ed è lì che Johanna ha un’epifania: perché non provare l’apnea sotto i ghiacci? Quale miglior posto se non la Finladia?
La vita nuova
Inizia così il nuovo capitolo della vita di Johanna Nordblad e i risultati non tardano ad arrivare: nel 2015 ottenne il record femminile mondiale per aver percorso 50 metri in apnea nell’acqua a 2 gradi, indossando solo il costume e la maschera. Impressionante.
Per anni rimane imbattuta, anche nel versante maschile, nessuno riesce a resistere più a lungo di lei.
Tutte le sue immersioni vengono documentate dalla sorella che la segue con la sua fotocamera, insieme creano degli scatti dove la figura umana è parte unica e inscindibile della natura.
La sfida nuova
A Gennaio 2020, arriva una proposta inaspettata: Netflix vuole girare e produrre un documentario su di lei.
Johanna Nordblad, ambiziosa di natura, vuole provare di nuovo a superare i suoi limiti.
Ha inizio la preparazione per la prova, ma non è semplice. Per la prima volta in anni il ghiaccio non è dello spessore necessario per fare in modo che la prova risulti valida, la gamba di Johanna fa male, ma lei non può e non deve fermarsi.
Passa nel lago davanti casa la maggior parte delle sue giornate, allenando il corpo a resistere per il maggior tempo possibile in quelle temperature estreme, ma anche la mente a non ingannarla e farla andare nel panico, proprio nel momento meno adatto.
A marzo la salute di Johanna Nordblad peggiora, è costretta a mettere in pausa l’allenamento, ha qualche problema ai polmoni, teme per la prova.
C’è di peggio, però: il mondo è alla vigilia di una pandemia che avrebbe messo in pausa la vita di tutti.
Il mondo nuovo
Le priorità di Johanna Nordblad sono cambiate, così come il suo fisico, non più abituato a resistere come prima.
Ma è troppo tardi per tirarsi indietro.
L’anno precedente è stato stabilito un nuovo record femminile, anche se non ufficiale: 102 metri, è quello il numero da battere.
Il lago Ollori fa da sfondo a quello che potrebbe essere il giorno più importante nella carriera sportiva di Johanna Nordblad che ha deciso di affrontare l’impresa solamente con il costume intero, senza l’ausilio di pinne o muta.
18 Marzo 2021
La troupe sta sistemando le ultime attrezzature, i medici si stanno posizionando per essere pronti a intervenire in caso di emergenza e infine arriva anche il giudice della prova.
Poi arriva lei, Johanna Nordblad.
Si siede sul bordo dell’apertura del ghiaccio, guarda nel buio sottostante e ci si riflette.
La prova è estrema: senza muta, senza pinne, senza pesi.
Stretta nel suo costume azzurro, Johanna è sola con sé stessa.
Il giudice dà il tempo: due minuti all’inizio della prova.
Elina si avvicina, la guarda profondamente negli occhi.
Le parole non servono più.
30 secondi.
10 secondi.
Ora!
Non si torna più indietro
Johanna si butta in acqua e inizia a nuotare.
Elina segue con la sua macchinetta il profilo della sorella sotto il ghiaccio, ma dietro la lente i suoi occhi nascondono una profonda preoccupazione: entrambe sanno che la preparazione potrebbe non essere stata sufficiente.
Johanna tiene un buon ritmo, ma nessuno osa parlare, il silenzio è assordante.
Johanna prosegue.
50 metri.
80 metri.
Sopra di lei qualcuno pensa di vederla risalire adesso, ma si sbaglia. Johanna non è una tipa che si arrende facilmente.
102 metri.
103 metri!
Johanna sbuca dall’acqua e dà l’okay con la mano.
La prova è completa, è tutto finito, il record mondiale di apnea lineare senza muta sotto i ghiacci è il suo.
Elina le si getta al collo.
Piangono.
Johanna alla fine sorride e con le labbra blu, sussurra alla sorella: “Era un po’ fredda”.
Il documentario
Una bella storia quella di Johanna Nordblad.
Una storia di coraggio e di sacrificio personale, una storia di volontà e di passione, una storia di pathos e amore complice tra sorelle.
Una bella storia che il documentario Hold your breath: the ice dive di Ian Derry, che con la troupe che ha seguito le due sorelle dai primi allenamenti nel 2020 fino alla conclusione, racconta gran bene.
Anche a noi, che invece che con le pinne come Johanna, ci siamo addormentate con gli orsacchiotti.