Afa, polvere, sudore.
A guardare la foto sembra di respirarli e di sentirne il prurito sulla pelle.
Afrore di umanità. Bambini, tanti, chiassosi, famelici di vita. Adulti sopravvissuti, scampati, qualcuno magari tra gli ultimi tornati dalla prigionia.
La guerra, già.
La guerra è finita da un anno, ma ancora morde e brucia e a Napoli quel 28 luglio 1946, se non guerra, è battaglia allo Stadio.
In campo e fuori.
Nato come Stadio XXVIII ottobre, per anni comunemente chiamato Stadio Littorio, oggi intitolato a Arturo Collana, nel primo dopoguerra quello è lo Stadio della Liberazione.
W il Re c’è scritto ai due lati del cancello, l’Italia è una Repubblica da neanche due mesi, in qualche modo ancora più teoria che pratica, e una nuova guerra civile si evita per un soffio.
Il calcio, a fatica, ma è ripartito.
Girare l’Italia in quel tempo non è facile, strade e ferrovie non hanno ancora smaltito sangue e macerie dei bombardamenti e il calcio si adegua.
Con una buona dose di inventiva italica, ma qualcuno direbbe arrangiamento, Campionato Alta Italia, Campionato Centro-Sud, Girone finale nazionale sostituiscono il Campionato a girone unico e il 14 ottobre 1945 si riprende a giocare.
L’Italia che si deve rimettere in piedi torna a sognare davanti a un pallone, sembra poco, ma è tantissimo.
Il Napoli è tra le squadre di serie B ammesse al campionato Centro Sud e lo vince a pari punteggio con il Bari; con loro si qualificano anche la Roma e la Pro Livorno.
Al nord si qualificano sempre gli stessi: Inter, Juventus, Torino e Milan.
L’Italia unita repubblicana è profondamente divisa, la differenza di gioco tra le squadre del nord e quelle del centro sud è marcata.
Ma il pallone ha una qualità, è rotondo e dove va lo decide quasi sempre lui
Arriviamo ad aprile, ultima domenica del mese; il girone finale prende il via.
Le squadre del nord hanno vita scontata, con tutti, ma non con il Napoli che proprio all’esordio batte il Milan.
Lo scudetto, però, sembra un discorso binario tra Torino e Juventus.
Quel 28 luglio 1946 allo Stadio della Liberazione l’aria doveva essere rarefatta, ma l’occasione è di quelle da non perdere.
Siamo all’ultima giornata, Torino e Juventus sono a pari punti. Il primo se la vede con la Pro Livorno, la seconda con il Napoli. I pronostici li danno vincenti e già pregustano il derby dello spareggio che dovrà assegnare lo scudetto.
Al Vomero, però, nessuno è d’accordo
Né in campo e né fuori campo. Il fischio d’inizio è alle 17,30. I granata attaccano e in breve affondano i livornesi
Allo Stadio della Liberazione, stipato all’inverosimile, circondato da gente che preme per entrare anche se non c’è più posto neanche per respirare, circondato da palazzi dove i tetti sono diventati corone di persone che in equilibrio precario fissano il campo, è tutta un’altra storia.
La Juventus fatica, i falli si sprecano, i tifosi imprecano e vogliano giocarla pure loro la partita, tentano più volte d’invadere il campo, celere e carabinieri si frappongono, i mezzi sono spicci, non ce n’é per nessuno, o meglio ce n’è per tutti.
Stesse scene anche fuori; cariche, sciabole sguainate, ragazzini che hanno già visto tutto e non hanno paura di niente e che, bene che va, il carabiniere sciabolatore lo considerano il divertimento del momento.
Indimenticabile
A bordo campo, commovente, Nicolò Carosio.
Gigante delle parole, elegante di un tempo passato, doppiopetto, pochette al taschino, odore di brillantina che arriva fino a noi, foglietto in mano e matita che forse chiamava lapis pronto a prendere appunti veloci da restituire al microfono piazzato lì davanti.
Sono gli anni della radio anime belle, parole libere come oggi non potete neanche immaginare, anni eroici, racconti epici.
L’inverosimile
Al 58esimo del secondo tempo Berto Busani, parmigiano, ala di talento che le ali sembra averle attaccate ai piedi, segna e porta in vantaggio il Napoli.
Lo stadio esplode, il Vomero esplode, Napoli esplode ed esplode pure una gran fetta d’Italia, quelli che tifano il Grande Toro che annusano lo scudetto e quelli che non amano la Juventus.
Non dura molto. Vuoi o non vuoi la Juventus è forte e hanno Silvio Piola, che non è un attaccante qualunque, è lui ed è già un mito. Appena cinque minuti e Piola segna recuperando il pareggio.
La grande metafora
La partita finisce lì, con un risultato che inchioda la Juventus al secondo posto e assegna lo scudetto al Torino.
Finisce lì il campionato dell’Italia di Mezzo, quella del tempo sospeso che doveva attrezzarsi per lasciare spazio alla vita che tornava.
Nella grande metafora del calcio, ancora una volta lo sguardo fotografico di Riccardo Carbone ha rapito immagini per portarle fino a noi, per farci ricordare quando avremmo scordato tutto, per farci conoscere quando avremmo ignorato tutto.
Potremo mai ringraziarlo abbastanza?