Walthamstow, Londra 1962. Il documentario si apre su una strada affollata dove diverse signore ben vestite osservano una vetrina e tentano di coprirsi dal vento che soffia forte; da un lato compare un’altra figura che potrebbe essere facilmente scambiata per una delle tante massaie.
Zoom.
La donna ha un bel viso sorridente, indossa un elegante paio di occhiali e un rossetto brillante. Fuoricampo la voce sottolinea “alcune donne si rifiutano di diventare schiave della routine e del tran tran quotidiano, Miss Beryl Swain è una di quelle”.
Dissolvenza.
La donna ricompare non più avvolta nella bella pelliccia di prima, ma stretta in un completo di pelle a bordo di un grande campo fangoso.
Per capire, facciamo un passo indietro.
Cercare una via
Beryl Swain nasce a Walthamstow nel 1936 e cresce nella tranquillità della suburbia inglese.
È una bambina gentile, educata, con grandi occhi azzurri curiosi che divorano tutto quello che vedono e si perdono a inseguire i profili delle colline inglesi. Poi arriva la guerra e il cielo si guarda per scorgere macchie nere che non promettono nulla di buono. Quando tutto finisce, quel luccichio degli occhi sembra essere perso per sempre, ma la vita ha solo bisogno di tempo.
Spesso, a tarda sera, i genitori si ritrovano in cucina a parlare a bassa voce.
Vedrai che andrà tutto per il meglio, sussurra la madre al padre, ha solo bisogno di tempo, così come tutti.
Beryl non si fa sentire, ma ascolta tutto da dietro la porta.
Me lo auguro mamma, me lo auguro davvero sussurra.
Eddie
Il tempo passa, la vita vince.
Nel 1958 Beryl sposa Eddie Swain, proprietario del negozio locale di moto e grande appassionato di sport, conosciuto proprio mentre giocava nel fango del campo di rugby del quartiere.
Da subito qualcosa si accende dentro Beryl.
La mattina si sveglia presto, si veste in fretta e accompagna Eddie al negozio per poi andare in un ufficio lì vicino dove è impiegata.
Ogni mattina, però, dalla colazione in poi, le sue domande diventano sempre più fitte. Beryl vuole sapere tutto dei misteri che trapelano da quel mondo fascinoso che intravede nel negozio del marito.
Come si cambia una ruota? I freni dopo quanto si consumano? Potrò mai imparare a guidare anche io?
Eddie ascolta il fiume di parole che lo investe ogni giorno e naviga tranquillamente nella corrente, cerca di soddisfare la curiosità della moglie e sorride ogni volta che la vede scomparire nel retro bottega.
Beryl in quei momenti di solitudine si chiede se pesi a suo marito questo continuo fiume di domande, forse si è spinta troppo oltre nel chiedere di poter imparare a guidare lei stessa.
Quel giorno in garage
Sembra un giorno come tanti.
Beryl ed Eddie sono a casa ognuno indaffarato nelle proprie cose quando lui le chiede di seguirlo in garage.
3,2,1… sorpresa! Davanti a Beryl c’è una motocicletta nuova, lucida e con il manubrio abbastanza basso da essere maneggiabile anche per lei che alta non è mai stata.
Per Beryl questo momento non è solo la prova (non che fosse necessaria) dell’amore di Eddie, ma anche il tacito assenso che “sì, posso insegnarti a guidare”.
Mi sembra di vederla Beryl con gli occhi che brillano, forse anche lucidi per l’emozione, occhi che devono aver accecato anche Eddie in quel momento.
Si torna a scuola
Iniziano così mesi di lezioni, prima teoriche e poi pratiche.
Prima lungo le strette vie vicino casa, poi più lontano verso le grandi autostrade e infine nelle campagne dove Beryl si entusiasma al far salire i giri del motore mentre una divora una strada sterrata.
Eddie la segue sempre e quando le vicine di casa si affacciano per vederli guidare insieme non lo fa neanche notare a sua moglie, per lui è normale. L’unico ringraziamento che vuole è il sorriso di Beryl quando si sfila il casco dopo un pomeriggio di pratica.
La prima gara
Un pomeriggio, mentre sbriga alcune faccende in giro per la città, Beryl nota una locandina un po’ sbiadita dalla continua pioggia che non accenna a smettere: “Gara di Snetterton and Brands Hatch, dove tutti sono invitati”.
Beryl vede la foto di una grande motocicletta in primo piano e si sente percorrere da un fremito. È ora di mettere in pratica tutto quello che Eddie le ha insegnato. Deve partecipare. Strappa la locandina e torna a casa di corsa. La decisione è presa e si deve organizzare bene.
Il giorno della gara è un caleidoscopio di luci e colori che si susseguono. Le emozioni si affollano: la sveglia all’alba per arrivare sul luogo di gara, il camioncino del negozio di Eddie con dentro la sua moto, l’odore di benzina che si mischia con l’umidità che sale dalla terra, il cuore che batte all’impazzata mentre segue il conto alla rovescia prima della partenza, le urla che la inseguono, la gioia di tagliare il traguardo.
La prima esperienza agonistica si conclude senza un grande risultato. Portare a casa l’attestato di partecipazione, però, incorniciarlo e appenderlo in bella vista sulla parete della sala da pranzo è una soddisfazione impagabile.
L’esperienza è fugace, le giornate di Beryl tornano a scorrere tra lavoro e giri in moto, ma l’idea di gareggiare non la lascerà più.
Il Tourist Trophy
Quel giorno i coniugi Swain sono in negozio a fare l’inventario quando, fra chiavi inglesi e catene, Beryl rompe il silenzio.
“Tu lo sai che a giugno si corre il Tourist Trophy all’Isola di Man, vero?” chiede lei.
Eddie la guarda e sbarra gli occhi: certo che lo sa. Il Tourist Trophy è solo una delle gare più pericolose d’Inghilterra, forse il più pericoloso circuito su strada del mondo che spesso miete vittime tra piloti e spettatori.
“Beryl no”. Mente, ma è l’unica cosa che riesce a dire.
Il fatto è che gli occhi di Beryl non aspettano la risposta di Eddie per accendersi. Lui quel luccichio lo conosce bene e sa che sarebbe inutile cercare di farle cambiare idea. Se solo avesse avuto qualche dubbio, le mappe dell’isola di Man che Beryl tira fuori dalla borsa glielo avrebbero fatto svanire all’istante.
È già tutto segnato. Il pennarello rosso ha tracciato un percorso tra case, coste, montagne…tutto quello che c’è nei sessanta chilometri di gara è lì.
Eddie e Beryl si guardano e non riescono a non sorridere.
Che l’isola sia accogliente con loro!
Giugno 1962, Isola di Man
Beryl Swain entra nella storia: è la prima donna a partecipare da solista al Tourist Trophy.
Quel giorno il vento soffia forte e nubi cariche si addensano all’orizzonte, ma tutto sommato lei è tranquilla.
Già più di uno le ha chiesto se sta accompagnando suo marito alla gara, e la fanno sorridere le loro espressioni quando specifica che in verità quel partecipante registrato come Swain B. è proprio lei.
…e poi la corsa
Eddie è preoccupato ma tenta di non darlo a vedere.
La aiuta a sistemare il casco con le due stelle disegnate sul davanti, le chiede di fare tanta, tantissima attenzione, la bacia e la guarda allontanarsi verso la linea di partenza con la sua Itom.
È un attimo.
Il grande silenzio che Beryl ha dentro diventa immagini che si susseguono, rumori che si sovrappongono, marmitte che scaricano, fango che arriva ovunque, grida dalle tribune e da bordo strada. Il paesaggio cambia in continuazione, dalle case del porto fino ai solitari pali della luce in campagna.
Quando termina i due giri previsti per la sua categoria, quella dei 50 cc, a Beryl sembra di essere appena salita in sella.
Al traguardo è ventiduesima, ma per lei è come essere sul podio.
Quando annunciano i risultati, tanti vengono a stringerle la mano per congratularsi con lei per il coraggio di aver affrontato una gara non da poco. “Non tutti gli uomini lo avrebbero fatto” le dicono.
Può anche darsi che sia un complimento, ma non sono parole dette a caso. Sono parole che raccontano un mondo con cui Beryl sta per entrare velocemente in rotta di collisione.
Ritorno al passato
Con l’euforia della gara Beryl ed Eddie tornano a casa.
Beryl continua a gareggiare in altre corse e, ormai diventata un personaggio noto, annuncia che il prossimo anno tornerà al Tourist Trophy, ma questa volta con una cilindrata maggiore, forse una 500 cc.
Per qualche singolare motivo, la cosa non piace a tutti. Anzi.
Proprio quando Beryl è pronta per iscriversi nuovamente al Tourist Trophy, la Federazione Motociclistica le revoca la licenza per gareggiare. Pur con diversi contrasti interni, la Federazione ha deciso che, considerata la difficoltà del percorso e le passate tragedie avvenute, è necessario imporre un peso limite da possedere per i partecipanti.
Di fatto si vieta alle donne di correre in qualsiasi competizione internazionale.
Qualcuno le dice che se sciaguratamente una donna dovesse rimanere vittima di un incidente, sarebbe una terribile pubblicità per la competizione.
A Beryl sembra solo una scusa. Probabilmente non ha torto. Non si rassegna facilmente. Parla con tutti, scrive a tutti, giornali, politici, ma non c’è nulla da fare e così non le rimane che continuare ad allenarsi nella speranza che un giorno il divieto venga rimosso.
Quel giorno lei vuole farsi trovare pronta.
Purtroppo non accadrà. Il divieto rimarrà sino al 1978.
Il caso Beryl Swain
Beryl lavora nel negozio di Eddie, ma le corse in moto rimangono il suo grande sogno. Soprattutto diventano il suo grande cruccio.
Eddie e Beryl si parlano e si guardano sempre meno e, quando accade, negli occhi di Beryl di la luce non c’è più traccia.
Il matrimonio finisce.
A Beryl rimangono solo il sogno e la delusione.
Il caso Beryl Swain non passa del tutto inosservato, però.
Il documentario che parla di lei dovrebbe renderle giustizia, ma quando lo vede in anteprima gli occhi le salgono al al cielo: “Lentamente ma in maniera inesorabile, le donne, il sesso debole, si stanno intromettendo nel dominio dell’uomo”.
Così dicono.
Proprio così.
La vita è da ricostruire
Beryl, ormai divorziata da Eddie, lavorerà in una catena di supermercati alimentari e continuerà a coltivare la sua passione per la moto a cui dedicherà lunghi e appassionati giri nelle campagne inglesi.
È qui, su queste strade, che negli anni la immagino volgere gli occhi oltre i soliti banchi di nubi e sentire il suo nome urlato dagli altoparlanti dei circuiti di mezzo mondo che la nominano, finalmente, campionessa.
Beryl, il tuo ultimo giro da queste parti lo hai fatto il 15 maggio 2007, ma io vorrei dirti ancora una cosa, tanto lo so che mi puoi ascoltare: Beryl, campionessa tu lo sei stata davvero.