Eravamo abbastanza in fissa con “Selling England by the pound“, ma al liceo io e Riccardo ci si esibiva a cappella con i successi del Quartetto Cetra. Per gioco, a richiesta dei compagni di classe, soprattutto per disturbare la lezione. Juke box de noantri, la più gettonata “Concertino”. Sì, bravi boomer d’antan, “al chiar di luna sotto il balconcino”. A noi però garbava un’altra canzoncina sempre leggera. “Che centrattacco” che diceva così: “Oh, oh, oh, oh che centrattacco Oh, oh, oh, oh tu sei un cerbiatto Sei meglio di Levratto, ogni tiro va nel sacco Oh, oh, oh, oh che centrattacco“.
Levratto, già. Virgilio Felice Levratto.
Lo sfondareti
Tra le due guerre, pochi calciatori entrano nell’immaginario della nostra cultura popolare con la stessa forza. Virgilio Felice Levratto, classe 1904. Prima di sfondare le reti, sfonda le scarpe. È da questi particolari che si giudica un calciatore, da quanto fa dannare i genitori. A Felice va di lusso, papà Antonio borbotta ma è calzolaio, deve solo badare alle ciabatte altezza uomo lanciate da mamma Angela. A 14 anni firma il primo contratto con il Vado, la squadra della sua città – Vado Ligure – dove i suoi si sono trasferiti da Carcare, una trentina di km all’interno, sempre nella provincia di Savona. Nel Vado gioca anche Dante, fratello più grande, bravo e con la testa sulle spalle, se non ci fosse lui. Felice è squinternato, fa impazzire in egual misura i suoi cari e la difesa avversaria, ma poi a ben pensare non fa mai nulla di male, è un bravo figlio. Il Vado partecipa al campionato ligure di promozione e si ritrova tra le 37 squadre iscritte alla prima edizione della Coppa Italia, manifestazione nuova, siamo nel 1922, formula confusa e calendario di più. Non ci sono i club più importanti, si parte ad aprile per arrivare alla finale di luglio dove, proprio a Vado Ligure, la squadra rossoblu di casa affronta la blasonata Udinese. Sotto la direzione del bolognese Pasqualini si gioca una partita spigolosa, i tre fratelli Babboni cuore ed anima del Vado FC 1913, l’Udinese risponde colpo su colpo, si va ai supplementari ancora a reti inviolate, a soli due minuti dallo scadere che avrebbe portato alla ripetizione della partita, Levratto carica finalmente il suo micidiale sinistro e batte Libero Lodolo, il portiere bianconero. I presenti giurano: la palla ha bucato la rete tanta la violenza del pallone scagliato.
1922. Vado al massimo
Quante volte scorrendo l’almanacco del calcio ci siamo soffermati sulla prima riga dell’albo d’oro della coppa nazionale: 1922 Vado. Solo il Napoli 1961-’62 riuscirà nell’impresa di vincere il trofeo pur non militando nella massima divisione. Comincia così, non ancora diciottenne, la leggenda di Levratto “sfondareti”, terrore dei portieri, per noi – generazione messicana – semplicemente Riva prima di Riva. La mitologia parla dei pomeriggi trascorsi a calciare una palla pesantissima realizzata con gli scarti delle frattaglie del macellaio dove lavorava la mattina per portare due soldi a casa, di altre sei reti stracciate in carriera, dei denti saltati al portiere lussemburghese che non aveva fatto in tempo a farsi da parte quando tu per tu ad affrontarlo in uscita.
Una grande carriera a ridosso degli anni d’oro del nostro calcio
Da Vado, 53 reti in 50 presenze, passa a Verona, 15 reti in 20 presenze. È nella nazionale olimpica di Parigi ’24, usciamo ai quarti nella sfida di Colombes con gli svizzeri poi finalisti. Inevitabile il salto verso una big, lo scudettato Genoa Cricket and Football Club. Sono 86 reti in 188 presenze inframezzate dall’azzurro dei Giochi di Amsterdam ’28 dove è assoluto protagonista (4 reti in 5 presenze) e dalla partecipazione alla prima fase della tostissima Coppa Internazionale che copre quattro anni dal 1927 al 1930. Alle Olimpiadi cediamo di misura al grande Uruguay (3-2), Levratto va in rete con mezz’ora ancora da giocare, ma si spengono tra le mani de “El Buzo” Mazali gli ultimi nostri tentativi per raddrizzare il confronto. L’ultima in nazionale è l’amichevole di San Siro del 2 dicembre 1928, 3-2 agli olandesi, la chiude Adolfo Baloncieri, un altro che la porta la vede, dal dischetto. Il bilancio complessivo con i moschettieri di Vittorio Pozzo è 11 reti in 28 partite, parliamo di anni dove proliferano attaccanti di talento superiore nel nostro calcio.
Al fianco dei grandi
Con il balilla Meazza gioca nell’Ambrosiana stagione 1932. Sono 71 reti tra i due in due stagioni, 25 di Levratto, ma lo scudetto – costantemente inseguito nel corso della sua carriera – non arriva, c’è da fare i conti con la Juve super del quinquennio. Con Silvio Piola gioca nella Lazio dal 1934 al 1936, 8 reti in 50 presenze, buoni piazzamenti tra il quinto ed il settimo posto. Chiude nella sua Savona, come ritiene giusto, senza perdere il fiuto del goal: 24 reti, 46 presenze anche se poi accetta il doppio ruolo allenatore/ giocatore tra Castellammare di Stabia e Cavese prima, ormai 38 anni, di appendere la fatidica scarpetta sinistra al chiodo.
Apoteosi viola
Resterà in campo fino alla fine, centrando finalmente – come vice di Fuffo – lo scudetto più bello, della magnifica Fiorentina 1956. La Viola di Sarti, Cervato, Magnini, Chiappella, Gratton, Segato, Julinho, Virgili e, di mito in mito, Miguel Montuori. È Felice davvero quel giorno, il 3 giugno, Levratto. Gigante buono, spacca porte, saldamente ancorato ai principi dello sport, capace di portare palla per cinquanta metri, proteggendola per poi lasciarla andare come si fa con un bravo figlio. Che centrattacco!
Virgilio Felice Levratto
(Carcare, 26 ottobre 1904 – Genova, 30 giugno 1968)