“A due tocchi“. “Falla girare“. Si sgola il mister, ben attento a star fuori dell’area tecnica come per dare più peso alle parole. Non ce n’è bisogno, i suoi ragazzi sono cresciuti così. Quelli sono i comandamenti della scuola calcio: possesso e muovere palla veloce. Guadagni campo, fai correre l’avversario, hai più possibilità di trovare l’imbucata.
Vangelo predicato, diverse le sfumature, da nord a sud del pianeta calcio, dal Brasile numero uno del ranking FIFA a San Marino ultimo gradino della scala di valori raccontata dall’algoritmo di una federazione forte di più adesioni delle Nazioni Unite (211 vs 193).
Bando alla nostalgia del gioco che fu, non sono di quelli, o meglio lo sono ma di rado e mai davanti ad un under 18.
Oggi però, dopo la prova in cantina con la mia banda rock, più punk che rock, mi vedo con Jennifer e andiamo insieme al parcheggio del centro commerciale per incontrare Doc, scienziato forse eccentrico sicuro, che ci vuol far vedere questa macchina del tempo di cui non smette di parlare. Lui dice anche che c’è sempre un ritorno al futuro. Vallo a capire.
Doc: “Siete in ritardo. Salite dai, allacciate le cinture”
Wow! 88 miglia orarie e boom.
Il display dice martedì 25 giugno 1957, il localizzatore che siamo appena fuori Stoccolma.
Cosa ci facciamo in un piccolo stadio e chi sono queste due squadre che si stanno affrontando?
Il tabellone indica il punteggio, 4-1 per gli ospiti (ma è la Juventus!) e non siamo ancora alla mezz’ora. I gialloneri locali sono l’AIK Solna ed è un’amichevole di quelle che si farà fatica a trovarne traccia sui giornali. Eppure si ritaglia un posto nella storia. Questa partita, questa amichevole sconosciuta, è l’esordio assoluto di Omar Sivori nel calcio italiano.
Jennifer: “Dai, Marty, che fai? Hai l’acqua negli occhi? Per la Juve? Per Sivori? Dimmi di lui…”
Sivori non è una scommessa. È un ragazzo di 22 anni, già 63 partite e 29 reti con i Millonarios, fresco dominatore con la nazionale argentina della Coppa Sudamericana: otto reti alla Colombia, 6 al Cile, 4 all’Uruguay, 3 a Brasile ed Ecuador, sconfitta indolore con il Perù a giochi chiusi. Per lui la Juve ha sguinzagliato Renato Cesarini che della A conosce pregi e difficoltà e conferma che “OK il prezzo è giusto“, la trattativa si chiude con 190 milioni di lire a favore del club platense.
Italiano di laggiù
Omar Sivori è di San Nicolás de los Arroyos, vicino a Buenos Aires ma le distanze laggiù non sono le nostre. Sangue italiano – nonno Giulio è ligure di Cavi di Lavagna, mamma Carolina abruzzese di Tornareccio – Omar è piccolo ma quadrato (1.63×59) con una capoccia grossa così, due polpacci e un talento fuori proporzione.
Arriva e si prende subito una maglia che è un destino: la dieci.
Il giorno dell’amichevole dimenticata di Stoccolma la prima linea è Hamrin, Boniperti, Charles, lui e Stivanello.
Ha dormito zero, da settimane combatte con il cambio di fuso, malcapitato compagno di stanza è il buon Bruno Garzena – così ha deciso la partita a scopone – che deve fare l’alba con le sue domande: “Dimmi tutto dell’Italia. Della tua fidanzata? Dei tifosi? Che fai dormi? Dai parliamo…altrimenti divento pazzo“.
Omar recupera le ore alzandosi a mezzogiorno, salta la colazione ed arriva puntualmente in ritardo all’allenamento. È così, prendere o lasciare, simpatico da morire, battuta pronta, ma quando è dentro al rettangolo più bello che c’è, si trasforma in altro.
Il risultato dell’amichevole? Da fantacalcio, ma lo trovate dopo.
Jennifer: “Continua. Dimmi di più…”
Quattro mesi dopo le tre amichevoli (e 26 reti!) svedesi, c’è un altro trittico in Inghilterra nel contesto dell’operazione Big John, gigante buono, Charles. Folgorante l’esordio dei due in campionato: 3-2 al Verona, entrambi a segno, tifosi e dirigenza si stropicciano gli occhi. Giocano con Leeds e, più avanti, Wednesday e Sunderland.
Sivori prende ancora di mira Garzena, il falco di Venaria, per giocarsi una cena per ogni tunnel a un avversario. Gli inglesi, palla o caviglia, sono il bersaglio ideale per la sua tecnica beffarda. A Boniperti chiede il passaggio corto, a metà fra lui e il malcapitato inglese di turno, Omar si avventa sulla palla, ruba il tempo, busta e vamonos. Alla terza cena Garzena si chiama fuori. Trucchi a parte, tre vittorie, dieci reti per la Juve, sei firmate dal Cabezon.
Ha ragione l’Avvocato, Omar sarà un maledetto vizio
Quel dribbling è diabolico, baricentro basso, il numero a effetto ma poi anche la sostanza, non sai mai se è istinto o calcolo, se gioca per sé o per noi, ma è senza dubbio fuori dalla classe. Sivori cerca il colpo di teatro a metà campo, ma fa lo stesso in piena area, dove conserva una lucidità fuori norma. Dall’altra parte vede il toro – la vita come un derby -; lui è il torero con il drappo rosso che ti fa imbestialire, ma non lo prendi. Gioca con i calzettoni giù per far capire al mondo che paura non ne ha, e più smadonni più godo.
Come nasce un amore
È con lui che il dieci diventa più di un numero, il dribbling più di un’emozione, il sinistro il piede. È con lui che milioni di italiani scelgono una squadra fuori dalle consuetudini: la squadra della mia città, la squadra di nonno e papà, la squadra della prima volta allo stadio, la squadra di quella sera in TV che sono diventato grande, la squadra del mio compagno di banco, la squadra con la maglia più bella.
Si diventa juventini per Sivori, l’irraggiungibile.
Genio irregolare
Sivori ne combina di cotte di crude, collezionando 33 giornate di squalifica in serie A. Un difensore al Cibali gli promette una partita d’inferno e lui che fa, ruba l’idea e gli fracassa il ginocchio al primo contrasto. Con la Samp, si ferma con la palla sulla linea di porta per dare un’ultima possibilità al difensore per poi beffarlo, spostando la palla con la suola dello scarpino. Con il Padova dal dischetto, catechizza il portiere: “te la metto a sinistra“, per tirare poi a destra, nessuno gli crede quando cerca di discolparsi “sinistra tua, volevo dire, non mia“. Mai punzecchiarlo. “Sei bravo, ma hai un piede solo“. Risponde con quattro giri di campo palleggiando solo di sinistro: “Siete sicuri mi serva il destro?”. E ancora: “Sei bravo, vediamo quante volte prendi i legni da fuori area“. Nove su dieci, non male, dichiarando in anticipo quando palo, traversa o incrocio.
Irripetibile, malandrino, divertente
Con la Juve Omar Sivori vince tre scudetti compreso quello della prima stella, tre coppe nazionali ed il pallone d’oro 1961. 167 reti e 253 partite. Le sfide con il Real pigliatutto di Di Stefano e la marcatura rude di Pachin: nessuno aveva mai vinto prima a Madrid. I derby, reti decisive e scazzottate. Con la nostra nazionale, angelo sporco, otto reti e nove partite. Numeri che non dicono nulla, giocatore irripetibile, malandrino, divertente, senza la generosità di Charles e la linearità di Boniperti, senza tante altre cose, ma che non abbiamo mai smesso di cercare. Da sempre allo stadio, in TV, anche nel campetto sotto casa, quando vedo un dribbling, insistito (fruttuoso o meno conta niente), il mio pensiero va diritto a lui. George Best, Gigi Meroni, chissà Kvara, chi ama sa cosa proviamo a dire: senza rancore per il tic toccare di ora.
Ritorno al presente
Marty:”Cavolo, guarda abbiamo meno di due minuti. Allaccia la cintura, Jennifer. Si torna”.
90 miglia orarie e boom!
“Doc, non ci crederai, la macchina ci ha catapultato indietro di 66 anni, la mia età ora. Siamo stati a…”.
Doc: “Lo so, Marty, siete stati in Svezia. Hai visto Omar Sivori, il tuo idolo. Una partita di cui non avevi memoria né puoi trovare immagini. Avevi quattro mesi”.
Marty: “Ma…”
Doc: “Ma, niente…la macchina ha letto nella tua mente ed era quello che desideravi più di ogni altra cosa. Bello, vero?”
Marty: “Meraviglioso. Non te l’ho mai detto, ma io sono juventino per lui. Mio zio Italo (romanista) era militare a Torino e mi spedì una foto cartolina di Omar Sivori. I calzettoni giù li avevo già, gioco facile, timbrato a vita. Nessuno ha generato tanti nuovi tifosi per un club, almeno in Italia. Ma che paese era l’Italia all’inizio degli anni sessanta?”
Doc: “Vero, ma perdi colpi. La storia me l’hai raccontata già mille volte. A proposito, com’è finita a Stoccolma?”
Marty: “10-1 per noi. Sesto goal del Cabezon al minuto 43. Io in piedi, senza parole, ma come fosse una finale. Che poi la giocarono a pochi km da lì la finale mondiale un anno dopo. Doc, sei come Sivori. Un fottutissimo genio. Come hai fatto?”.
Doc: “Si può forse spiegare un dribbling?”.
(NdA)
Che gran fatica addormentarsi la sera a una certa età. C’è chi usa la tecnica dei marines, chi mette la punta della lingua dietro gli incisivi superiori, chi la monotonia delle onde delta. Io penso sempre di dribblare il mio avversario, tornare indietro per dribblarlo ancora, alzare la testa e…io sono Omar Sivori.
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