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Oscar “Ringo” Bonavena. El campeón eterno

Da Buenos Aires a Reno, una parentesi che si apre e si chiude, in mezzo un destino che significa ring, sudore e una vita da irregolare. Peso massimo con i pugni e nell'anima, Oscar Bonavena si scontra con i più grandi, si fa beffa del buon senso e si fa fermare solo da una pallottola.
Oscar Bonavena

Tra i più grandi massimi di sempre, Oscar Bonavena, perse solo due incontri tra i dilettanti. Una delle due sconfitte non la mandò mai giù, gli costò il posto alle Olimpiadi di Roma. L’oro andò al nostro Francesco De Piccoli e quello dei massimi leggeri ad un certo Cassius Clay. Da professionista salì sul ring 68 volte, 44 KO e 58 vittorie complessive. Un’icona dello sport argentino. El campeón eterno

Il predestinato

Il papà racconta che quando lo ha visto, appena nato, non ha avuto dubbi: questo è un pugile. Naso rincagnato e pugni chiusi. La mamma racconta che a sette anni gli regalò un paio di guantoni, dei pantaloncini rossi con sopra scritto Joe Louis e, per esser certa che il premio per la migliore maschera di Carnevale della scuola fosse suo, bruciacchIò un tappo di sughero per fare più verosimile la somiglianza al leggendario brown bomber. Due episodi, un destino. Ad Oscar Natalio piace il calcio, sogna l’Huracàn allenato da Luis Monti fino a qualche anno prima, ma con quei piedi piatti non vai da nessuna parte. Cresce e cresce parecchio, spalle braccia mani. Il nonno lo aiuta a trovare un lavoretto in macelleria, si incolla pezzi di carne grossi così, penso a Carnera nella falegnameria francese, al basco Urtain con le pietre. A casa si intrecciano due dialetti forti, calabrese e ciociaro, la cucina sembra il cortile di una scuola a ricreazione, baccano e ragazzini ovunque, quanti sono i fratelli, sette, nove dieci.

Oscar ha bisogno di spazio e di regole

Ring e corde, esatto. Sedotto, lui nato per sedurre. Non è altissimo per un peso massimo, avete presente Tyson?, mancino convertito dai maestri al destro, un jab che parte da sotto ed arriva pronto, a pentirsi di averlo sfidato. I numeri da dilettante e poi tra in professionisti sono da campione, sono numeri che portano migliaia di appassionati a gremire il mitico Luna Park di Buenos Aires per la sfida con Gregorio Peralta, il detentore della cintura nazionale. Incontro durissimo, dominato da Oscar, smargiasso prima e durante il match, ma poi sorpreso quando Gregorio rifiuta l’invito a casa per le fettuccine di mamma Domenica.

Oscar Bonavena

Diventare Ringo

È il 4 settembre 1965, le strade della boxe portano negli USA, può non piacere ma è così. Oscar Bonavena sbarca da conquistador, numeri ma anche modi. La vecchietta ye ye che lo incrocia a Times Square gli chiede se è lui Ringo Starr, capelli corvini ok, ma chissà dove l’aveva visto il batterista dei Beatles. Da allora, per tutti, è Ringo e a lui non dispiace. Piega Chuvalo, Davila, si prende la rivincita con Zora Folley. Ritrova anche Peralta, oramai sbiadito, a Montevideo. Balla sul ring, porta pochi colpi, si fa trovare impreparato due, tre volte. Alla fine è pari, si saprà che la borsa va tutta al vincitore e divisa solo in caso di parità. A Ringo che l’avversario prenda pugni e non quattrini non va bene, anche se non esita a rinfacciargli ancora quel pranzo declinato. Oscar è così, perde le staffe, segue l’istinto, se gli dici “sette”, lui risponde con i vizi capitali non con le meraviglie del mondo. 

Contro Frazier. Contro Alì

Joe Frazier ha 11 incontri da pro, 11 ko, solo una volta il gong di inizio round ha suonato cinque volte. Oscar Ringo Bonavena può essere un osso più duro del previsto, ma da qui a vedere Frazier due volte al tappeto…eppure accade. L’americano deve trovare forze che non sa di avere e la vittoria, vince ai punti ma è molto, molto controversa. 
Due anni e tre mesi dopo l’inevitabile replica, stavolta titolo mondiale in palio. Nuova battaglia senza esclusione di colpi, verdetto più nitido ancora a favore di Smoking Joe. Oscar Ringo ha perso il treno, ma non la faccia, anzi resta un massimo da paura, mai al tappeto, tosto e spettacolare. L’avversario ideale, credibile forse prevedibile, per il ritorno in gran stile di Muhammed Ali dopo lo stop forzato. Al Madison vanno in scena quindici riprese di un’intensità rara preceduto da conferenze stampa ed operazioni di peso degne di due personaggi perfetti per il barnum della grande boxe. Bonavena cede nel finale, va giù tre volte, è l’unica resa. L’Argentina lo accoglie come si deve. Da eroe. 

Oscar Bonavena

Nessuna regola

Oscar continua ad allenarsi e a battersi per altri sei anni, poi a febbraio ’76 decide ok, basta, schivare colpi non riesce come prima, l’anagrafe dice 33, lui se ne sente addosso il doppio, poi due ore dopo 20, la sua vita è oramai un roller coaster.
Lui ama il divertimento, ama la moglie ma non resiste alle altre donne, lo attrae quello che si ingarbuglia, gioca e fa sul serio. Lo trovi nelle bettole dove l’alba non arriva mai, le luci sono della polizia e c’è chi scappa, chi è troppo ubriaco per farlo, chi è scemo di suo. Oscar ha due soldi eppure sceglie il peggio, calamita guai o forse è solo il contesto. Murphy, l’ingegnere aeronautico, ne ha fatto una legge. Oscar lo avrebbe preso per il collo, meglio, avrebbe conciato per le feste chiunque si fosse giocato l’adagio sfoggiando cultura spicciola.

Oscar Bonavena

Solo una pallottola può fermarlo

Ha in tasca i dollari giusti per un biglietto destinazione Buenos Aires, questa è cosa sicura. Regalo di Joe in cambio di una promessa: “non devi più farti vedere“. Figuriamoci, Oscar non prende ordini da quando mamma tirava ceffoni veri, continua a ronzare attorno alla moglie di Joe, forse non è così, ma Joe ne è convinto e lo sbruffone ex pugile deve smettere di pensare che il ranch è casa sua. Sono lontani i giorni di Joe il promoter; durò poco, troppo irruente uno, troppo traffichino l’altro.
Brutto finale, Reno, Nevada dove quasi tutto s’aggiusta, la vita è dolce.
La piccola città più grande del mondo dicono i cartelloni, 300 giorni di sole l’anno, ma quel 22 maggio 1976 eclissi totale. Oscar è stanco, fumo denso e vedrai un giorno una birra prenderà il tuo nome, stanco da non trovare la roulotte dove dorme o solo incosciente. Torna a quel bordello che chiamano Mustang Ranch, Joe lo aspetta se è vero come è vero che uno scagnozzo dei suoi lo finisce con un colpo di pistola. 

Ringo e Escopeta

Raccontano i giornali che una folla come quella della veglia funebre al Luna Park, dove tutto era cominciato, e poi al Chacarita s’era vista solo per il re del tango, il mito Gardel. Con Carlos Monzon ci sono centinaia di migliaia di argentini. Tutti piangono il più predestinato, il più sottovalutato dei campioni del ring.
Tante immagini riportano ai due, Ringo vola via, Escopeta è al top. Una foto li ritrae all’ambasciata argentina a Roma, calici alti. Monzon guarda il fotografo, Bonavena il bicchiere. Era un grande pugile, debole, generoso, estroverso, innamorato, mai davvero violento

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Roberto Amorosino romano di nascita, vive a Washington DC. Ha lavorato presso organismi internazionali nell'area risorse umane. Giornalista freelance, ha collaborato con Il Corriere dello Sport, varie federazioni sportive nazionali e pubblicazioni on line e non. Costantemente alla ricerca di storie di Italia ed italiani, soprattutto se conosciuti poco e male. "Venti di calcio" è la sua opera prima.

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