Mi piace parlare di tennis in generale e dei principali tornei. Talvolta mi permetto anche di contraddire le opinioni di autorevoli commentatori, qualche altra volta di condividerle. Oggi invece desidero riferirmi in particolare al tennis argentino e al caso del recente ritiro di uno dei suoi campioni Juan Martin del Potro.
L’Argentina ha dato molto allo sport.
Penso ai grandi campioni nel calcio, Omar Sivori in un lontano passato e in tempi recenti Maradona, Batistuta sino ad arrivare all’attuale Lionel Messi. O nell’automobilismo, dove ricordiamo Juan Manuel Fangio, campione del mondo di Formula 1 nel 1951, 1954, 1955, 1956 e 1957; 52 Gran Premi disputati, 24 vinti e sul podio per ben 35 volte. E pure nella boxe, dove splende il nome di Carlos Monzon, pugile e attore, campione mondiale dei pesi medi dal 1970 al 1977, l’unico, il solo avversario di Nino Benvenuti, al quale strappò la cintura mondiale nel 1970.
Parlare di Juan Martin del Potro ci offre lo spunto per una breve riflessione su quanto l’Argentina abbia dato anche al tennis.
Lo sport con la rete a metà campo
Torniamo quindi allo sport con la rete a metà campo, il tennis appunto, che molti anni fa ci fece conoscere, tra i maschi Guillermo Vilas, e più avanti nel tempo, in campo femminile, Gabriela Sabatini di evidenti origini italiane. Nei giorni appena trascorsi anche i meno attenti a questo sport avranno sicuramente letto di Juan Martin del Potro e potuto conoscere più da vicino la fragilità del gigante buono di 198 centimetri.
Tutta la stampa di settore e non solo ha parlato di lui, del suo pianto e della sua speranza di poter tornare a camminare normalmente, ne parleremo anche noi qualche rigo più in basso, ma adesso e prima…
Guillermo Vilas
Nato a Mar del Plata, ha molti record nel suo palmares: 951 vittorie in singolo su 1248 incontri disputati da professionista, 62 titoli vinti, 4 tornei del Grande Slam, due in Australia, gli altri due a Parigi e a New York. Occupò la seconda poltrona del ranking ATP per ben 83 settimane. Ha detenuto anche il record di 53 vittorie consecutive sulla terra battuta, superato solo da Rafa Nadal nel 2006.
Ha giocato con tutti i più grandi dell’epoca, Connors, Mc Enroe, Newcombe e Nastase, ma è stato Borg, l’altro campione sulla terra rossa, colui contro il quale si è maggiormente accanito, alternando purtroppo per lui più sconfitte che vittorie.
Mancino, Guillermo Vilas amava giocare prevalentemente un tennis da fondo campo, aiutato dal suo dritto molto potente. La sua eccellente condizione fisica gli consentiva di battere i suoi avversari sulla lunga distanza. Mantenne sempre il rovescio a una mano, proprio nel periodo in cui tutti – invece – si adoperavano per imitare il campione svedese.
Incredibilmente non è stato il numero Uno per via di conteggi errati che l’ATP si è sempre rifiutata di approfondire.
Le cronache raccontano di tale Puppo, un giornalista argentino che insieme a un matematico riformulò, non moltissimi anni fa, i conteggi nel periodo 1973/1978, dimostrando che il rapporto elaborato al termine dei cinque anni era più attendibile di quello ufficiale. Probabilmente i due sono tuttavia rimasti inascoltati.
Gabriela Sabatini
È l’icona più nota del tennis femminile argentino. Il nonno David emigrò da Potenza Picena, in provincia di Macerata, e lì, in Sud America si insediò. Gabriela nasce nel 1970 a Buenos Aires dove inizia a giocare a tennis molto presto, tanto che a soli 13 anni si aggiudicherà il torneo per juniores di Miami, l’anno successivo diventerà campionessa mondiale juniores e ad appena 15 anni raggiungerà la semi finale agli Open di Francia – mai nessuno prima di lei – ed entrerà fra i top ten. In carriera giocherà per ben 18 volte una semifinale in tornei del Grande Slam, così in singolo, come in doppio, e si aggiudicherà nel 1988 la finale di doppio sull’erba – non proprio la superficie da lei preferita – a Wimbledon. Lo stesso anno conquisterà l’argento alle Olimpiadi di Seul. A 20 anni si aggiudicherà gli US Open. Complessivamente conquisterà 27 titoli in singolare su 55 finali disputate e non andrà mai oltre la terza poltrona del ranking WTA, sia nel singolo che nel doppio e per ben 10 anni ricoprirà sempre una delle prime dieci posizioni. Fra le note di colore, Gianni Clerici definì “atroce” il suo servizio.
Nella storia del tennis femminile sudamericano Gabriela Sabatini è seconda solo alla brasiliana Maria Bueno, che raggiunse i suoi maggiori successi (64 titoli vinti) nel periodo compreso tra il 1960 e il 1968 e tra questi numerosi Slam nelle varie specialità (singolo, doppio e doppio misto;
Juan Martin del Potro
E veniamo finalmente a questo campione. Sperava di disputare l’Open di Rio, al termine del quale avrebbe deciso cosa fare della sua vita di tennista; invece la sconfitta ad opera di Federico Delbonis, suo connazionale in Argentina, a casa sua, lo ha fatto desistere dal proseguire e così, dopo 22 titoli ATP, tra i quali gli US Open del 2009, a 33 anni, di cui 16 di professionismo con alti e bassi (solo per motivi di salute), Juan Martin prima di appendere la racchetta al chiodo, dichiara: “Non ho più energie per combattere, il dolore al ginocchio è troppo forte, devo curarmi e sperare di avere una vita normale. Quella di oggi rimarrà una giornata indimenticabile, me ne vado felice”.
Parole che commuovono, come tutto il percorso di questo atleta che avrebbe meritato, lo diciamo senza alcuna piaggeria – e sicuramente anche occupato – la prima poltrona se non avesse trovato davanti i tre marziani e se la sorte non si fosse messa così di traverso.
La dichiarazione di Juan Martin del Potro fa molto riflettere se pensiamo o ci riferiamo al tempo che stiamo vivendo, soprattutto nel nostro Paese, e non solo. Trentenni che non hanno ancora un lavoro, precari e chissà quando potranno avere una stabilità economica. Quarantenni, uomini e donne indifferentemente, che cominciano a ragionare su una ipotetica convivenza o a mettere su famiglia. Juan Martin del Potro ad appena 33 anni parla come se ormai avesse fatto tutto o visto e conosciuto la vita in tutte le sue pieghe. Già Federer e la sua lenta uscita dal circuito ci sorprende meno, forse per via della sua età, e ci sembra anche più giusto. Sugli spalti di Buenos Aires, quel giorno per la prima volta era presente anche la mamma di Del Potro per salutare ed applaudire il figlio.
L’affetto degli avversari
I colleghi Andy Murray, Tsitsipas e Tiafoe, giusto per citarne alcuni non hanno lesinato parole di stima e affetto per l’avversario che hanno temuto in campo e rispettato fuori del rettangolo di gioco. Lo scozzese ha dichiarato di sapere cosa significa soffrire quando il male si accanisce contro, per gli altri due l’argentino è stato un modello di stile, come uomo e come tennista. Tutti temevano il suo dritto potentissimo. Un altro giovane statunitense, Taylor Fritz ricorda che in un doppio con la “Torre di Tandil” – Tandil è la città di origine del campione argentino – l’emozione di essergli accanto fu tale da confonderlo e da far perdere l’incontro a causa sua. Manifestazioni di affetto caldo e profondo anche da Gabriela Sabatini e Guillermo Coria che erano lì in tribuna.
I successi di Del Potro
Abbiamo detto degli US Open del 2009, ma nel 2016 il ragazzo guidò l’Argentina al successo in Coppa Davis, nel 2018 si aggiudicò il Master 1000 di Indian Wells, alle Olimpiadi di Londra nel 2012 salì sul terzo gradino del podio, quattro anni dopo si fermò sul secondo, a Rio; al primo turno di quella Olimpiade mise fuori gioco Djokovic.
Nel febbraio del 2014 si acutizzò il dolore al polso (i primi segnali risalivano a due anni prima) che lo costrinse al ritiro. A marzo si operò, riprese a giocare nel gennaio dell’anno successivo, appena il tempo di qualche palleggio prima di tornare in sala operatoria a fine marzo 2015 e poi di nuovo per la terza volta lo stesso anno per un intervento sempre allo stesso polso. Il 2016 pare sia l’anno della rinascita anche grazie alla vittoria in Davis.
Una vita nuova
Ma dal 2019 ad oggi lo attanaglieranno i problemi al ginocchio che lo vedranno entrare e uscire dal terreno di gioco con grande frequenza.
Ma questa non è vita per un campione.
Adesso non rimane che possa curarsi e tornare sui campi per insegnare ai tanti bambini tennisti in erba come diventare numeri uno nella vita sportiva e in quella fuori dai campi.
A 33 anni si ha ancora tutta la vita davanti per ricominciare.
Per fortuna.