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1935. Il giro del mondo di Geraci e Dominici

27.775 miglia in 399 giorni di navigazione a vela.Tra tempeste, pirati e cannibali, nel 1935 Francesco Aurelio Geraci e Rosario Dominici compiono l’impresa e circumnavigano il globo a bordo della “Mas”, goletta di appena 10 metri.
Giraci e Dominici

Nel 1935 due italiani, i “marinai” messinesi Francesco Aurelio Geraci e Rosario Dominici, a bordo di un’imbarcazione a vela, la goletta Mas (Memento Audere Semper) conclusero la circumnavigazione del globo. L’impresa, storica per i tempi e i mezzi usati dai due navigatori, fu patrocinata dalla Lega Navale Italiana. Geraci, nativo di Giampileri, villaggio della riviera sud di Messina, che fu anche ufficiale della Regia Mari­na, sacrificando tutti i risparmi del decennale lavoro marittimo a bordo delle navi della Libera Navigazione Triestina, nel 1932, progettò la barca, una goletta lunga 10 metri.
L’allora ventiduenne Dominici, nato a Paradiso sobborgo marino a nord della città dello Stretto, stu­dente del locale Regio Istituto Nautico, come già lo era stato Geraci, divenne coprotagonista dell’impresa nell’ottobre del 1933, sostituendo nell’equipaggio, do­po l’infruttuoso tentativo di una prima partenza, l’indi­sposto capitano spezzino Paolo David.

La partenza del 1932

La barca a vela, pontata, lunga appena dieci metri, fu costruita nel cantiere partenopeo Ciro Pellegrino e partì il 18 agosto 1932, dal molo Pisacane di Napoli per “l’ardimentoso raid” marittimo di due anni. Passata Gi­bilterra, 27 giorni dopo, in Atlantico, con rotta per Tangeri incontrò l’Amerigo Vespucci e la Cristoforo Co­lombo che rientravano in Mediterraneo nella loro seconda campagna d’istruzione al comando dell’amm. div. Romeo Bernotti, comandante della Accademia navale negli anni 1932,1933 e 1934. La goletta Mas, dopo aver attraversato l’Oceano Atlantico, incappando fra l’altro in mezzo a quella tempesta tropicale che causò molti danni sulle coste di San Domingo, Cuba, etc. a febbraio 1933, fu tra­sportata in Italia a bordo del transatlantico Orazio della NGI dopo l’interruzione del viaggio per il peggioramento delle condizioni fisiche di Paolo Davis.

Da Puerto Columbia al Tevere

L’avventura riprese l’8 ottobre 1933, dal porto di Puerto Columbia, dove si era interrotta, con la Mas, trasferita a bordo del transatlantico Virgilio, riprende, con il nuovo compagno Dominici. La barca fece infine ritorno in Italia nel maggio del 1935, dopo avere percorso 27.775 miglia in 399 giorni di navigazione.
Durante i lunghi giorni di navigazione le situazioni di pericolo e i momenti drammatici non manca­rono di certo, ma il mattino del 7 giugno 1935 la goletta, risa­lendo a vele spiegate il Tevere, approdò alla banchina del porto di Ripa Grande a Roma, dopo essere stata festeggiata a Scaletta Zanclea, ove risiedevano i genitori del capitano Geraci.
L’edizione nazionale del Corriere del po­meriggio, venerdì 9 novembre 1934, titolò: Il giro del mondo di Geraci e Dominici, dando notizia dell’impresa dei due messi­nesi. Sempre sul Corriere della sera, nell’edizione nazionale del 27 giugno 1935 si leggeva del giro del mondo in barca compiuto da due italiani.

Vita di bordo

Durante il lungo periodo di navigazione” – si legge nel memorandum di Geraci e nel diario di Dominici, oggi gelosamente custodito dagli eredi – “ci alternavamo ogni quattro ore nel turno di guardia, quando il tempo lo consentiva, altrimenti rimanevamo svegli quanto era necessario. Spesso, non dormivamo per più giorni e problemi si avevano per l’alimentazione, principalmente costituita da cibi in scatola, gallette, patate, cipolle e pesce fresco che pescavamo in abbondanza specie nella traversata Panama – isole Galapagos. A seconda delle traversate e delle possibilità di riforni­menti, avevamo a bordo viveri per tre mesi e 600 litri d’acqua che usavamo solo per bere, per il caffè e per cucinare, quando era possibile. Per lavarci usavamo acqua di mare e facevamo la doccia durante i forti e frequenti piovaschi tropicali.”

Tempeste, pirati e cannibali

Anche in Oceano Pacifico, almeno per la metà occidentale, dalle isole Samoa allo Stretto di Torres fu una sequela di violenti fortunali. L’Oceano Indiano si rilevò relativamente tranquillo, anche perché l’imbarcazione riuscì ad evitare una formazione ciclonica a nord-est delle isole Seychelles. Il Mediterraneo, al ritorno, non mancò invece di creare problemi a Geraci e Dominici, specie sotto Candia e nel tratto Golfo di Policastro-Napoli.
Le traversate più lunghe del viaggio sono state da Las Palmas a Trinidad di 2980 miglia superati in 34 giorni; da Panama alle Isole Galapagos, circa 800 miglia in rotta diretta, ma per via dei venti divenute 2563 impie­gando 62 giorni; dalle Galapagos alle Marchesi di 3100 miglia, superati in 32 giorni; e la quarta da Batavia ad Aden lunga 5213 miglia (quasi un quarto dell’equatore terrestre compiuta in 72 giorni dei quali, ben 68 senza veder terra. E non mancarono i pirati, incontrati du­rante la navigazione, nel Mar dei Caraibi, ed una tribù di antropofagi all’isola di Gaua, a nord delle Nuove Ebridi.

Giraci e Dominici

Esempio e ardimento

La crociera complessivamente è stata di 399 giorni di effettiva navigazione con un percorso di 27775 miglia marine e di quel lungo viaggio Geraci conservò “la personale soddisfazione di essere stato, l’unico italiano che ha compiuto crociere del genere, portando con onore i colori della Patria attraverso gli Oceani ed i ma­ri del mondo, in luoghi dove mai nessuno li aveva portati. Vorrei sperare – egli scrisse anni dopo – che il mio esempio, possa essere di sprone ai giovani colleghi per le maggiori glorie della Marineria Italiana, alla qua­le invio il mio affettuoso saluto.”
Dominici lasciò al nipote un diario dattiloscritto in cui narra l’esperienza di “portare a compimento con ri­torno a Roma via Ovest, una delle più ardite imprese marittime sino allora compiute dalle marine internazio­nali“.

Un’impresa da (ri)scoprire

La loro impresa, straordinaria per i tempi, per i mezzi nautici e per le attrezzature veliche, è semisconosciuta, ricordata da pochi, rammentata da coevi ritagli di giornali o più recentemente da articoli apparsi su un numero del novembre 1982 della rivista della LNI e sul periodico La Rassegna d’Ischia nel 2015.
Negli altri Paesi, ai navigatori di anni prece­denti e a quelli che si sono succeduti in successive epoche con ben più attrezzate imbarcazioni, se perpetua la memoria come è stato per Joshua Slocum, primo uomo a fare il giro del mondo in solitario tra il 1895 ed il 1898 o il francese Alain Gerbault protagoni­sta della circumnavigazione dal 1924 al 1929.
A Geraci e Dominici non una targa, una via, un franco­bollo commemorativo o un museo che avesse conservato quella barca-cimelio. La goletta Mas, esposta infatti alle Fiera del Levante del 1937, conclusa l’esposizione in Puglia fu lasciata mori­re nel porto di Bari nell’indifferenza collettiva, come testimoniò, rammaricato in una intervista, lo stesso Geraci.

Un popolo di…?

Un popolo di navigatori gli italiani, forse, ma dalla me­moria labile e dal consolidato vezzo di non custodire testimonianze e atti che sono l’orgoglio di una nazione. Raro l’esempio del culto della memoria per stupendi marinai come in Liguria, terra di tradizione marittima, per personaggi come Alberto De Albertis, fondatore nel 1879, a Genova dello Yacht Club Italiano, che a bordo della mitica Violante, imbarcazione di 12 tonnellate, lunga 12 metri, con una superficie velica di circa 130 mq con randa, fiocco e trinchettina, aumentabile a 189, con freccia e controfiocco, può a buon ragione considerarsi il padre del diportismo nelle Eolie. Sicuramente il primo italiano essendo stato preceduto dal conte Luigi di Neudorf, pseudonimo dell’Arciduca Luigi Salvatore Asburgo-Lorena “venuto lo scorso anno a Lipari sul suo yacht Nix sotto bandiera austriaca“. Ma anche a Bagnara Calabra che ricorda i suoi “mari­nai” come il leggendario navigatore Vincenzo Fonda­caro, che nel 1880/1881 insieme a Orlando Grassoni e Pietro Troccoli con una piccola imbarcazione a vela il Leone di Caprera, attraversò l’Atlantico per portare all’eroe dei due mondi un pegno simbolico del loro sostegno, una raccolta di firme degli italiani in Uruguay.

Vele e destini

Geraci dopo l’avventura, tornò a navigare per la Mari­na mercantile e allo scoppio della seconda Guerra mondiale, fu richiamato per fare parte della Forza Na­vale Speciale, agli ordini dell’ammiraglio Vittorio Tur. Congedato con il grado di Capitano di Corvetta, co­mandò per lunghi anni il Liberty, Santa Rita.
Dominici tornò invece nella sua Messina ed operò a bordo di piroscafi di piccolo cabotaggio e poi sui primi traghetti privati che collegarono la Sicilia al Continente; morì nel 1979, nell’anno in cui la Fastnet, divenne la regata più sfortunata della storia della vela da compe­tizione, 15 morti e cinque barche colate a picco. Geraci mori più tardi, nel 1983, nell’anno in cui Azzurra la pri­ma barca italiana della storia partecipava all’America’s Cup.

 

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L’articolo è stato pubblicato per la prima volta dal Notiziario del Centro Studi Tradizioni Nautiche nel maggio 2016.

Attilio Borda Bassana giornalista professionista. Vice presidente vicario dell'Assostampa siciliana; è autore di numerose pubblicazioni storiche.Ha curato volumi di vicende marittime e di arte gastronomica.

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