Ma sì, la Bastiglia, proprio come quel 14 luglio del 1789, quando il mondo cambia per davvero.
Come vuoi che si sia sentito Felice Gimondi 176 anni dopo, il 14 luglio del 1965, un mercoledì non qualunque, un giorno che segna la storia sua e del ciclismo italiano, se non come uno che aveva preso la Bastiglia.
Il Tour del 1965
Come ti devi sentire se partecipi al Tour che hai 23 anni, sei una bella promessa, l’anno prima hai vinto il Tour de l’Avenir, alle Olimpiadi hai fatto poco più che la comparsa, poi passi professionista con la Salvarani e il tuo capitano è Vittorio Adorni, non uno qualunque.
Quelli che ne capiscono al Tour non ti considerano, in fondo sei un gregario, poca esperienza, neanche tanta strada nelle gambe e la Grande Boucle è roba seria, mica fresca.
Dopo ti chiameranno sorpresa
Diamogliela pure questa licenza, diciamo che in effetti sei stato una sorpresa, ma lo sei stato da subito, non solo alla fine. Raymond Poulidor, forte, certo. Tutti pensavano a lui, il favorito dicevano. Solo che lui inizia presto a pensare a te. Da subito. Da quando vinci sul pavé di Roubaix e poi il giorno dopo ti cuci addosso la maglia gialla.
Resisti, piazzi il tempo, a volte vinci, a volte no, ma ci sei sempre e la gialla è quasi sempre tua.
I belgi ci provano. All’inizio se la mette per un paio di tappe Rick Van Looy, poi se la prende Bernard Van de Kerkoeve, ma dura poco, solo una tappa. Gliela sfili il 24 giugno sulla Roubaix-Rouen. Però il belga non molla, se la riprende il 28 e il 29 giugno, ma poi arrivano i Pirenei e fanno giustizia, la gialla è ancora tua.
Altri si fermano, anche Adorni si ferma tu no.
Fai montagna e spingi forte, altro che gregario, qui c’è stoffa e gambe.
Per 13 tappe la gialla è solo tua e all’ultima, alla crono individuale da Versailles a Parigi vinci ancora, sei primo, Poulidor ti guarda da 1minuto e 8 secondi dietro. In mezzo c’è Gianni Motta che ha fatto la sua bella gara e sarà terzo in classifica generale dietro Poulidor.
Al Parco dei Principi sei campione.
Il ragazzo di Sedrina, vicino Bergamo, nato dove la pianura incontra roccia che si inerpica e diventa Val Brembana, vince il cinquantaduesimo Tour de France.
Felice Gimondi scrive il suo nome insieme a quello degli altri italiani che ce l’hanno fatta prima di lui.
Ottavio Bottecchia, grandissimo che lo vince due volte. Gino Bartali, Fausto Coppi, anche lui campione per due volte, ma non di seguito, Gastone Nencini.
Italiano di terra e di cuore era però anche Maurice Garin, il vincitore del primo Tour, francese solo per burocrazia.
Dopo di lui ci saranno Marco Pantani nel 1998 – strugge di malinconia la foto di Felice che alza il braccio di Marco – e Vincenzo Nibali nel 2014.
Il Tour del ’65 per Gimondi è solo l’inizio di una vita da campione
Il destino metterà sulla sua strada, Eddy Merckx, più che un cannibale un marziano casualmente nato in Belgio, e sarà una rivalità che lo accompagnerà per sempre.
Vincerà tanto Gimondi: tre volte il Giro d’Italia, il Tour del ’65, la Vuelta del ’68, la Milano-Sanremo del ’74, due Giri di Lombardia e tanto altro.
L’ultima corsa
L’ultima corsa Felice Gimondi l’inizia il 16 agosto 2019 nel mare di Giardini-Naxos.
Dice che sia stato un malore, ma forse ha solo deciso di correre altrove.
A Felice Gimondi, campione e persona perbene, volevano tutti bene.
Anche noi che negli anni sessanta eravamo troppo piccoli per sapere di ciclismo, ma che sulla spiaggia correvamo insieme corse epiche con il suo viso che rotolava nelle biglie di plastica.