Tutto ciò che è meraviglioso ha sempre una scena finale da applaudire in piedi o da apprezzare in religioso silenzio con l’emozione a farla da padrone. E così che tra meraviglia ed emozione, oggi voglio parlare di un gruppo che come pochi ha fatto la storia dell’A.S.Roma; il Commando Ultrà Curva Sud, per tutti noi semplicemente il CUCS.
Un ricordo diverso
Il mio ricordo oggi è però assai diverso dalle gesta, dalle coreografie storiche e anche da quella tessera d’iscrizione che era lì, nel portafoglio proprio accanto ai documenti personali, ma assai più importante di quelli. Stavolta il ricordo parte dalla scena finale, da quell’immagine che nessuno vorrebbe mai e poi mai rivedere, difficile da cancellare dal cuore giallorosso di ogni romanista d’altri tempi.
Ritorna alla mente lo striscione, quei quarantadue metri che avvolgevano gran parte del parterre della Curva Sud e torna alla mente quel 12 settembre del 1999, quando accadde l’imprevedibile.
La scena finale
Il 12 settembre 1999 la Roma ospita l’Inter, una partita tesa e attesa. L’imprevedibile è che quella è la sera in cui la grande pezza apparve per l’ultima volta in curva. Riavvolgo il nastro, rivedo tutto e mi sembra ieri. C’era un minuto di raccoglimento da rispettare, ma proprio in quel momento un gruppo di ragazzi approfittarono della situazione e senza mezzi termini quei 42 metri di stoffa furono buttati nel fossato. Nessuno reagì all’onta, solo un breve scontro frontale e null’altro. La storia di tantissima gente di curva legata al Commando finisce in quei sessanta secondi.
Ricordo amaro
Personalmente non condivido nessuna violenza. Strappare così una pagina di storia nostra, un passato bellissimo buttato via come si getta un giornale già letto o un fazzoletto sporco. Se doveva finire, quel gesto non era il miglior modo per chiudere un tempo. Un epilogo dignitoso sarebbe stato più giusto e leale.
Siamo stati tutti del Commando, tutti abbiamo indossato la sciarpa dei CUCS, tutti, ancora oggi che di tempo n’è passato tanto, abbiamo cantato: “Siamo del Commando Ultrà…”. In quel minuto di follia il respiro si è fermato con il cuore mentre si calpestava il rispetto e l’onore di tutti coloro che hanno lottato, dato anima e corpo per quel meraviglioso gruppo, diverso da ogni altra compagine di tifosi.
Usque ad finem
I tempi sono irrimediabilmente cambiati e, in questi 25 anni, anche il tifo è ovviamente cambiato. Non posso dire sia migliore o peggiore, voglio evitare l’insidia della nostalgia. Noi eravamo tutto cuore e zero tecnologia, oggi la tecnologia è diventata cuore. Complici gli inseparabili cellulari, le immagini e i cori della Curva Sud rimbalzano ovunque, prima, durante e dopo le partite. Confesso di trovare bellissimo lo sventolio di bandiere e stoffe che s’intrecciano nel miscuglio di rosso e di giallo.
La gente cambia, il tifo cambia, l’amore resta, e se qualcosa cambia in meglio, cresce fino alla fine “usque ad finem” come spesso veniva reclamato da chi non si è mai allontanato da quel muretto, prima, seggiolino poi. Tempo fa, parlando con il mio amico Alessandro, si discuteva sui cori che hanno cambiato terminologie e tempi, oggi quasi canzoni, una volta solo poche parole, precise dirette, uniche. Occorreva ritrovarsi e ci siamo ritrovati tutti, giovani e vecchi, grazie anche a certo Capitani e anche Allenatori che hanno capito quanto sia importante il tifo giallorosso a iniziare proprio dal CUCS.
Ricordi ed emozioni
Gennaio è il mese della nascita, doveroso è ricordare, obbligatorio è emozionarsi ancora, come la prima volta, come la prima volta che abbiamo avuto in mano quella tessera e io quel coro non ho mai smesso di cantarlo. Qualcuno capisce, qualcuno no, qualcuno mi considera strano, ma non cambia nulla!
Ho citato Alessandro, ma c’è da ricordare tante altre persone con cui ho diviso anni di speranze, emozioni e delusioni; Vittorio e Grazia, Stefano, Antonio tanto per citarne qualcuno. Anzi dei Signor Qualcuno…
Per la cronaca quella sera la partita è finita con un rocambolesco 4 a 5 per i nerazzurri lombardi, ma poco importa il risultato. Alla fine non era poi così tanto importante perché, nonostante tutto, quello striscione e quelle quattro lettere sono dentro di noi, ancora e per sempre.
Tutto è ancora vivo, o per meglio dire, non è mai tramontato.