C’era una volta…sembra l’inizio banale di un racconto o forse di una favola. Vada per la seconda ipotesi, quella legata a una tifoseria che ancora oggi, nonostante gli acciacchi dell’età, è sugli spalti e canta, canta ancora con lo spirito libero e la gioia pazza di essere romanisti. Il mio “c’era una volta” è dedicato interamente a un gesto, a volte banale, spesso gioioso e di liberazione, altre volte incazzoso oltre ogni logica sportiva. Parlo dell’esultanza in campo di certi calciatori, professionisti sì, ma nonnon giocatori di pallone che quella è altra pasta, più genuina e vicina al nostro vecchio concetto di tifoseria.
Adesso sembra una gara a a chi appare di più con balletti da palcoscenico, come se il calcio fosse una rappresentazione teatrale e i calciatori attori a copione libero. Il mio “c’era una volta” parla di giocatori che hanno dato gioia immensa a chi sugli spalti seguiva “cor core acceso” ogni giocata – destro, sinistro, testa o anche culo che fosse -. L’importante era gonfiare la rete. Dopo, tra chi era sul campo e chi sugli spalti freddi del cemento di quella Curva Sud vissuta e baciata, tutto era all’unisono.
Braccia al cielo
Ecco che quella corsa a perdifiato con scivolone finale di Bruno Conti è la vera ciliegina sulla torta. Quante volte lo abbiamo idolatrato mentre in ginocchio e a braccia aperte era lì, a pochi metri da noi adoranti.
Tra i ricordi indelebili, un posto lo merita anche il mitico bomber, Roberto Pruzzo, dopo il pareggio Salva-Roma con l’odiata, calcisticamente, sponda bergamasca. Una corsa liberatoria dove poteva capitare di tutto, anche di lasciarci le cosiddette penne su quel lato magico di stadio, da entrare in competizione con la maglia sventolata dopo un gol alla juve, forse la prima volta nella storia dell’esultanza (…).
A pensarci bene, il fiume dei ricordi inizia a esondare ed ecco riaffiorare il gol nel derby di Pierino la peste, Pierino Prati, quelle braccia alzate al cielo che altro non erano che un ideale abbraccio rivolto ai suoi tifosi. Se dovessi ricordarli tutti, non basterebbero di certo pagine e pagine, mi limito solo a riportare in vita e ridare una certa emozione ricordando quelli che sono per me, ma non solo per il sottoscritto, gesti umili e semplici.
L’urlo di Giannini
La stagione è quella del ’95-’96, il giorno è il 19 del mese di marzo del 1996, non è solo la solita festa del papà, è anche l’onomastico del Capitano della Roma, Giuseppe Giannini, il Principe. È proprio lui a segnare il due a zero, dopo il vantaggio di Moriero, sotto la sua curva e quell’interminabile corsa lungo il vetro, dove per altro si vede una scatenata Luisa Petrucci con il suo ombrello agitarsi tra i ragazzi del Commando. Quella corsa e quell’urlo che ancora riecheggia in quella specifica parte dell’Olimpico, servito a poco quell’urlo forse strozzato proprio nei minuti finali, di certo rimane la grande difficoltà e dimenticarlo.
Quel giorno dell’Immacolata Concezione
Prima di lui mi è doveroso ricordare Paulo Roberto Falcao. Dicembre 1982, dopo essere arrivati in porto con il vessillo tanto acclamato da capitan Di Bartolomei, ecco che nel giorno dell’Immacolata Concezione, la Roma conquista gli ottavi di finale di Coppa Uefa con un gol del Divino. A due minuti dal fischio finale è lui a regalare la gioia immensa del passaggio del turno con un gol non spettacolare, ma sicuramente da manuale del calcio. Stop di petto, palla a terra e il piede destro di Falcao, accompagnato da tutta la tifoseria permette alla palla di entrare in rete. Poi la corsa, quella corsa e quel saltello con il pugno al cielo, sotto due striscioni mai dimenticati: “I Ragazzi della Sud” e “Non Passa lo Straniero”. Il boato della Curva Sud rimbomba ancora.
Ce ne sarebbero altre migliaia di gol spettacolari, chissà perché quasi tutti sotto la mitica Curva Sud, da ricordare e sfidare chiunque a non avere un’emozione mista a lacrime di gioia, uno per esempio il pareggio tre a tre con gol di Francesco Totti nel derby, e anche il gol di Del Vecchio annullato nella stessa partita…
L’abbraccio di Carlo ad Agostino
Voglio essere abbastanza sadico e farmi e farvi male nei ricordi.
Primo maggio 1983, si gioca in casa Roma- Avellino, una partita assai decisiva per quel vessillo, e il vessillo è presente in Curva Sud. Dopo il vantaggio della Roma con firma Falcao è il capitano Agostino Di Bartolomei a siglare il definitivo due a zero con un bolide che l’allora portiere avellinese Stefano Tacconi (un grande…), ha potuto solo guardare in fondo alla rete. Al goal il Capitano non va da nessuna parte, non corre, ma sguardo fisso all’erba dell’Olimpico, s’inginocchia sul manto verde e alza le braccia al cielo. Di corsa arrivava Carlo Ancellotti che lo abbraccia. Un abbraccio che ferma il tempo e la gioia. Chissà cosa si saranno detti in quel momento.
Dimenticavo, quella volta il gol è stato fatto in curva nord, ma solo per la cronaca.