Quindici minuti sul tetto del mondo. Giusto il tempo di piantare una croce in mezzo alla neve, scattare delle fotografie e seppellire alcuni dolci per celebrare l’Everest. Edmund Hillary e Tenzing Norgay, rapiti dal panorama, si concedono solo un quarto d’ora ben sapendo che la strada della discesa, dopo aver raggiunto 8.848 metri, sarà lunga e più faticosa. La priorità, al netto della soddisfazione, è quella di rientrare in sicurezza con tutta la concentrazione e la lucidità possibili.
È il 29 maggio 1953 quando il neozelandese Hillary e lo sherpa nepalese Nargay conquistano la montagna più alta della terra durante la spedizione britannica guidata da Sir John Hunt. Un’impresa estrema: 350 portatori, 20 Sherpa e tonnellate di provviste per sostenere dieci alpinisti. Durata, 104 giorni.
Le tappe della missione
La spedizione si raduna a metà febbraio a Katmandu per poi spostarsi, il 26 marzo, a Tengboche. Il villaggio situato a 3867 metri di altezza nel nord-est del Nepal li ospiterà fino al 17 aprile. Il piano della scalata è prestabilito: due tentativi più un terzo eventuale. Il capo missione Hunt sceglie le coppie degli scalatori e affianca Edmund Hillary allo Sherpa Tenzing Norgay, rispettivamente alla quarta e sesta spedizione sull’Himalaya.
La missione procede a rilento tra difficoltà ambientali e problemi di ossigeno. Al loro seguito, dolci, tè, carne in scatola e cherosene. Ci vorranno 12 giorni per percorrere il tratto svizzero sulla parete del ghiacciaio del Lhotse.
Poi, il 21 maggio 1953, la spedizione rintraccia nel Colle il campo base ideale per tentare la scalata.
Una prima coppia di alpinisti, formata da Tom Bourdillon e Charles Evans, tenta per prima l’impresa arrivando a soli 100 metri dalla cima. La mancanza di ossigeno li farà tornare sui loro passi.
È il momento di Hillary e Norgay. La coppia decide di tentare il percorso del Colle Sud, quell’alternativa a 7.900 metri di altezza che a Hillary si era aperta davanti agli occhi pochi anni prima, nel 1951, durante una spedizione esplorativa condotta da Eric Shipton. “Una via difficile, ma era pur sempre una via”, dichiarò successivamente Hillary.
Il proseguo della storia è noto a tutti
Il resto della spedizione, priva, ovviamente, di radiotrasmittenti, non poteva far altro che aspettare il ritorno dei due alpinisti per condividere con loro il rientro a bassa quota dopo un’entusiasmante fase di abbracci.
Tra i temerari, un giornalista: James Morris (divenuto poi la giornalista Jan Morris), giunto fino a 2.100 metri dalla vetta. “Sono salito da sconosciuto e quando sono sceso ero il giornalista più famoso del mondo”, riferì nel 1997 al New York Times.
Il momento più alto della storia è, da quel momento, sulla punta della sua penna.