Il fatto è noto.
12 giugno 2021, Copenaghen, stadio Parken: la Danimarca incontra la Finlandia per la partita di apertura del girone B di Euro 2020 e al 43′ del primo tempo Christian Eriksen, 29 anni, centrocampista danese e dell’Inter, si accascia al suolo.
Simon Kjaer, il capitano danese, è a pochi passi da lui, capisce la gravità della situazione, interviene subito e con una manovra salvavita gli libera la lingua, gli impedisce di soffocare e la vita, insieme agli 11 minuti di massaggio cardiaco e di defibrillazione operata dai sanitari, gliela salva davvero.
Eriksen è oggi in ospedale, risponde bene alle terapie, ma la sua vita di calcio probabilmente cambierà direzione.Ebbene questa è la notizia in sé, riportata in centinaia di migliaia di articoli sul web e post sui social.
C’è qualcosa di più però.
Cosa è successo veramente ieri sera a Copenaghen?
Tutti i media hanno giustamente sottolineato come negli 11 minuti in cui Eriksen è rimasto a terra la squadra gli si sia fatta intorno alzando un muro di cuori invalicabile all’indiscrezione mediatica. Sappiamo tutti che la morte in diretta è uno spettacolo da audience, ma ieri sera alla scellerata signora è andata male. Vero, ma l’ho appena scritto, c’è qualcosa di più e per raccontarlo la lettura delle immagini sarà guida importante che ci porterà lontano.
Ebbene, vediamo i protagonisti.
Christian Eriksen è l’elemento scatenante; è lui che per 11 minuti rimane sospeso tra vita e morte. Anzi, con ogni probabilità alla morte ci arriva, ma ne viene anche riportato indietro. Morten Boesen, il medico della nazionale danese, lo dice chiaramente …siamo arrivati lui stava su un fianco, respirava, gli ho sentito il battito cardiaco. Poi all’improvviso non c’erano più pulsazioni e, come tutti hanno visto, abbiamo cominciato il massaggio cardiaco. Il soccorso è stato immediato, abbiamo fatto quello abbiamo potuto per tenerlo in vita. Per fortuna si è aggrappato alla vita.
Aggrappato alla vita, dice Boesen, ma Christian non era solo.
Simon Kjaer, interviene per primo, impedisce la morte per soffocamento di Christian, poi prende il controllo della scena, da capitano schiera la squadra in una partita che si vince di difesa e di attacco, organizza la protezione, organizza il cerchio, che è qualcosa in più della figura geometrica studiata a scuola.
Sulla sinistra delle foto che ritraggono il cerchio c’è il numero 9, è Martin Braithwaite e tra i volti di disperazione dei suoi compagni lui ha le mani giunte. Martin prega, in quel momento quando tutto vacilla, Martin prega con le sue parole o con le preghiere che gli hanno insegnato, qualunque sia la sua religione e il Dio che sta pregando, Martin entra con la preghiera in quella stessa zona sospesa dove sta Christian.
La grande rappresentazione
Simon Kyaer è il demiurgo, l’ordinatore che Platone descrive nel Timeo, l’energia che mette ordine al caos.
Martin Braithwaite è l’officiante, colui che stabilisce la connessione con il sacro insondabile, colui che costruisce il ponte tra sensibile e sovrasensibile.
A completare la scena è il cerchio, sostanza primordiale, luogo sacro dove si concentrano tutte le energie materiali e spirituali. È il cerchio magico che protegge dalle forze negative chi è al suo interno, simbolo ancestrale che ha radici nella notte dei tempi, dalla tradizione babilonese a quella indoeuropea.
Sotto gli occhi di milioni di spettatori, ieri sera allo stadio Parker di Copenaghen è stato messo in scena un archetipo fondante della psicologia profonda e si è consumato il rito del ritorno dalla morte. Un rito corale al quale hanno partecipato con forza tribale le migliaia di spettatori che dalle tribune chiamavano a gran voce Christian a rimanere con loro, con noi.
Omnia vincit amor.
Ieri sera, al Parker di Copenaghen, è stata una grande Opera.