L’acqua nella sua storia, la costa, le isole, il Toscana avanti e indietro, carico di anime e corpi, di sogni stracciati.
Fiume città simbolo, nel nome il richiamo del fiume Eneo, sospesa tra mare e monti. Fiume città strattonata, presa in mezzo tra risiko e destino. Fiume città della cultura europea (e quando se non nell’anno della pandemia) nei tempi sordi della cancel culture.
L’ufficio del turismo sventola la bandiera blu e ti accompagna sulla spiaggia, ma tu insegui l’aquila bicipite che vola alta sulle ultime vette meridionali delle Alpi Giulie.
Un’aquila che, se potesse, racconterebbe dei sei rifugi dimenticati da chi vola basso.
Guido Rey
La montagna è per tutti, per coloro che desiderano il riposo nella quiete e per coloro che cercano nella fatica un riposo ancora più forte. Lo dice Guido Rey, alpinista scrittore fotografo fra i più grandi. Innamorato delle nostre cime e di tutto quanto sotto, cinquantenne che non riesce a restare a casa quando la patria chiama a reagire dopo la scossa di Caporetto. Mette la sua auto al servizio della croce rossa, la scampa per un soffio dopo un incidente al volante, ma da lì in avanti la montagna la racconta con la penna e l’obiettivo.
I rifugi persi
A Guido Rey, cinque volte sul tetto del Cervino, è dedicato uno dei sei rifugi che il Club Alpino Fiumano realizza tra il 1921 ed il 1934 sui monti che contornano la città. Rifugi poi persi, forzatamente abbandonati, diciamo con due parole ed un filo di voce, causa esodo.
Del Rey, ai Piani della Secchia sul Nevoso a quota 2340 m, oggi restano grigi calcinacci. Era un gioiellino, l’orgoglio della sezione, aperto tutto l’anno, raggiungibile in macchina oppure gambe in spalla.
Il principe di Monte Nevoso
Più giù, ai 1241 m., sempre del Monte Nevoso, il rifugio nobile.
Qui, a scanso di equivoci, non hanno lasciato nemmeno un mattone, una traccia (…avran mica saputo prima di noi che da quelle parti anche le pietre parlano italiano?). Il principe di Monte Nevoso è Gabriele d’Annunzio, insignito nel ’24 del titolo onorifico dal re in persona, su proposta del primo ministro, per omaggiare l’artefice della festa più festa che la rivoluzione ricordi, l’impresa fiumana.
Al rifugio che non c’è più, ci si arrivava a piedi con tre ore e mezza di buon passo da Villa del Nevoso ed assai meno da Masun.
200 posti letto, aperto tutto l’anno. Dormivi sotto le coperte della società di navigazione generale italiana, lana rossa e stemma al centro, dopo aver sorseggiato un tè caldo nella tazza del Lloyd Triestino.
Ruderi
Il primo dei sei rifugi è l’Egisto Rossi, inaugurato il 4 dicembre 1921 per ricordare uno dei precursori della lotta per l’unità di Fiume all’Italia. Campo scuola per tutti gli sciatori della zona ed osteria per tutti gli altri. Risorge dopo l’incendio del ’43, ma non sopravvive al disprezzo degli anti italiani negli anni a venire. Due ruderi ancora ci sono, senza qualcosa che aiuti a capire cosa rappresentano, ma ciò non impedisce agli appassionati di darsi appuntamento lì per puntare il monte Lisina e per attraversare i monti della Vena.
Stessa brutta sorte, distruzione completa, per il Rifugio Stefano Caifessi al monte Aquila quota 1100, l’ultimo ad essere inaugurato nel 1934.
E per finire le buone nuove
Due dei, evviva, sei rifugi ci sono ancora, stravolti nei connotati, ma presenti. Vivi e vigili.
Sono il Rifugio Rodolfo Paulovatz all’Alpe Grande (1000m), 3.5 ore da Apriano di polverosa carrareccia prima e sentiero poi. Rodolfo, uno dei soci storici del Club, con un archivio fotografico senza eguali.
E il Rifugio Benevolo Colacevich Walluschnig alla Conca Nera (1060 m), inaugurato nel 1930, dedicato alla memoria dei tre soci tristemente scomparsi sul Bianco tre anni prima.
Rifugi, rifugiati
Camminare per cercare sé stessi, camminare senza voltarsi. Rifugio tra la neve: gnocchi con carne di manzo, vino Terrano, crauti e funghi. Rifugio di primavera: l’asparago selvatico. Rifugio con il sole che picchia: le zuppe, jota e de bobici con fagioli, patate, salsicce, pancetta ed ancora crauti. Rifugio d’autunno: pane casareccio, sopa e prosciutto Dignano d’Istria essiccato all’aria aperta che solo la nostalgia ha un sapore più forte.