“Rosso come il fuoco e nero come la paura. La paura che incuteremo agli avversari“. Quanto Herbert Kilpin fosse padrone della lingua non mi è dato sapere, ma che abbia pronunciato queste parole non c’è dubbio alcuno.
La storia del Milan, il club italiano più titolato oltreconfine, nasce in una sala di rara eleganza, il Jardin d’hiver, dell’Hotel du Nord e des Anglais ad un passo dalla stazione Centrale di Milano.
Siamo all’ultimo respiro del secolo del nostro Risorgimento, due righe asciutte sulla Gazza raccontano di una riunione che fonda il Milan Football & Cricket Club.
Alfred Edwards è il primo presidente, Edward Berra il numero due e capitano del cricket, poi David Allison a capitanare i calciatori, Daniele Angeloni, Giannino Camperio, Antonio Dubini, Guido Valerio e, certamente non ultimo, Herbert Kilpin.
Seguendo Garibaldi
Il rosso ed il nero sono geniale intuito di Herbert Kilpin, figlio del macellaio di Nottingham che per mangiare si occupa di tessuti, ma che per respirare deve, vuole, solo dare calci alla palla. A 13 anni crea un club amatoriale, a 15 è tra i fondatori del Forest della sua città. Poi attraversa la Manica e anche un bel pezzo di Europa; a 21 è a Torino dove, come socio e giocatore dell’Internazionale Torino, partecipa alle due prime edizioni del nostro campionato.
Oramai ventinovenne, immutata la passione, in un pomeriggio freddo di dicembre è al Jardin d’hiver per convincere – senza alcuna fatica – i presenti che il nuovo club milanese nasce per onorare lo sport, per vincere e che lo farà con addosso il rosso fuoco Garibaldi – sì, quello dei suoi primi due club del cuore – ed il nero altrettanto fiero e ardito.
È Herbert Kilpin a disegnare la prima divisa.
Camicia dei due colori a strisce verticali, colletto inamidato, croce rossa sfondo bianco sul petto per Milano, calzoncini bianchi e calzettoni neri con banda rossa ed immancabile cap sempre a strisce rossonere. È lui il primo a farsi immortalare, orgoglioso, nel completo da gioco: baffo d’epoca, braccio destro sul fianco, sguardo fisso in camera, fuoco e paura, avversari mezzo avvisati.
Allena, gioca indifferentemente terzino o mediano, è protagonista del primo titolo di campione nazionale che arriva nello spazio di due anni. È ancora decisivo nelle vittorie del biennio 1906 e ’07.
Herbert Kilpin sa di calcio, riconosce il talento, ama le serate a scolare vino – scuro ovvio – e a condividere aneddoti con gli amici ipnotizzati da cotanto carisma. “Quella volta che organizzai un’amichevole fra la selezione italiana e quella svizzera, ed all’ultimo decisi di giocare con gli italiani, io inglesissimo. Peccato perdemmo ma non mi sono mai divertito tanto“.
La maglia e la storia
Herbert Kilpin ha solo 46 anni quando arriva il triplice fischio per il suo malandato cuore rossonero, ma la maglia continua a sudare per lui. Negli anni del Milano, la divisa è bianca con il rosso e nero a strisce verticali al centro. Con il dopoguerra compaiono le strisce larghe, cinque in tutto e niente più stemma cittadino. La stagione 1957-’58 si ricorda per lo scollo a V ed i lacci. La maglia, prima utilizzata in casa per dovere di ospitalità, diventa da trasferta e ci si comincia a sbizzarrire con le variazioni più fantasiose: le strisce si allargano e si restringono, colletto bicolore (Wembley ’63!), bande orizzontali, verticali o diagonali alla sudamericana.
La maglia di Kilpin viene riproposta, celebrata in due occasioni: nel 1961 con il colletto nero, nel 1978 con la V davanti. Il materiale non è più la lana, ma portare la maglia dell’AC Milan pesava allora e pesa ora.
Altre maglie
Nel 1981 arriva il primo sponsor, una marca di jeans. L’anno precedente, di purgatorio – vera condanna per chi chiede l’inferno – compaiono due altre innovazioni: i nomi sulle spalle dei giocatori ed un diavoletto stilizzato sulla destra del petto. Il portiere veste nero per decenni, sembra di rivedere Cudicini – il ragno nerissimo – allungare il suo 1.91cm a togliere tele dall’incrocio. Poi, tra i pali, il giallo attira palloni di Ricky Albertosi dell’anno della sospirata stella.
È tutta bianca la maglia della prima storica Coppa Campioni, la prima dell’AC Milan, la prima di tutto il calcio italiano.
Wembley, il Paron, papa’ Maldini, Mazzola quello brasiliano.
Undici finali della massima competizione continentale: 7 vittorie da Londra ad Atene. Sei su otto in maglia bianca, solo una su tre in rossonero.
Diciannove e oltre
La maglia del Gre-No-Li venuto dal freddo, di Schiaffino e Sani che ispirano Rivera, del golden boy che pesca come mai nessuno Pierino Prati, di Franco Baresi che sta dieci metri e venti anni avanti, degli olandesi e di Superpippo che gioca sul filo rincorrendo record. E di Sheva e mille altri, giù giù, fino ad Olivier Giroud che apre le danze dell’ultimo scudetto – il numero diciannove – cucito sulla maglia on fire degli allegri eredi di Kilpin.
Ora la seconda stella da appuntare sul petto è davvero ad un passo, al diavolo la scaramanzia.