Avete presente la moviola?
È il 28 febbraio 1965 quando l’oggetto del desiderio compare nella Domenica Sportiva condotta da Enzo Tortora.
Una televisione epica quella della Domenica Sportiva, un presentatore epico Enzo Tortora, tanto era una persona perbene che sarà poi vessata da un’ordinaria storia d’ingiustizia italiana, epica anche l’intenzione della moviola che avrebbe dovuto mettere in trasparenza vizi e virtù degli arbitraggi italiani.
Soprattutto era epico il calcio, sport, o meglio gioco nel senso filosofico del termine, ma anche rispetto alla sua origine.
Immaginatevela l’origine del calcio nei campi inglesi pesanti e fangosi.
Dimenticate tutto
Ecco, adesso che avete immaginato e arricchito tutto questo con i ricordi personali di calcio vissuto, visto e chiacchierato, dimenticate tutto.
Dimenticate anche la moviola in campo di cui Aldo Biscardi fece la battaglia di una vita.
Dimenticate, perché quel tempo è finito ed è irripetibile e quella fine ha un suo inizio.
Sono le 18.00 del 19 agosto 2017, fa caldo ovunque, anche a Torino dove per la Coppa Italia si gioca Juventus – Cagliari.
Al 37′ del primo tempo il gioco si ferma, l’arbitro disegna nell’aria un quadrato e corre a bordo campo. Rigore per il Cagliari. Farias tira, Buffon para.
È cosi che il VAR irrompe nel calcio italiano
Bello? Può darsi, ma non è detto.
Il fatto è che da allora qualcosa cambia.
Il fatto è che da allora qualcosa ha iniziato a precipitare e forse non ce ne siamo accorti subito.
Oggi, alle prese con un fronte di frana che ad ogni partita si allarga sempre più e lascia cadere sassolini, sassi e qualche volta anche macigni sul campo di calcio, una riflessione laica bisogna farla.
Certo, si può sperare che la frana non precipiti, ma le avvisaglie non promettono nulla di buono.
L’ultimo turno di campionato ha offerto gli ennesimi spunti, inutile citarne uno piuttosto che un altro, sono sotto gli occhi di tutti e sulle pagine di tutti giornali.
Inutile reclamare complotti a danno di uno e a beneficio di altri, non è questo il problema, gli esempi che si potrebbero citare sono abbastanza ecumenici, a volte toccano una squadra, altre volte un’altra.
Il senso del VAR
La riflessione vera è sul senso del VAR e di un gioco del quale, forse, il senso si è perso.
Intanto iniziamo dallo stadio, un meta luogo, un mondo a sé stante che vive di regole proprie sugli spalti e sul campo, regole che valgono lì e non altrove, regole officiate da quelle che una volta erano eleganti giacchette nere con tanto di pochette al taschino, evolute poi in una sorta di catarinfrangenti psichedelici. Ma tant’è, l’abbigliamento tecnico può osare questo e altro.
Fatti straordinari
Ebbene in questo meta luogo che è lo stadio accadono fatti straordinari, gesti atletici che sfidano equilibri e dinamica, fiato e piedi, i propri e degli avversari. Fortune incredibili si alternano con avversità mai viste, con palloni che rintuzzano su pali, sfuggono alle gambe e a volte anche alle mani.
Si chiama gioco e badate bene che chiamarlo così non è una sottovalutazione o una diminutio, chiamarlo così significa avere comprensione di quello che accade nello stadio, quello che si fa amare o che ti fa disperare.
Tra dubbi e certezze
Siamo sicuri che il VAR con il gioco, con le abilità, con le fortune e le sfortune e anche con gli errori del gioco c’entri molto?
Siamo sicuri che misurare un fuorigioco sull’alluce sinistro, millimetrare uno sfioramento di mano, estraniare un pestone dalla dinamica di una corsa che è un assalto all’arma bianca, dia senso o restituisca senso al gioco?
Siamo sicuri che l’aver introdotto un ulteriore elemento discrezionale nella valutazione arbitrale abbia migliorato il gioco?
Siamo sicuri che, ferma restando l’esigenza di una classe arbitrale all’altezza della situazione, formata, aggiornata, valutata e in caso sanzionata, l’errore arbitrale non debba essere considerato parte integrante del gioco?
Siamo sicuri che l’errore umano, di un calciatore – anzi, di un giocatore – o di un arbitro, non faccia parte di quelle regole non scritte che valgono in quel luogo, lo stadio, e in quel tempo, i 90 minuti della partita?
Siamo sicuri che aver sacrificato l’errore umano, la comprensione della buona fede a favore del dubbio della malafede, sull’altare della tecnologia invasiva e millimetrica abbia migliorato il gioco e renda giustizia ai suoi protagonisti in campo, sugli spalti e sui divani di casa?
Personalmente non credo.
Una fuga in avanti
La mia opinione, però, vale per quel che vale, ma se proprio l’occhio millimetrico del VAR, valutato poi dagli occhi normali dei nuovi deus ex machina del calcio, ovvero gli arbitri addetti VAR, deve intrufolarsi e condizionare il gioco allora facciamo una fuga in avanti.
La tecnologia consente oggi cose che nel 2017 non erano possibili.
L’impiego dell’intelligenza artificiale nei sistemi giudiziari è una realtà in diverse nazioni al Mondo, negli Stati uniti, in Cina, in Giappone e anche in Italia è oggetto di progetti avanzati, alcuni anche nell’ambito del PNRR.
Bene, se si ritiene il VAR una direzione senza ritorno, allora togliamolo dalla discrezionalità dell’interpretazione umana e affidiamolo a un sistema esperto di intelligenza artificiale che sostituisca in nome della regola ogni soggettiva valutazione umana.
Accade nei processi, perché non farlo accadere anche per una partita.
Calcio o calcio aVARiato?
Sempre personalmente non particolarmente rassicurante la sostituzione di intelligenza, quella umana con quella del supercalcolo, termine ormai superato ma che rende ugualmente bene l’idea.
Al tempo stesso, però, non trovo neanche rassicurante la gestione del VAR così com’è attualmente, convinto come sono che stia sfuggendo di mano e non stia rendendo un servizio al gioco.
Il calcio è una cosa.
Il calcio aVARiato un’altra e non suona bene per niente.