Montevarchi, provincia di Arezzo. Un gioco nella tradizione. Ci si batte, pochi i colpi esclusi, per mandare il pallone nel pozzo. Il gonfalone vince la mezzina, il tradizionale porta acqua di rame. Per un anno è l’assicurazione di poter attingere al pozzo prima degli altri. Un modo di contrastare la carenza d’acqua e soprattutto dei principi che solo la nostra provincia difende come fosse una linea di meta. Il Gioco del Pozzo è storia nostra, anche mia che non lo conoscevo, ma che adesso guai a chi me la tocca!
Oggi lezione di vita. Campanella. Prima ora: geografia. Seconda ora: storia
Montevarchi sfiora i venticinquemila abitanti. È nel Valdarno superiore sulla riva sinistra del fiume, strategicamente all’incrocio di strade che collegano Arezzo, Firenze e Siena. Zona abitata da prima dell’anno mille, caratterizzata sui colli vicini da due castelli dove benedettini e cappuccini, in tempi diversi, diventano punto di riferimento per pellegrini in cammino verso i luoghi santi. All’inizio del XII secolo, il castello di Montevarchi – quello che sarà francescano cappuccino – è possesso della famiglia Guidi, Guido Guerra il suo rampollo più illustre. Il giovane conte erige forti mura attorno alle case sparse, nasce il mercatale che scrive pagine di storia epica. È il rifugio guelfo dopo la cacciata da Firenze, è il teatro della difesa contro le truppe di Federico II di Svevia. È il 1248, papa Innocenzo IV nomina Guido capitano generale della Santa Sede, Dante lo esalta nel canto XVI dell’Inferno (“Guido Guerra ebbe nome, e in sua vita fece col senno assai e con la spada“). Guido affianca Carlo d’Angio’, conte di Provenza, nella battaglia contro Manfredi, ultimo sovrano della dinastia sveva del regno di Sicilia. Carlo lascia a Guido scegliere tra la corona di Napoli e quella siciliana strappate al nemico dopo duri scontri, segno di una riconoscenza infinita. Guido sceglie Montevarchi e la chiesetta di San Lorenzo, chiede solo una reliquia della Madonna che Luigi IX aveva riscattato da Costantinopoli. Montevarchi diventa riconosciuto caposaldo militare fiorentino contro Arezzo e chiunque si metta di traverso. L’economia rimpiazza i conflitti, dai magazzini parte una distribuzione sempre più vasta e sofisticata dei prodotti delle fattorie medicee del Valdarno e della Valdichiana. Cereali, lino, canapa. Il lavoro artigianale e poi industriale: alla fine del settecento nasce il primo cappellificio. Si lavora la pelle, si arriva all’alta moda di oggi.
Terza ora. Educazione fisica e l’importanza del Gioco
Oggi giochiamo a un gioco nuovo. Vecchio di centinaia di anni, ripreso da trentasei. Ricordate la reliquia della Madonna? Guido Guerra, il “Guerra”, la portò in dono alla chiesa alla testa di un corteo che vedeva al suo fianco Carlo d’Angiò, le truppe francesi, i cavalleggeri fiorentini e la popolazione tutta. Quel giorno è ancora festa per Montevarchi, è la festa del Perdono con un rituale inossidabile sublimato dal Gioco del Pozzo. Nella cornice di piazza Varchi, la sfida tra i quattro gonfaloni del centro storico stabilisce chi, per primo e per un anno, potrà attingere dal pozzo nei mesi di siccità. È la prima domenica di settembre, è il perdono, il viaggio nell’identità e nei principi di un popolo.
Si gioca così
Il pozzo al centro, un campo ovale delimitato tra tre cerchi. All’interno del primo cerchio nessuno può entrare, l’intermedio è per chi difende, l’esterno è per chi attacca. Una squadra a difesa del pozzo, una squadra a buttare la palla dentro il pozzo. Scontro fisico e cavalleria richiamano al rugby, tattica movimenti tiro al basket. Un pozzo un punto. Due tempi da venti minuti, torso nudo, pantaloni alla zuava con i colori del gonfalone, intensità estrema. Semifinale e finale nell’arco del fine settimana, tribuna affollata, grande entusiasmo. Si sfidano Santa Maria del Pellegrino, Sant’Andrea, San Lorenzo e San Francesco. Chi vince, vince la mezzina, piccolo recipiente di rame, il contenitore tipico dell’epoca. Chi vince, insomma, beve e beve prima.
Ricreazione. Quarta e quinta ora. Educazione civica
Ho conosciuto i ragazzi di Santa Maria a Roma, in occasione di Italia vs Scozia, Roma, VI nazioni. Il prepartita è sacro quanto il terzo tempo. Ci si organizza per arrivare per tempo, trecento chilometri scarsi per sistemare il minivan a ridosso del Foro Italico, lato curva nord, anzi lato Stadio dei Marmi che ci ricorda la forza delle nostre città. Gazebo, tavola imbandita di ogni ben di Dio. Si mangia, si brinda, si canta e si parla. Si sta insieme. Sono i vincitori delle ultime due edizioni e si vede: non toccano terra. Ti spiegano che non è il calcio fiorentino, si gioca in sei ma la rosa è di venti, le regole sono di più ma c’è’ un arbitro e ci pensa lui, qui basta sapere che è maschio, aggressivo, per certi versi violento e mai scorretto. Condicio sine qua non: risiedere a Montevarchi. Può succedere di passare da un gonfalone all’altro, ma niente forestieri. Ci si allena in palestra da dicembre a fine marzo, poi all’aperto almeno due volte la settimana, ma la piazza è solo per la festa delle finali del nono mese dell’anno. Sono più di cento i praticanti e c’è il torneo ragazzi a garanzia di domani.
Orgoglio, roba forte
La conversazione è interrotta dal prossimo che arriva con un nuovo bicchiere di Chianti perché vede che il tuo è vaporizzato. E poi i formaggi, la salsiccia ed i salumi da memorizzare: capaccia, capriolo, suino, tarese. Il sapore che resta, però, è quello della loro amicizia, l’amicizia tra loro, il senso di appartenenza e di comunità. Roba forte, ad alto grado di contagio, “la chiave sono le salsicce alla brace a fine allenamento” dice Alberto, sicuramente vero, ma c’è di più e sono orgoglioso del loro orgoglio.
Sono sorpreso dalla normalità
Non sono sorpresi gli scozzesi che sono qui per la partita e per star bene, eredi di William due metri, dici pozzo capiscono Highland Games, mescolano pinte e mete smarrendo il conto e la via di casa. Meravigliosi, non perdono nemmeno quando perdono, discepoli di una tradizione più grande dei verdetti della storia. Vengono da Aberdeen, Glasgow, dalla costa occidentale e ti fanno vedere il video della distilleria Macallan, ma oggi bevono Chianti prod. propria. E noi, di risposta, cantiamo “Flowers of Scotland” stropicciando le parole ma con il cuore elevato fino ai loro 40-45 gradi.
Imparare così
Dai ragazzi di Montevarchi, dai tifosi scozzesi e poi dal XV azzurro in campo ho imparato tanto in un giorno. Una volta a casa, padrone del social, prima ho cercato il video della finale del Gioco del Pozzo 2023 (16-15 per noi gialloblu!) e poi le mete di Brex, Lynagh e Varney. Infine, con l’ultima fetta di salame, mi sono rigustato quei 2’23” rossi – che sembravan 20′ – dopo l’ottantesimo, le 24 fasi scozzesi e noi lì a tenere, a placcare, disciplinati come mai, tosti come mai, a difendere il nostro pozzo.
Domani (mi) interrogo. Ci si vede il 31 agosto a piazza Varchi. Giglio ale’!