Indianapolis 19 agosto 1909. 12.000 persone si accalcano per assistere a uno spettacolo straordinario.
“Noi affermiamo che la magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova: la bellezza della velocità. Un automobile (*) da corsa col suo cofano adorno di grossi tubi simili a serpenti dall’alito esplosivo…un automobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia, è più bello della Vittoria di Samotracia” cosi aveva scritto Filippo Tommaso Marinetti sul Manifesto del Futurismo pubblicato appena qualche mese prima, il 20 febbraio, su le Figaro.
Di quelle 12.000 persone forse nessuno ne sapeva nulla eppure, quel giorno, ognuno di loro è testimone della nascita di quello che sarebbe diventato un tempio della velocità: il circuito di Indianapolis.
Speedway al tempo distava poche miglia da Indianapolis
È lì, su 133 ettari di terreno agricolo, che alcuni imprenditori dell’industria che prometteva il futuro, quella motoristica, decidono di costruire una pista per mostrare al grande pubblico le automobili che avrebbero cambiato la vita di tutti.
Cosa meglio di una corsa di draghi sbuffanti per affascinare i futuri acquirenti?
Due miglia e mezzo, due rettilinei lunghi e due corti, quattro curve. Un circuito perfetto che, quel 19 agosto, vedrà Louis Schwitzer vincere alla velocità media di 57,4 miglia orarie.
Quel giorno, però, non accadde solo quello. La pista di roccia frantumata e catrame non poteva funzionare e diventa tragedia; si rompe in alcuni punti, due piloti e alcuni spettatori muoiono.
Il progetto però non viene abbandonato, ma solo aggiustato.
The Brickyard
La pista viene completamente rifatta; su un letto di sabbia, legati con malta, vengono posati 3,2 milioni di mattoncini. La pista riapre a dicembre e per tutti diventa The Brickyard.
Le corse riprendono, ma con qualche fatica.
Serve qualcosa di diverso e quel qualcosa arriva il 30 maggio 1911.
Indy 500
È una corsa estrema, una corsa che mette a dura prova motori, piloti, meccanici e anche il pubblico: è la Indy 500, la 500 miglia di Indianapolis. Più che una corsa, una leggenda.
La Indy 500 fu un successo da subito. Grande affluenza di pubblico, grande risalto sulla stampa, grande futuro davanti.
14.250 dollari – una cifra enorme al tempo – il premio che si aggiudica il pilota Ray Haroun che vince la prima edizione alla velocità media di 74,59 miglia orarie e un tempo totale di 6 ore e 42 minuti.
Da allora il circuito ha ospitato ogni anno la Indy 500, salvo due interruzioni per la Prima (1917-18) e per la Seconda Guerra Mondiale (1942-45).
Negli anni la pista si è adeguata ai tempi
Nel 1936 fu asfaltata parzialmente, andando a coprire i punti maggiormente deteriorati.
Un secondo intervento fu fatto nel 1941 e un terzo, a copertura totale, nel 1961.
Della pista originale è stata lasciata una linea di mattoni di un metro sulla linea di partenza e arrivo, giusto tributo a una storia che ha sempre guardato al futuro.
La Formula 1
Il circuito di Indianapolis, però, ha visto anche la Formula 1. Una prima volta nel decennio dal 1950 al 1960, ma con scarso successo al punto che molte case automobilistiche saltavano l’appuntamento. Una seconda, invece, dal 2000 al 2007.
Tra i piloti vincitori della Indy 500, tanti quelli che hanno avuto successo in Formula 1. Tra loro Jim Clark, Graham Hill, Emerson Fittipaldi, Gilles Villeneuve, Mario Andretti.
Il futuro
Oggi, 113 anni dopo quel 19 agosto, solo pronunciare il nome Indianapolis evoca suggestioni, emozioni e leggende di rombi fuggenti senza tempo.
Oggi Indianapolis continua a parlare al futuro.