Aprile. Nell’arcipelago delle isole Vanuatu, Oceano Pacifico, è iniziata la bella stagione. Le giornate si allungano, il vento diventa una dolce carezza che accompagna lo scorrere delle ore e i giovani vanuatesi costruiscono torri di legno e tranciano liane.
Hanno passato l’inverno raccogliendo il materiale adatto e ora che è arrivato il periodo del raccolto, soprattutto dell’igname (un tipo di patata dolce), tutto è pronto per il grande momento.
La terra deve essere fertilizzata e nulla è più utile di un rito propiziatorio come il Naghol duplice celebrazione che funge anche da rito di passaggio per i giovani delle tribù che, già dall’età di dodici anni, possono dimostrare la loro indipendenza.
La cerimonia del Naghol
La cerimonia è semplice. Ogni ragazzo deve salire su uno dei giganti di legno, spogliarsi dei suoi abiti quotidiani, legarsi delle liane alle caviglie, recitare una formula tradizionale, prendere un bel respiro e tuffarsi giù. L’obiettivo? Sfiorare la terra con i capelli, in modo da renderla il più fertile possibile; più alto è il salto, più abbondante sarà il raccolto. Solo chi supera questa prova può essere considerato virile e coraggioso. Meglio dimenticarsi di talismani o simili, i giovani di Vanuatu li reputano di cattivo auspicio.
Ogni istante è seguito dallo sguardo fisso delle madri che, nel vedere i propri figli arrampicarsi su quelle strutture che vorrebbero quasi oscurare il sole, stringono forte cimeli d’infanzia che dopo il salto bruceranno. Un vero uomo non ne ha bisogno.
Per sicurezza, però, nei giorni precedenti al rito ogni ragazzo si incontra con i membri della propria famiglia per risolvere qualsiasi tipo di tensione o incomprensione rimasta irrisolta. Giusto per essere sicuri. Il tempo per provarci è lungo, ogni sabato nel periodo fertile fra aprile e giugno, in tempo per vedere sorgere e scomparire quei trampolini che non richiedono uso di alcun tipo di chiodo, solo pali incastrati e tanta, tanta fiducia.
La leggenda del Naghol
Il Naghol trova origine in tempi antichissimi che si perdono in una leggenda. Secondo questa, una donna del posto per fuggire dal marito si sarebbe arrampicata in cima a un’altura da dove, legati i piedi con due liane, si sarebbe gettata nel vuoto. L’uomo l’avrebbe seguita, ma senza alcuna protezione. Nonostante questo alle donne è vietato partecipare alla cerimonia ed esclusi rimangono anche gli sparuti turisti, che però possono godersi lo spettacolo da terra.
Ci vediamo in cima
Per quanto possa essere rischioso, il rito del Naghol è accolto e celebrato come la più grande delle feste e nessuno pensa ai due incidenti mortali, il primo nel 1974 durante la visita ufficiale della regina Elisabetta.
Non importa se il timore di cadere a terra a una velocità di settanta chilometri orari non si riesca a farlo passare, il desiderio di mantenere in vita la tradizione è molto più forte. Forte come le liane, che ogni sabato di questo periodo si tendono per trascinare indietro quei ragazzi che si lanciano verso il vuoto per allenarsi a guardare in faccia il futuro nello stesso modo: con coraggio e determinazione.
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