Ero di “guardia” quel giorno.
Non un giorno qualunque. Era il 1987, ma a Napoli il 10 maggio non sarà mai più un giorno qualunque.
In Clinica, i turni di guardia si preparavano circa un mese prima, quindi non potei prevedere quello che sarebbe successo. Durante tutta la settimana antecedente a quella data non trovai un solo collega che potesse farmi un “cambio turno”.
Solo il mio collega Antonio mi disse: “Carmine, a fatica sono riuscito a trovare il biglietto per la partita, ti prometto che ti darò il cambio prima delle ore 20”.
Mano a mano che si avvicinava l’ora – le partite se non ricordo male iniziavano alle 14,30 – la tensione aumentava.
Insieme ad alcuni infermieri ci organizzammo con un vecchio televisore, ancora funzionante, nella stanzetta del custode.
Si venne a sapere che il terzo canale della RAI, regionale, avrebbe trasmesso in diretta il secondo tempo della partita.
La tensione aumentava sempre di più, alle 14,30 dopo aver fatto il “giro di terapia”, ci attaccammo alle radio.
Nella quiete della Clinica non si udiva volare una mosca.
Anche i pazienti, maschi e femmine, erano nelle loro stanze vicino alle radio. Intorno alle 15 i vetri delle finestre iniziarono a tremare, un rombo sordo misto a fragore percorse tutta la clinica, si udivano urla e grida di gioia dei pazienti: il Napoli aveva segnato! Goal di Carnevale.
Alle 15,30 scesi in portineria insieme a due infermieri. Con custode Pasquale iniziai ad armeggiare intorno al vecchio televisore.
Iniziava il secondo tempo.
Dopo circa dieci minuti Baggio pareggiava l’incontro, altro tonfo dietro di noi. Mi girai di scatto e mi resi conto che eravamo una decina di persone a seguire la partita. Oltre a noi quattro si erano aggiunti dei pazienti. Uno di questi, al pareggio della Fiorentina, aveva sferrato un calcio nella porta per la disperazione.
Rassicurato e tranquillizzato, restammo tutti attaccati l’un l’altro fino al fischio finale.
L’apoteosi
Mentre da lontano giungevano le urla della città, da noi, in Clinica, fu apoteosi; grida di giubilo, abbracci e, non si sa da dove, spuntò una bottiglia di spumante.
Alle 19,30 vidi sbucare nel vialetto che conduceva alla Clinica, il mio collega Antonio con una sciarpa azzurra al collo. Era stremato, sfinito, ma felice come un bambino. Aveva fatto tutta la strada a piedi, dallo stadio fino alla Clinica (zone opposte della città) in circa tre ore. Mi disse raggiante: “Sono stato di parola? Ora vai, non so a che ora arriverai a casa. È tutto bloccato”.
Avevo una vespa 200GT, color blu. Uscii dalla Clinica intorno alle 19,45.
Napoli era tutta paralizzata, tutti fuori: in macchina, a piedi, in bici, tutti fuori…anche di testa!
Nonostante la Vespa, per fare circa tre chilometri, arrivai a casa alle 22.
Ero di “guardia”, quel giorno!