Troisi e “Scusate il ritardo”
Il 10 maggio del 1987 il Napoli di Maradona conquistava il suo primo attesissimo scudetto. I giornali, per sottolineare l’attesa durata ben 60 anni, presero a prestito il titolo del film di Massimo Troisi del 1983: “Scusate il ritardo”.
Durante la festa trasmessa in TV dagli studi Rai di Fuorigrotta, con la squadra azzurra al completo e una nutrita rappresentanza di artisti e intellettuali napoletani, il compianto Gianni Minà mandò in onda una esilarante intervista registrata poco prima proprio con Massimo Troisi. Con il geniale umorismo che lo contraddistingueva, l’attore di San Giorgio a Cremano ci regalò alcune perle rimaste storiche: “Festeggiate, ma non lasciate l’acqua e il gas aperti!” e “Meglio essere campioni del Nord Africa piuttosto che fare striscioni da Sudafrica.” E, soprattutto, Troisi espresse il desiderio che presto i giornali usassero un altro suo film per celebrare lo scudetto azzurro: “Ricomincio da tre”.
Dopo ben 36 anni, il suo auspicio è finalmente realtà!
Un Napoli da record
Uno scudetto vinto, anzi stravinto, quando mancavano ancora cinque giornate alla fine del campionato. E la matematica sarebbe giunta addirittura due giornate prima, senza il mezzo passo falso in casa con una coriacea Salernitana. Uno scudetto che più napoletano non potrebbe essere, perché vinto esagerando, con una cavalcata straordinaria che ha lasciato il vuoto in classifica. Migliore attacco, migliore difesa, capocannoniere (Victor Osimhen), e record storico di punti del Napoli (appartenente a Sarri con 91 punti nella stagione 2017-18) appena sfiorato. Insomma, niente male per una squadra che a inizio stagione tutti davano lontana dai piazzamenti che contano.
Un successo figlio di un repulisti
E già, perché la stagione del Napoli era nata nel segno dell’incertezza. In una sola volta, via i senatori. Lorenzo Insigne (capitano e profeta del tir’ a ggir’), Dries “Ciro” Mertens (il pittore fiammingo, miglior marcatore di sempre con la maglia azzurra), Kalidou Koulibaly (probabilmente il miglior difensore visto a Napoli dai tempi di “sua maestà” Ruud Krol) e David Ospina (portiere colombiano spesso preferito al buon Meret per la sua capacità di giocare con i piedi) e dentro l’esterno d’attacco georgiano Khvicha Kvaratskhelia, un carneade del pallone dell’Est, e il coreano Kim Min-Jae, difensore centrale pescato in Turchia.
Insomma, l’inopinato repulisti voluto dalla società di De Laurentiis suscitò preoccupazione tra i tifosi e perplessità tra gli addetti ai lavori. Sostituire giocatori forti ed esperti, anche se probabilmente a corto di stimoli, con degli illustri sconosciuti provenienti da campionati “deboli”, sembrava a tutti un azzardo. E invece…
A Napoli ci sono un georgiano, un coreano e un nigeriano…
Certe stagioni diventano trionfali solo se tutto si incastra alla perfezione, come un puzzle. È necessaria unità di intenti tra dirigenti e tecnico, ed è imprescindibile che la squadra segua attentamente i dettami dell’allenatore. Se poi i nuovi giocatori si integrano immediatamente nel gioco di squadra e nel tessuto sociale della città, allora i presupposti per vivere un’avventura straordinaria ci sono tutti.
È infatti sorprendente l’impatto sul campionato del 21enne georgiano, che con i suoi dribbling e il fiuto per il gol e per l’assist si guadagna subito il nomignolo di Kvaradona. Ma anche Kim si prende immediatamente il comando della difesa con la sua abnegazione e la determinazione tutta asiatica, unita a una fisicità importante. E poi c’è lui, il centravanti nigeriano Victor Osimhen. Martoriato da infortuni seri, tra i quali la frattura multipla del viso, nelle stagioni precedenti si erano solo intraviste le sue enormi qualità. Quest’anno, invece, si è scatenato segnando con regolarità disarmante, proponendosi come uno dei migliori centravanti in Europa, e ancora con margini di miglioramento. Al peso specifico di questi tre assi, però, vanno aggiunte le sapienti geometrie di Stanislav Lobotka, l’apporto determinante a tutto campo dell’instancabile nuovo capitano, Giovanni Di Lorenzo e, perché no, la ritrovata serenità in porta di Alex Meret. Insomma, la compagine azzurra si è rivelata fin da subito uno schiacciasassi straordinario in più esprimendo un calcio propositivo, spettacolare, irresistibile. Risultato, un bel gruzzolo di punti tra sé e le più accreditate concorrenti, vittorie e legge dettata su campi inospitali, dove lo sport più praticato è quello di inneggiare all’eruzione del Vesuvio.
Tanti meriti per un risultato esaltante
I meriti di questa clamorosa vittoria, quindi, vanno equamente divisi. Dei giocatori si è accennato. Va però anche ricordata la caparbietà del presidente Aurelio De Laurentiis, personaggio ineffabile, con esternazioni spesso sopra le righe, ma imprenditore illuminato e amministratore coscienzioso prestato al pallone, che per primo aveva parlato di scudetto a inizio stagione. E poi, come non citare la competenza del direttore sportivo, Cristiano Giuntoli, capace con i suoi collaboratori di pescare giocatori a costi bassi, ma dal rendimento altissimo, in netta controtendenza con il resto delle squadre di vertice, abituate a strapagare giocatori poco più che mediocri, o ormai sul viale del tramonto. E anche l’ambiente ha la sua parte di meriti: tifoseria e stampa, per una volta, hanno remato dalla stessa parte.
Su tutti, però, campeggia e si staglia la figura di Luciano Spalletti, l’allenatore, colui che è riuscito a plasmare un meccanismo dagli ingranaggi perfetti mettendo al posto giusto tutti i pezzi del puzzle. E pensare che nella stagione precedente, dopo il crollo nelle ultime giornate e il terzo posto definitivo, in molti chiedevano la sua testa…
Il filosofOne di Certaldo
Con quel ghigno sornione, a volte vagamente diabolico, che ricorda Nosferatu e i ragionamenti in sala stampa spesso arzigogolati, ma mai banali, il filosofOne nato a Certaldo 64 anni fa è il vero artefice mago di questo Napoli che ha fatto sognare i tifosi dal cromosoma azzurro e che si è accaparrato le simpatie degli addetti ai lavori in patria e all’estero. Il suo motto “Uomini forti, destini forti. Uomini deboli, destini deboli. Non c’è altra via”, è diventato il simbolo dell’intera stagione azzurra.
Ma Spalletti ha saputo fin da subito costruire anche un rapporto di rispetto con i tifosi e di amore con la città. Prova ne siano la sua frase in napoletano riferita all’attesa della matematica certezza dello scudetto: “C’ ‘o stammo trezianno”, come chi lentamente scopre le proprie carte al poker, assaporando a pieno l’attesa di un punto importante; e, soprattutto, il famoso tatuaggio sul braccio con il terzo scudetto e la N napoleonica che campeggia nello stemma del Napoli. Un amore marchiato sulla pelle.
Un precedente illustre
Circa 700 anni fa, un altro illustre figlio di Certaldo si recò a Napoli e se ne innamorò fino a diventare napoletano a tutti gli effetti. Giovanni Boccaccio, il maggiore prosatore europeo del ‘300, giunse a Napoli 14enne nel 1327 a seguito del padre, che voleva avviarlo alla carriera mercantile. Giovanni, invece, nella capitale di re Roberto D’Angiò scoprì la sua passione per le humanae litterae, diventando ben presto uno scrittore versatile che riusciva ad amalgamare generi letterari diversi facendoli confluire in opere originali, grazie a una fervida vena creativa e al gusto per la sperimentazione. Il suo soggiorno partenopeo fu particolarmente ricco dal punto di vista umano e proficuo da quello letterario. Quando fu costretto a lasciare la città per tornare a Firenze, sentì per tutta la vita la nostalgia per la sua amata città d’adozione. Un certaldese napoletano, dunque. Proprio come Luciano Spalletti.
Molte luci e qualche ombra
La pur straordinaria stagione azzurra ha presentato tuttavia qualche ombra. Per esempio, l’eliminazione in Coppa Italia subita dalla volenterosa Cremonese, ultima in classifica. E ancor più dolorosa è stata l’uscita ai quarti di finale di Champions League nella sfortunata doppia sfida contro il Milan. Probabilmente si è perduta un’occasione irripetibile per lasciare il segno anche in Europa. Certo, il pallone non è scienza esatta. Non sempre vince il migliore, a volte basta crederci più degli avversari.
Ma l’ombra che più infastidisce i sostenitori dei colori azzurri è senz’altro la certezza che non si aprirà un ciclo vincente con questi protagonisti. Spalletti ha chiesto e ottenuto un anno sabbatico, dicendo in realtà addio alla panchina del Maradona. Giuntoli è corteggiato dalla Juventus e i migliori giocatori sono già nel mirino di Liga e Premier League, dove abbondano i denari e non si ha paura di usarli. Insomma, incredibile dictu, a Napoli c’è una inquietante aria di smobilitazione, come se in molti sapessero già che non sarà più possibile ripetere un’annata così straordinaria. La stagione finisce come era cominciata, in mezzo all’incertezza e alla perplessità.
Napoli. Una sola, grande macchia d’azzurro
Basteranno queste inquietudini per smorzare l’entusiasmo dei tifosi dal cromosoma azzurro? Neanche per sogno! Per le strade attraversate da Totò e dai De Filippo e cantate da Pino Daniele, la festa dura da più di un mese, gioiosa, colorata, chiassosa, ma civile e ordinata. I vicoli tappezzati d’azzurro si confondono con il cielo e il mare che accarezza la città della sirena. Una dose di energia di cui il sistema calcio italiano aveva decisamente bisogno.
Non ci piace scadere nella facile retorica dello scudetto come simbolo di rinascita per una città tanto meravigliosa quanto martoriata: il calcio, soprattutto quello attuale, sembra essere lontano dalle dinamiche sociali. Ma è la gioia di un popolo, attesa a lungo e meritata, che può fungere da stimolo, questo sì, perché nelle coscienze di ognuno si svegli quel desiderio di migliorare, sapendo di avere i mezzi per farlo.
Intanto, il famoso Largo Maradona, una piazzuola dei Quartieri Spagnoli diventata museo a cielo aperto del D10s, è ormai meta di appassionati e turisti da tutto il mondo, contribuendo a riqualificare una zona degradata e malfamata con un indotto importante, costituito soprattutto da ristoranti ben frequentati. Un dato incoraggiante.
L’augurio è che la città prenda spunto dalla squadra, per costruire un futuro da vivere con entusiasmo e serenità. E allora potrà davvero essere festa tutti i giorni.
Ma, prima, controlliamo di avere chiuso l’acqua e il gas!