La nostra avventura come gruppo indipendente nella mitica Curva Sud prosegue negli anni ininterrottamente. Ogni maledetta domenica e, in quel tempo, anche di mercoledì, Orgoglio Romano era sempre e comunque presente: fila 21, seggiolino 10, praticamente sotto “I Lupi” tra ricordi belli e ricordi meno belli ma pur sempre storie che ancora oggi, quando ci riuniamo, piace raccontare e riderci sopra, nascondendo lacrime di nostalgia.
Non è facile ricordare tutto quanto vissuto in Curva Sud, non me ne voglia qualcuno se dimentico di annotare come ricordo, l’età avanza e crea brutti scherzi, il filtro della memoria ha bisogno di cure.
Una Curva di famiglia
Tra i tanti momenti belli ce n’è uno molto particolare legato a mia figlia Silvia. Avevamo deciso, come gruppo, unanimemente, di portare i nostri pargoli allo stadio, ripercorrendo così quella storia legata alle famiglie allo stadio. Il nostro futuro era legato a quattro pargoli per essere chiari: tre maschietti e una femminuccia. Ebbene, nonostante la tenera età, Silvia aveva già in tasca la tessera del CUCS con un personale dettaglio, era senza nome. Il perché è presto svelato. Era l’anno 1992, il mese di gennaio. Lungo il corridoio a ridosso del rettangolo di gioco c’erano sempre i rappresentanti del Commando.
Ricordo bene che in quel particolare periodo il Commando festeggiava il 15° anno. In diversi si prodigavano a occuparsi del tesseramento. Ebbene dopo aver sottoscritto il mio, all’epoca eravamo tutti uniti, senza appartenere a nessun gruppo, mi venne la brillante idea di tesserare il mio primogenito. Non sapendo il sesso, su quel particolare tesserino fu riportato soltanto il cognome con tanto stupore di colui che me lo rilasciò, un personaggio assai noto in Curva del quale per ragioni di cuore riporto solo le iniziali: S.M., uno che è stato protagonista della storia della Sud. Quando entravamo allo stadio, i piccoli erano disposti in fila indiana, tutti con la sciarpa al collo, con la bandiera bene in vista. La gente, al solo vederli, applaudiva sorridendo.
Aria di Curva
Il rapporto con gli altri gruppi è stato sempre cordiale e amichevole, nel rispetto dei ruoli e dell’anzianità. Non ho mai fatto questione di appartenenza politica, tantomeno di ceto sociale, durante quei novanta minuti non esisteva differenza alcuna. Ci si aiutava scambiandoci l’adesivo nel collocamento delle pezze lungo il corridoio finale a ridosso del vetro di delimitazione. Lo spirito giusto di una curva unita e compatta è fatto da mille peculiarità. All’ora si andava ed entrava molto presto in Curva. I cori all’unisono erano scanditi a squarciagola. Capitava in certe partite difficili da dominare, di lasciare il posto per andare a ridosso del vetro e incitare la curva a farsi sentire ancora più forte per essere più accanto alla squadra, senza vedere la partita, rivolto verso il pubblico con tanto di megafono in spalla, emulando così un noto tifoso dal prestigioso appellativo legato a una nota marca di bevanda, ovvero “Er CocaCola”, Roberto Venturelli.
Il nostro sabato
Il sabato pomeriggio, insieme a quelli del gruppo, lo si passava in sede a organizzare al meglio la partita della domenica. Le mogli, in questo caso specifico, erano bandite, tutte riunite a parlare tra loro, menomale. Così per una decina di anni, senza mai saltare un sabato antecedente la partita in casa.
Tempi nuovi
La fine del millennio cambiò radicalmente il modo e il mondo del tifoso. In curva non esisteva più quello spirito goliardico di appartenenza a una fede mai scalfita, nascevano gruppi e gruppetti più o meno sparpagliati sugli spalti. Persino i cori erano diversificati, ognuno il suo, di quel tempo sono rimasti solo alcuni pezzi memorabili come quello intonato dal gruppo dei Fedayn: “E quando more un prete…” e l’intramontabile: “Quanno l’inno s’alzerà…”. Per mera fortuna i vecchi erano sempre lì, al loro posto, ancora per poco però, qualcuno per colpa di un maledetto destino se l’è portato via.
Con la nuova generazione che cresceva di domenica in domenica, era difficile trovare punti di comune riferimento, noi troppo legati a vecchie tradizioni, ci sono state divergenze a volte scoppiate addirittura in gesti violenti proprio per diverse interpretazioni. Le nuove disposizioni di legge poi non permettevano una certa libertà, sempre più controlli affogavano la nostra voglia di Roma. A tal proposito, una volta ci fu sequestrato uno striscione, fatto a mano il giorno prima, solo perché incitavamo la nostra curva in maniera poco educata, una frase troppo colorita istigava alla violenza, almeno questo è stato il giudizio finale dalla parte dell’ordine pubblico. Che c’era scritto sullo striscione? Una frase ripresa dal film comico di Carlo Verdone del 1998, “Gallo Cedrone”, ovvero: “Semo tutti froci della Roma!” non ci fu nulla da fare, nonostante gli innumerevoli tentativi, lo striscione buttato via insieme ad altre scritte offensive.
Cuore di Curva
Ma la nostra storia riporta anche momenti fuori dal calcio giocato, fuori dal tifo acclamato. Momenti di grande cuore e solidarietà per circostanze disperate, comunque di aiuto rivolto a bambini sofferenti, tifosi in erba anche loro. Uno dei tanti ha visto come protagonista una bambina particolare, Sara, che aveva un suo speciale “amore” rivolto a un giocatore della Roma, un attaccante napoletano, che molto ha contribuito alla conquista dello scudetto del 2001. Era molto malata ma non era triste per nulla al mondo, forte e sempre sorridente conduceva la sua vita nel miglior modo possibile tra scuola, “Maggica” e terapie vare legate al cuore. Quando facevi il nome di questo giocatore, i suoi occhi s’illuminavano. Con alcune conoscenze e diverse logiche strategie siamo riusciti ad avvicinare il bomber, a quell’epoca era ancora possibile sostare davanti i cancelli di Trigoria per strappare almeno un saluto, non era ancora tempo dei selfie. Ebbene concordammo un incontro tra Sara e il calciatore. Quanto accaduto durante quell’incontro, lo lascio immaginare al vostro cuore giallorosso…