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Quando la Roma non gioca…

Giorni strani quelli senza le partite di campionato. Certo, gioca la Nazionale, ma a me non basta. Sono quelli i giorni in cui più di altri mi ritrovo a sfogliare vecchie riviste e giornali custoditi con cura, a rivedere foto e a rileggere articoli. Un tuffo nel tempo, un assalto alla memoria di quello che sembrava tutto finito, ma che invece è vivo e adrenalico più che mai.
AS Roma

Quando ci sono le partite della nazionale, si ferma il campionato e, per chi è tifoso dell’A.S. Roma, si ferma il mondo intero. È in questi momenti però che il sentimento bussa forse ancora più forte, proprio come quando un amore lontano ti fa sentire tutta la sua mancanza. Che fare, allora? Come continuare a avere l’adrenalina sempre a mille? I social in parte alleviano questa psicologica sofferenza; c’è sempre una discussione aperta su risultati, giocatori, addetti ai lavori. La carta stampata è fuori da ogni logica, a meno che…
E qui che nasce la distinzione tra tifosi di calcio e tifosi della Roma, Agostino Di Bartolomei non a caso pronunciò questo sacro aforisma. Per quello che mi appartiene e che mi accomuna a tanti altri, il tifoso giallorosso ha sempre in casa qualcosa che lo lega alla squadra e gliene ricordi momenti di vita vissuta. Ecco così spuntare tra libri e ninnoli, ritagli di giornale, alcuni ingialliti dal tempo passato ma pur sempre intatti, anzi immacolati. Riaffiora qualche vecchia rivista, periodici che negli anni passati hanno avuto il loro spazio e tempo, chi non ha una copia in casa di riviste come “La Roma” o “Giallorossi”? I libri sono interessanti da leggere, ma vuoi metter qualche articolo passato con qualche bella e vecchia foto rigorosamente in bianco e nero, non c’è paragone! Stavolta non è rivedere vecchi album di ricordi o le foto delle vacanze passate, reminiscenze belle e recenti, è molto di più.

Iniziano allora ben altri 90 minuti

Innanzitutto la scelta di questi cimeli, a seconda degli umori che in quel momento prendono, per mero sentimentalismo, il tifoso chiuso in casa chissà per quale motivo e comunque senza la sua Roma. Non si è presenti sugli spalti, lo stadio e vuoto e muto. Sfogliare pagina per pagina è una specie di rituale canonico, si fa tutto con estrema delicatezza legata a questo o a quell’articolo con inclusa foto di altri tempi. Ecco allora riaffiorare nomi e volti di gente che il tempo ha portato via, o gente diversamente giovane, oggi con un ruolo diverso da quello in campo, ovvero quello del nonno. Le partite, i risultati, la classifica sono le fasi salienti di una strana partita da seguire seduto su una poltrona di casa, oppure, per i più talentuosi, a piedi pari sotto un tavolo strapieno di fogli sparsi di giurassici quotidiani. Una foto ritrae la curva e tra tanti ti cerchi e ti rivedi tra loro…

Tamburi e vecchi cori

Mentre tutto scorre al rallentatore, ecco salire la stessa adrenalina di quella o quell’altra partita, i vecchi cori riecheggiano e con loro il suono costante dei tamburi. Se è pur vero che certe sensazioni non hanno una logica spiegazione, la pelle d’oca e qualche lacrima di vecchio stampo fanno parte di quel tempo e di quel particolare momento. Ma non esiste solo la parte statica della carta stampata, troppo statica purtroppo o per fortuna. Ci sono migliaia di filmati che aspettano solo di essere cercati e poi cliccati perché al cuore non si comanda.
I filmati più quotati sono quelli della cavalcata scudetto dell’82 barra 83 con un grandioso presidente onnipresente come Dino Viola, le giocate di Falcao, le punizioni del Capitano Ago e tu che ci canti sopra quella melodia: “Oh Agostino…Ago…Ago…Agostino gò!”, oggi come ieri, oggi più di ieri. Non esiste tempo che fu. Le immagini più eloquenti e strappalacrime sono di sicuro quella strana esultanza di Di Bartolomei la rete rifilata all’Avellino, e l’abbraccio tra Ancellotti e il suo capitano Agostino dopo il gol.  Una domenica grigia solo per il meteo, quel primo maggio del 1983 stava per realizzare un sogno tanto atteso.

Non basta! Manca ancora tanto alla fine di questi strani 90 minuti

L’anno è il 2001, il giorno 17 del mese di giugno, il luogo “sacro” è lo stadio Olimpico, gremito in ogni ordine di posto per quanto riguarda le tribune, mentre in curva non entrava neanche più uno spillo.
Quante bandiere e sciarpe, quanti miscugli di colori, e qui non si parla di spezzoni di partita, qui le immagini si susseguono a oltranza fino al fischio finale dell’arbitro Braschi. Sono sicuro che ancora l’urlo “Siamo noi, siamo noi, i campioni dell’Italia siamo noi!” accompagna i giocatori seminudi negli spogliatoi.

Ma non basta ancora! C’è ancora qualcosa da vedere e rivedere, tanto altro per non farci mancare nulla…

Siamo a qualche anno di distanza, era il 4 aprile del 2018, la partita è quella che solo i tifosi incalliti avevano nell’animo la sensazione della vittoria, praticamente tutti. La squadra avversaria è forse la più forte di quel momento calcistico a livello internazionale e poi in mezzo al campo c’è quel piccoletto che se decide di vincere la partita, la vince anche da solo: il Barcellona di Messi.
C’è da rimontare ben tre reti, e questi non sono mica dilettanti, tutt’altro. Ci hanno rifilato quattro reti all’andata che bruciano, e se non era per il gol di Dzeko, il ritorno poteva definirsi solo di cartello. Questa parte finale te la godi tutta, minuto dopo minuto, senza alcuna interruzione. Ti accomodi alla meglio e clicchi “play”, partono le prime immagini. L’entusiasmo e il clima da stadio è sempre lo stesso, oggi come allora ripeti le solite imprecazioni, parolacce e forse anche qualche cosa di più blasfemo, come se fossi allo stadio, come se si fosse ritornati indietro, lì, in piedi a sostenere la Roma.
Quel calcio d’angolo e quel colpo di testa di Manolas, sono ancora momenti vivi e da brividi. Anche se sei chiuso in casa, ti agiti e l’urlo del gol scatta inesorabilmente, uno, due, tre volte e ancora una volta le braccia sono tese al cielo. Importa assai poco se il cane ti guarda incredulo e abbaia o se chi è presente in casa corre a vedere cosa sia successo. No! Non sei pazzo! Sei solo un tifoso della Roma! Alzi ancora di più il volume del tuo televisore e ti godi cantando quel “Grazie Roma” ancora una volta, come allora, e sai bene che non sarà neanche l’ultima.

La ferita aperta

Non si può non ricordare infine, e farsi del male ancora nel rivedere le immagini, l’addio di Francesco Totti, quel maledetto pomeriggio è una ferita ancora aperta. Rivederlo le lacrime scendono senza alcuna pietà.
Ci saranno altre domeniche senza la squadra e lo stadio, ma a casa c’è sempre quella botta da matto che ti assale, dalla carta alle immagini.

 

Stefano Trippetta 66 anni, romano. Scrittore non per vocazione ma solo per passione rivolta alla città che fortunatamente mi ha voluto, scelto e cresciuto. Attraverso il filtro di una buona memoria sono riuscito a dividere questa grande madre: da una parte la Roma del cuore, la Lupa, tatuata con orgoglio; dall'altra quella razionale legata a ogni tipo di cambiamento, atteggiamento, costume.

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