Con lo pseudonimo di Asao Takamori, il maestro mangaka meglio conosciuto come Ikki Kajiwara (ma il cui vero nome era all’anagrafe Asaki Takamori), tra il 1968 e il 1973 pubblica per la casa editrice Kōdansha di Tokyo il manga あしたのジョー Ashita no Jō, cioè “Joe del domani”) disegnato da Tetsuya Chiba. Dal manga, che riscuote un successo pressoché immediato, vengono tratti due anime televisivi, il primo nel 1970, composto da 79 episodi; il secondo realizzato nel 1980 e composto da 47 episodi. In particolare, i primi 12 episodi della seconda sono un riassunto dell’ultima parte della prima, reso necessario dai quasi dieci anni intercorrenti tra le due.
Le prime puntate dell’anime arrivano in Italia nell’aprile del 1982. L’adattamento italiano cambia il nome del protagonista in Rocky Joe per sfruttare a piene mani l’enorme successo dei primi tre film dedicati all’iconico pugile italo-americano Rocky Balboa, interpretato da Sylvester Stallone. Da segnalare che la ritmata sigla del cartone animato era eseguita da Gli amici di Rocky, uno dei tanti pseudonimi scelti dagli Oliver Onions, al secolo i fratelli romani Guido e Maurizio De Angelis, autori anche di famose colonne sonore per film di successo negli anni ’70 e ’80, tra i quali quelli interpretati dall’indimenticato Bud Spencer in coppia con Terence Hill.
Il caso di un incontro
L’anime racconta con tonalità da romanzo verista la storia di Joe Yabuki (letteralmente “piedi piccoli”), un quindicenne sbandato, senza famiglia e senza dimora, che vive in uno dei quartieri più degradati e malfamati di Tokyo campando di espedienti, con piccoli furti e lotte quotidiane per la sopravvivenza. Un giorno, mentre cammina per la strada, inciampa sul corpo di un ubriaco steso per terra. Si tratta di Danpei Tange, un ex boxeur alcolizzato, che apprezzerà il talento pugilistico del ragazzo durante una rissa contro una banda di malviventi, e deciderà di allenarlo per riscattarsi dai fallimenti della sua stessa vita.
Una trama complessa
Poco avvezzo alla disciplina e al senso del sacrificio, Joe prende sottogamba gli insegnamenti del vecchio Danpei, ma lo segue solo per avere tre pasti caldi, un posto dove dormire e qualche dollaro al giorno. Successivamente, a causa di una truffa non riuscita ai danni della signora Yoko Shiraki, Joe viene rinchiuso in riformatorio. Dambei continua a impartirgli le lezioni di boxe per corrispondenza, mentre la sua palestra saranno le sfide e le risse con i compagni del riformatorio e in particolare con Toro Riki (Tooru Riikishi nel manga originale), anche lui con l’ambizione del pugilato e dotato di un “pugno proibito”. Usciti dal riformatorio, i due finiranno realmente per incontrarsi sul ring, dando luogo a uno scontro tanto violento quanto drammatico. Tuttavia Toro Riki, che è un peso welter, si sottopone a una dieta durissima per scendere alla categoria di Joe, che è un peso gallo. Il suo sforzo fisico è tale che, pur vincendo per KO, il pugile si accascia esanime tra le braccia del suo rivale.
Un destino segnato
Joe, depresso per aver causato la morte di Riki, riuscirà a tornare sul ring solo molto tempo dopo e, grazie all’amicizia del pugile sudamericano Carlos Rivera, supererà anche la paura di colpire al volto l’avversario. Ma il destino di Joe è ormai segnato: le botte prese in carriera hanno fatto insorgere nel giovane campione una grave forma di encefalopatia. Lo scontro finale con il campione del mondo Mendoza causerà la sua morte: Rocky Joe rimane seduto sullo sgabello dopo l’ultimo gong, con ancora il sorriso sulle labbra, mentre la luce lo avvolge, isolandolo da tutto il resto.
Le tematiche
Rocky Joe si segnala come una narrazione poetica, a forti tinte scure, su uno degli sport più crudeli. Oltre alle evidenti sofferenze del protagonista, orfano come nella migliore tradizione dei manga giapponesi del dopoguerra, numerosi sono gli elementi di ordine storico e sociologico che il manga condivide con gli altri due capolavori del maestro Kajiwara: L’uomo Tigre e Arrivano i Superboys.
Lo spazio socioeconomico in cui si muovono i personaggi di Rocky Joe è quello riconoscibile e ben delineato del Giappone post-bellico, raccontato come un paese in fase di grande sviluppo, ma nel quale permangono larghe sacche di miseria e di degrado. Il titolo Joe del domani fa proprio riferimento alla determinazione del protagonista, che partendo dai bassifondi malfamati della periferia di Tokyo sogna di costruire il suo domani con l’impeto dei suoi pugni. La forza d’animo con la quale i personaggi lottano contro le avversità della vita viene esaltata e valorizzata, mentre il gesto meramente sportivo viene costantemente esasperato, con prestazioni che sfiorano l’inverosimile (quante mascelle di avversari curvate per la violenza dei colpi!) e talvolta il sadismo.
Infine, è apprezzabile la componente introspettiva che caratterizza principalmente protagonista e antagonista. I personaggi secondari solo molto meno delineati, così come la storia d’amore, pur presente, è più accennata che raccontata.
Elementi autobiografici
Kajiwara, o Takamori, se si vuole, ha spesso immerso i propri personaggi nello stesso ambiente squallido e malavitoso che lo aveva visto crescere. Figlio di un illustratore, infatti, il mangaka era stato un noto delinquente giovanile, nonché un forte appassionato di lotta. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, la sua famiglia si trasferì dal Kyūshū a Tokyo. Il giovane saltò allegramente la scuola, ma il suo immenso talento come sceneggiatore di manga gli procurò ugualmente il primo contratto quando aveva appena 17 anni. Per tutta la vita non fece nulla per tenersi lontano dai guai: fu arrestato per percosse, si sospettava che spacciasse droga e tenne sempre stretti rapporti con la criminalità organizzata. È proprio il caso di dire: genio e sregolatezza.