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Roma. La prima di campionato 42 anni dopo

La prima di campionato è l'inizio di un'attesa, una filosofia di gioco e di tifo. La prima di campionato può andare bene o male, ma è sempre la prima di un grande amore che per la stagione nuova si veste a festa. Io la ricordo la prima del campionato 82/83. Io lo ricordo l'inizio di quel sogno. Io, a quel sogno, non ho mai smesso di credere.
Roma

Quando quest’anno ho visto il calendario delle partite il cuore ha avuto un balzo e il pensiero è corso veloce verso una domenica di quaranta e passa anni fa. Era il campionato 1982/83, stessa prima partita della mia Roma, ugualmente fuori casa, a Cagliari. Un segno del destino? Magari fosse… Certo, quella volta il risultato fu assai diverso e segnò l’inizio di una lunga rincorsa a un sogno. Un sogno alla fine preso in mano e a ripensarci mi commuovo ancora.

Roma 1982

Luci, suoni e maglie

Di anni ne sono passati tanti e, nel frattempo, più di una generazione di tifosi si è alternata sugli spalti dell’Olimpico Nel frattempo a noi si sono ingrigiti i capelli e l’Olimpico ha cambiato abito; quello di allora era ancora tutto da rifare, quello di oggi è permeato di tecnologia ultra moderna con i suoi giochi di luce e suoni. Allora l’ingresso in campo era accompagnato da una voce che pronunciava numero e nome, oggi l’ingresso in campo è fantasmagorico.
In ogni caso, oggi come allora, la prima di campionato è sempre un rito a sé stante con i nuovi arrivati e i vecchi confermati anche se, una volta, il calcio mercato era fatto di pochi nomi e scelte oculate.  E poi le maglie. Stagione nuova, maglie – una non basta mica più – nuove e ridisegnate. Capisco bene tutte le ragioni del merchandising, ma non posso non ricordare il grande Presidente Dino Viola quando diceva che “Un giocatore non deve essere mai divinizzato, di chiunque si tratti. Quella che tiene il sudore è la maglia!”.

Roma

La Roma non si discute, si ama

Nel 1951 Renato Rascel scrive così, in maniera semplice, lapidaria e inequivocabile, la regola numero uno del tifoso giallorosso. Regola che ancora oggi la tifoseria recupera ogni qualvolta che il cuore entra in conflitto con la ragione.  Accade così che già dalla prima di campionato leghiamo il nostro cuore a questo o a quel giocatore, rendendolo sin da subito quasi una divinità (di Divino ce n’è però stato uno solo e veniva da Porto Alegre).  Per come siamo fatti, non solo ci innamoriamo di ognuno dei nuovi, ma lo vediamo subito come il protagonista assoluto della nuova stagione, quello risolutivo e a lungo atteso. Lo vediamo spuntare dal tunnel, immerso nella tecnologia dei colori e suoni, come si chiami quasi poco importa, siamo alla prima di campionato e siamo tutti graniticamente sicuramente che grazie a “lui” saremo la squadra vincente. Non sempre è così. Direi quasi mai.
Onestamente non posso dimenticare quante volte io stesso, pazzo della Roma e dei suoi colori, persino prigioniero dei suoi e dei miei ricordi, ho reso subito campione chi campione poi non è stato. Inutile dire della sofferenza per i veramente tanti “bidoni” che hanno indossato la nostra mitica maglia “a du colori”.

La prima oggi

Quest’anno la prima non ha reso lo stesso risultato di quarant’anni fa. L’inizio non è stato certo quello che volevamo. Abbiamo una Roma in gran parte nuova, nata da un’idea di gioco che solo in questo campionato potrà mostrarsi veramente. Una Roma nata da un vortice di acquisti, da qualche ritardo e da qualche contrattempo. Le aspettative, come sempre, sono tante, ma come sempre le aspettative lasciano in agguato anche le possibili delusioni.
Da tifoso maturo, prima di diventare vecchio, mi sono però dato una regola: non divinizzo nessuno, ma neanche fischio qualcuno al primo passo falso.
Il motivo è semplice: possono portare la prima, la seconda o la terza maglia, ma qualunque essa sia è sempre la maglia della Roma. La mia.

Stefano Trippetta 66 anni, romano. Scrittore non per vocazione ma solo per passione rivolta alla città che fortunatamente mi ha voluto, scelto e cresciuto. Attraverso il filtro di una buona memoria sono riuscito a dividere questa grande madre: da una parte la Roma del cuore, la Lupa, tatuata con orgoglio; dall'altra quella razionale legata a ogni tipo di cambiamento, atteggiamento, costume.

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