Un ragazzino. Quando arriva nella giovanile della Lazio, nel 1970, Vincenzo D’Amico è un ragazzino di 17 anni. L’esordio in prima squadra non tarda: il 21 maggio 1972 debutta in casa contro il Modena. Qualche mese dopo, durante un’amichevole a Rieti, si rompe i legamenti. Un anno fermo, tanto per un ragazzino, troppo poco per fargli cambiare idea rispetto alla vita che voleva fare.
Rientra in campo il 14 ottobre del 1973, all’Olimpico contro la Sampdoria. La Lazio è tornata in serie A e il ragazzino si fa spazio tra i grandi con la voglia dei suoi diciannove anni.
Non poteva andare meglio. La Lazio vince lo scudetto 73/74 e lui, il ragazzino con un ginocchio sano e l’altro così così, sarà nominato miglior calciatore giovane del campionato. Golden boy, mica è da tutti.
La vittoria dello scudetto porta la Lazio al settimo cielo e lui, il ragazzino, tocca il cielo con dito.
Gli anni passano, gioca Vincenzo, qualche volta bene, qualche altra no, qualche volta è distratto da quello che accade fuori dal campo. Il ragazzino ha gli occhi vivaci, gli piace la vita intensa.
Quindici anni di maglia fanno di Vincenzo D’Amico un simbolo
A scanso di equivoci, chiariamo però che un simbolo Vincenzo D’Amico lo è stato sin da subito, non lo diventa adesso.
Ha attraversato gli anni ’70 e ’80, con la Lazio ha fatto di tutto: ha vinto uno scudetto, è andato in B, è tornato in A, se ne è andato per questioni non sue, ma poi è tornato.
Smessi gli scarpini – non la maglia, perché quella non se l’è mai tolta -, con gli stessi occhi da ragazzino sveglio ha commentato il calcio che non giocava più, ma che continuava ad amare profondamente. Così come non ha mai smesso di amare la sua Lazio.
La Lazio dello scudetto ’74, poi, è una vera e propria storia pop da manuale. Un clima irripetibile, personaggi irripetibili – Lenzini, Maestrelli, Chinaglia, Re Cecconi, Wilson, Frustalupi, Pulici, solo per dire -, destini irripetibili.
Vincenzo D’Amico ha attraversato con garbo i 68 anni che gli sono stati concessi.
Un signore del calcio
Tra le tante immagini, questa che lo ritrae con Carlo Ancelotti e Roberto Pruzzo ha un significato che va oltre il campo.
Questa foto ricorda a tutti il calcio come dovrebbe essere. Un gioco, una sfida, partite vinte e partite perse, avversari sfottò e risate. Insieme, anche tra avversari perché vincere e perdere, sfottersi e riderci sopra sono cose semplicemente umane.
Proprio come Vincenzo D’Amico, un signore del calcio.