Questa è una storia in bianco e nero, proprio come la fotografia che mi porta a scriverla.
Una storia da leggere in trasparenza, tra le righe. Se possibile da prendere con leggerezza. Se possibile. Le storie di amore e dannazione non scivolano quasi mai addosso.
È una storia epica, con un protagonista giovane, bello e coraggioso proprio come sono gli eroi epici anche se lui, per mancanza di contesto, un eroe non è. Siamo negli anni cinquanta e lui è solo un uomo. Un uomo un po’ speciale, però. Il nostro protagonista è un pilota e la sua sfida è con Chronos, dio orfico del tempo. A volte i piloti la vincono, altre volte, invece, è il dio a riscattare un pegno che non ammette repliche.
Alfonso de Portago è uno di loro.
La fotografia che mi porta a scrivere di lui è stata scattata il 12 maggio 1957 alla ripartenza romana della Mille Miglia.
L’ultima corsa, l’ultima foto, l’ultimo bacio.
Pensavo di scriverne, poi però guardando e riguardando dentro la foto, con Alfonso de Portago ho iniziato a parlare.
Tanti nomi, tanti destini
Alfonso Antonio Vicente Eduardo Ángel Blas Francisco “Fon” De Borja Cabeza de Vaca y Leighton y Carvajal y Are, marchese di Portago.
I romani credevano che nel nome ci fosse il destino. Tu, con tutti questi nomi, avresti potuto essere chiunque avessi voluto e invece, ti sei andato a prendere il destino più scomodo.
Ai tuoi amici dicevi che eri nato con qualche secolo di ritardo, che ti sentivi un’anima da cavaliere errante.
Forse più sir Galahad che Don Chisciotte, aggiungo io.
Destino scomodo dicevo. Tu sei un Cabeza de Vaca proprio come Álvar Núñez, tuo avo, conquistador critico con la corona, vita avventurosa di mare e di terra, naufragi e scoperte, primo europeo a raggiungere le cascate dell’Iguazù e persino scrittore.
Tra i tanti che potevi avere, ecco da chi ti sei andato a prendere il destino.
E va bene, non serve che tu lo dica, te lo leggo negli occhi che proprio di questo sei orgoglioso.
Amore e coraggio non sono soggetti a processo
Non so se tu abbia mai letto Robert Brasillach, ma questa frase è sua. Poeta eretico, Brasillach sarà fucilato la mattina del 6 febbraio 1945 nel carcere di Fresnes dove era rinchiuso con l’accusa di collaborazionismo con il nemico nazista. Albert Camus, François Mauriac, Paul Claudel e Paul Valery, tra gli altri, indirizzarono una richiesta di grazia a De Gaulle. Non servì. La storia doveva fare il suo corso.
La frase rimane però bellissima e se devo provare a immaginare di cosa tu sia fatto, solo questo mi viene in soccorso: amore e coraggio.
Bello, ricco, esuberante
13° Conte di Mejorada, 17° Marchese di Portago, nipote del Governatore di Madrid, figlioccio del Re Alfonso XIII di cui, a sua volta, tuo padre ha tenuto a battesimo il figlio. Insomma, non si può dire che nel cielo di Londra che ti ha visto nascere nel 1928 non ci fossero diverse buone stelle.
Hai studiato nelle migliori scuole e sei cresciuto a Biarritz, Pirenei Atlantici francesi, golfo di Guascogna.
Onde lunghe, surf, nobiltà da mezza Europa, casinò, bel mondo; da subito sei uno che alla vita può dare del tu. Da subito sei quello che il tuo destino ti chiedeva di essere.
Chissà se ti ha mai sfiorato il dubbio che tutto era così veloce perché altrettanto veloce sarebbe stato il tuo tempo.
Sportivo con un’ansia di sfida che ti bruciava dentro, viveur (donnaiolo lasciamolo dire a chi non ti ha mai guardato negli occhi) con un’ansia d’amore che ti bruciava forse ancora di più, mordi la vita a più non posso.
Ti sposi nel 1949, giovanissimo
L’americana Carroll McDaniel, ex modella, è più grande di te di sette anni.
Carroll, Edmund, Dorian, Linda; le persone importanti della tua vita sono tutte più grandi di te. Chissà se un giorno mi dirai cosa è mancato al tuo cuore da eterno ragazzo. Forse tuo padre, strappato alla tua vita da un infarto quando avevi solo 13 anni
Con Carroll hai due figli, il vostro matrimonio sarà poco più che una formalità, ma non divorzierete mai.
Dorian Leigh è bellissima, non dire se ne eri innamorato o no; certo è che fai un figlio anche con lei e non sarà un segreto per nessuno. A modo tuo ti piace l’idea di famiglia, forse per questo ne vuoi tante.
Nonostante tutto Carroll ci sarà sempre. Anche qualche anno più tardi, quando arriverà a Malpensa vestita di nero fino al capo, velato con un foulard.
Sono i tuoi anni d’oro questi cinquanta. Sono gli anni del Selvaggio di Marlon Brando e della Gioventù bruciata di James Dean. Giubbotti di pelle, sigarette a mezza bocca, motociclette e auto veloci, il bello e dannato è l’uomo del momento.
Loro recitano copioni, tu no. Le donne lo sanno e ti cadono ai piedi.
Anche lei. Anche Linda Christian, ma di lei parleremo dopo, vero?
Lo sport come istinto
Qualcuno ti dipinge come un annoiato rampollo aristocratico alla ricerca di emozioni forti, vie di fuga da una vita troppo disegnata. Quel qualcuno sbaglia, tu non sei mai stato un ragazzo annoiato. Tutto quello che hai fatto lo hai fatto per istinto. Solo e sempre per istinto. Pochi possono farlo, il vero lusso che hai avuto è stato questo e forse è proprio questo che ti ha fatto essere vivo come pochi.
A 17 anni hai già il brevetto di volo e pensi bene di armare una scommessa. Con un tuo amico scommetti di poter volare sotto un ponte del Tamigi, non so se sia stato proprio il London Bridge, però mi piace pensarlo. La cosa importante è che lo fai veramente. Decolli, guardi tutto dall’alto, fai i tuoi calcoli più o meno ad occhio, poi ti abbassi e a volo radente passi sotto il ponte. La scommessa la vinci, ma la paghi anche con la revoca della licenza.
Ti consoli facile però. I club parigini dove inizi a passare le notti ti aiutano. Come darti torto.
Cavalli e oltre
I cavalli sono un grande passione; monti, corri e salti per la scuderia di famiglia. Tra Francia e Inghilterra sei tra i più forti fantini del momento. Nel 1951 su cento gare ne vinci trenta. Per due volte sarai anche alla Grand National di Aintree, competizione tra le più antiche e difficili d’Inghilterra.
E poi giri il mondo. Lo fai per sport, per diletto, per placare i tuoi demoni, per vivere.
Non solo ippica, ma anche gare di nuoto e di atletica, tornei di pelota, polo, golf, regate e persino di bridge. Ovunque ci sia una bella sfida da cogliere, tu ci sei.
A St. Moritz ti appassioni allo skelethon, con il quale stabilisci record assoluti di discesa, e al bob.
Nel 1956 sei alle Olimpiadi di Cortina con la nazionale spagnola; quarto nel bob a due per appena 14 centesimi di secondo. Il bronzo te lo vai a prendere sulla pista Olympia Bobrum St. Moritz-Celerina per i Campionati del Mondo del 1957. Appena qualche mese dopo, su quella stessa pista una curva porterà il tuo nome.
Il 1957 per te non è un anno come gli altri. Il 1957 è una via senza ritorno.
Poi arrivano i motori
Qualcuno dice che tu abbia conosciuto Luigi Chinetti al Salone dell’Auto di New York, altri dicono a Parigi, altri ancora a Londra. Luigi Chinetti era un gentleman driver non da poco, immagino tu sapessi delle sue tre vittorie alla 24 Ore di Le Mans e di quella della Carrera Panamericana, nel 1951 con Piero Taruffi.
Nel 1953, quando lo conosci, Luigi Chinetti era già il rappresentante Ferrari negli Stati Uniti, ma le corse erano ancora anima per lui. Chinetti ti inquadra subito, gli è bastato poco per capire. Ti propone di fargli da co-pilota alla Panamericana montando su una Ferrari Vignale spider. Ovviamente ne sei entusiasta e accetti all’istante.
È durissima la Panamericana, la macchina con il numero 45 non gira bene, nessun piazzamento, ma l’esperienza messicana ti apre un mondo.
Il mondo che ti aspettava.
Vita e destino
Questo sono stati i motori per te, impossibile tornare indietro. Compri macchine, Ferrari in particolare, e inizi a gareggiare.
Edmund Nelson è un borghese con una storia tutta sua: ex sottufficiale dell’US Air Force, pugile, giornalista, ascensorista in hotel di lusso, i soli che frequenti. Ti introduce lui ai motori, diventate amici e lo so, vedo che abbassi gli occhi, lo so che ti fa male parlare di lui. Aspetta, prendiamoci ancora qualche minuto, lo faremo dopo, va bene?
Nel 1954 corri alla Mille Chilometri di Buenos Aires con Harry Schell; la Ferrari 340 va che è una meraviglia, tu ci metti il resto e siete secondi assoluti.
Ti senti addosso tutta la vita possibile e di correre non smetti più.
Nel 1955 vinci il Governor’s Trophy di Nassau su una Ferrari 750 Monza, mentre all’International Trophy di Silverstone sei miracolato; con la Ferrari 625 esci di pista a 200 all’ora e ti rompi solo una gamba.
Ti rifarai l’anno dopo, sempre a Silverstone, dove appena quindici giorni dopo il tuo debutto in Formula 1 a Reims, su Ferrari-Lancia D50 arrivi secondo dietro a Fangio a pari tempo con Peter Collins.
Enzo Ferrari faceva macchine, ma anche uomini
Il 2 dicembre, a Modena, il Drake presenta la squadra corse per il 1957.
Ferrari Primavera, così viene chiamata dalla stampa. Siete in cinque, tutti giovani e felici.
Con te ci sono Eugenio Castellotti, Peter Collins, Luigi Musso e Peter Hawthorn.
Non lo potevi sapere, nessuno di voi poteva, ma addosso avete il marchio dello stesso destino.
Al Drake piacevi e forse lo incuriosivi anche.
“…uomo di estremo coraggio fisico che lo portava da una pista di bob a un circuito automobilistico, da un percorso ippico a non so quale altro campo dove ci fosse da rischiare” scrive Enzo Ferrari in Piloti, che gente…”Non sapeva indietreggiare di fronte alle difficoltà; dopo il suo primo incidente in Inghilterra il suo impegno e la sua ambizione si fecero ancora maggiori. Ed era, nel suo complesso, un uomo insolito, sempre inseguito dalla fama di dongiovanni internazionale, non saprei quanto meritata. Sempre guardato come una specie di magnifico barbone per il suo comportamento trasandato, la sua improbabile igiene estetica, la barba lunga, i capelli lunghissimi, l’immarcescibile giacca di cuoio e il passo dinoccolato. Sulle donne faceva gran colpo, perché era alto e bello. Ma in me era rimasta impressa la figura di signore, che sapeva sempre emergere dalla voluta rozzezza dell’aspetto…”
Uomo di altri tempi il Drake, ma per parlare così di te dovevi piacergli un mondo.
Edmund
Di Edmund “Gunner” Nelson ho solo accennato, però qualche cosa in più dobbiamo dirla, vero Fon?
Fon, così ti chiamava Ed, così ti chiamavano gli amici e voi due lo eravate sul serio.
Carattere effervescente anche Ed. Americano del Sud Dakota, trascorsi da pugile a cui deve il soprannome di Gunner, sembra che tu abbia iniziato a chiacchierare con lui quando faceva l’ascensorista al Plaza di New York. Forse ti avrà raccontato di quando era a Pearl Harbour nel ’41, e poi anche dell’Europa e di Parigi di cui era innamorato.
Sicuramente, però, ti avrà parlato di motori.
Di come siano andate esattamente le cose anche tu, dopo tanto tempo, hai ricordi sbiaditi, ma va bene così.
Come dici? Il Tour de France Automobile del ’54? Quello lo ricordi bene, giusto? Siete insieme su una Osca 1400, ma vi siete ritirati prima della fine. Lo so, vi siete rifatti nel 1956, quando il Tour lo avete vinto su Ferrari 250 GT.
Edmund poteva non essere con te alla Mille Miglia del ’57? È solo una domanda di rito. Hai ragione, no, non poteva.
Quando Enzo Ferrari ti chiede di partecipare su una macchina che non avevi mai guidato, non hai alcuna esitazione nell’accettare. Quando poi ti dice che devi trovare un co-pilota rispondi deciso che già ce l’hai. Edmund, ovviamente.
La Mille Miglia del ’57 non la scorderà nessuno
11 maggio Brescia, 12 maggio tappa a Roma e poi ancora Brescia. In mezzo, 1.597 chilometri di strade statali e comunali dove si superano i 250 chilometri all’ora. Gente ovunque, sul ciglio delle strade, affacciata alle finestre, sporta ai balconi e poi le scritte di evviva sui muri. Una festa di popolo e di motori, esclusiva e popolare allo stesso tempo, velocità, rischio, passione verace; al tempo questo era la Mille Miglia.
“Io ero al rifornimento di Bologna” scrive Enzo Ferrari “l’ultima sosta prima della volata finale a Brescia. Quest’ultimo tratto del percorso, praticamente tutto rettilineo e in pianura, non presentava alcun motivo di suspense. Difficoltà terminate, giochi fatti. Avevamo quattro macchine al comando della corsa e avevo già parlato ai piloti. Taruffi andasse tranquillo, von Trips di scorta, De Portago terzo, inattaccabile, senza problemi, Gendebien prudente perché era molto importante condurre al traguardo la debuttante berlinetta 250 Gran Turismo”
Doveva andare così, vero? Invece no, la storia prende un’altra piega.
Guidizzolo
La maggior parte degli italiani non sospettavano l’esistenza di un paesino alle porte di Mantova di nome Guidizzolo.
Adesso lo conoscono tutti.
È lì, in un curvone poco prima dell’ingresso del paese, che la strada impazzisce.
Sei veloce, tra i 250 e i 280 all’ora diranno le perizie. Pizzicato dagli occhi di gatto nella mezzeria della curva, lo pneumatico anteriore sinistro della tua Ferrari 335S scoppia, la macchina sbanda, ti pieghi sul volante con tutta la forza per rimetterla in direzione, quello che resta dello pneumatico salta del tutto, rimane il cerchione. Hai fatto di tutto, ma non riesci. Prima un cordolo, poi un altro, poi le persone, poi il fosso. Il mondo si capovolge. Il mondo non esiste più.
Edmund è catapultato fuori, tu rimani dentro. Immobile.
È una tragedia. Voi due morite sul colpo, ma non siete i soli.
La Ferrari travolge un gruppo di persone, ne muoiono nove di cui cinque sono bambini.
Un testimone
Gaetano Beghelli è uno dei tanti che attendono il passaggio delle automobili. Vuole godersi lo spettacolo e quando vede in lontananza le macchine toglie la sigaretta dalla bocca e aspetta.
La 531 è quasi davanti a lui quando sente netto lo scoppio del pneumatico. Così racconterà la scena: “…per circa quaranta metri l’auto ha zigzagato lungo la strada, poi si è inclinata a sinistra ed è scivolata tra due cordoli. Era già sull’orlo del fosso quando ha urtato con il fianco destro un cordolo sradicandolo. Per il contraccolpo l’auto fu raddrizzata e spostata di una quindicina di metri dalla strada in direzione parallela. Ed è in questo tratto che ha falciato nove persone. Poi ha puntato con il cofano nel fosso e infine, come un proiettile, è saltata lungo tutta la strada ed è finita nel fosso dall’altra parte. In questo salto ha tagliato un palo della luce a un metro e venti centimetri da terra“.
Poi il silenzio. Poi le urla.
Chronos, il dio che hai sfidato, ha messo il pegno all’incasso.
Non so se si sentano certe cose
Qualche giorno prima della Mille Miglia scrivi una lettera a una rivista americana e così dici “…perdere il controllo dell’auto e sapere che per me non c’è assolutamente nulla da fare, rimanere lì, congelato nel terrore e aspettare che le cose facciano il loro corso: questo è il pensiero che mi spaventa più di ogni altro. Ma correre è un vizio; proprio perché è un vizio è quasi impossibile rinunciarvi. Tutti i corridori giurano che a una certa età non correranno più, ma pochi sono in grado di farlo seriamente. Hanno il temperamento di giocatori incalliti e, come tali, rimandano sempre il momento di allontanarsi dal tavolo da gioco. A volte, quando un pilota viene a sapere che un suo collega è stato ucciso sulla strada, giura di non correre più. Ma poi pensa: non succederà mai a me. E, il terzo giorno dopo la tragedia che ha colpito il suo amico, torna a prepararsi per una nuova gara”.
Ai meccanici poi dici che farai una corsa prudente, senza affondare. Non conosci bene né la macchina e né la strada.
Ma tu sei Fon, vero? Tu sei il marchese de Portago, non il principe del buon senso.
Lo hai detto, certo, ma per quello che ho capito di te io non credo che tu abbia mai veramente pensato di correre con prudenza.
Per te correre è correre, come amare è amare. In una vita senza misure, figurati se possano esistere le mezze misure.
12 maggio. La Mille Miglia finisce qui
Piero Taruffi la vincerà e sarà l’ultimo a poterlo fare. La Mille Miglia competitiva non si correrà più.
Enzo Ferrari andrà sotto processo e solo dopo quattro anni sarà assolto con formula piena da accuse che si sono rivelate prive di ogni fondamento.
Di te Fon, dopo tanti anni parliamo ancora. Anche noi che nel ’57 non c’eravamo, anche io che non ti avevo ancora mai parlato.
Ora però facciamo un passo indietro e torniamo alla fotografia da cui è nato tutto.
Dobbiamo parlare di lei, di Linda, e di te.
Linda Christian era bellissima ed era una diva
Il 28 gennaio 1949 il suo matrimonio con Tyrone Power, a Roma nella Basilica di Santa Francesca Romana, è da favola, segna la fine del dopoguerra e l’inizio di quella che Fellini, nel 1960, chiamerà la dolce vita.
Abito delle Sorelle Fontana con sette metri di strascico bianco, merletti e perle vere per lei, tight di Caraceni per lui, cinquemila garofani per l’addobbo in Chiesa, riprese per i cinegiornali di tutto il mondo, diretta radiofonica, staffetta di poliziotti in motocicletta per scortarli dal Papa dopo la cerimonia. Se c’è stato un matrimonio del secolo, per il contesto irripetibile in cui si è svolto, è stato questo.
Bello, bellissimo, ma non è bastato a farlo durare però. Il divorzio arriva nel 1956.
Poi ci sei tu Fon. Sposato di tuo, ma non abbastanza. Due figli più uno, ma non troppi.
A Linda prometti di sposarla. Qualcuno penserà che tu lo abbia detto a molte e che questa in fondo è la classica frase del traditore seriale, visto che eri ancora sposato con Caroll.
Ma che sanno dell’amore quelli?
L’ultimo bacio
Ecco la foto. L’ho guardata a lungo, ho lasciato che fosse lei a parlarmi.
Ho lasciato soprattutto che a parlarmi di te fosse il bacio che dai a Linda.
Sei completamente abbandonato, trasognato, senza difese. Solo chi ama bacia così.
Io ci credo che avresti voluto sposarla, non sei uomo da aver bisogno di frasi di circostanza per conquistare una donna.
Devo dirti anche un’altra cosa, però, ma non avertene a male.
Non so se Linda ti avrebbe sposato.
Forse è stato solo l’attimo sbagliato, lo scatto indiscreto. Il beneficio del dubbio non lo voglio negare a nessuno, ma la fotografia fissa l’attimo con indiscrezione fatale. Linda ti bacia, ma è distratta, ha gli occhi aperti e guarda altrove, forse in favore di un altro fotografo.
Con tutta sincerità, proprio non so se Linda ti avrebbe sposato.
Questa foto è stata ribattezzata il bacio della morte, un titolo che a me non piace. Io, nella foto, vedo altro.
Io vedo il tuo bacio Fon e a questo bacio voglio rendere onore.
Credo che ogni donna ne meriti uno così dall’uomo che ama.
A te, dopo questa lunga chiacchierata, posso solo dire buona corsa Fon
Buona corsa per tutte quelle che continui a fare dall’altra parte, quelle sì che non finiscono mai.
E visto che ci sei, una cortesia me la devi, quando ti capita, salutami sir Galahad e gli altri della Tavola Rotonda.
Altri tempi, ma di amore e di coraggio ne sanno anche loro.
…………..
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