Maggio 1968, non una data, ma un’icona. Il mondo che cerca nuove strade, la Sorbona occupata, l’immaginazione al potere, Caroline de Bendern che diventa la nuova Marianne.
Noi però non siamo a Parigi, ma a Milano e il nostro maggio è di un solo giorno, una domenica, il 26. Anche noi abbiamo una moltitudine in movimento, ma senza barricate a separare studenti e flics. La nostra moltitudine sono 55.000 persone che alle cinque del pomeriggio hanno un appuntamento a San Siro e, semmai, hanno trovato traffico per arrivare. In effetti l’appuntamento sarebbe stato ieri, ma la pioggia ha fatto rimandare tutto di un giorno. Oggi, paradossalmente, Milano sconta una cappa d’afa, ma nessuno ci fa caso, sugli spalti si suda, si fuma e qualcuno scommette con gli occasionali vicini di posto. Per il pugilato sono ancora anni d’oro; l’appuntamento che assegnerà il titolo mondiale WBC/WBA dei superwelter è di quelli da non perdere. I giornali ne parlano da settimane, i nomi e le fotografie dei pugili echeggiano sulle copertine e sulle locandine affisse nei bar e per le strade. I 55.000 hanno pagato dalle 3.000 alle 25.000 lire per un biglietto ed ora si aspettano adrenalina e spettacolo: avranno molto di più e quello che vedranno non lo dimenticheranno mai.
Non lo dimenticheranno neanche Sandro Mazzinghi e Kim-Soo Ki.
Il Ciclone di Pontedera
Toscano di Pontedera, classe 1938, per Sandro Mazzinghi la vita inizia in salita. A casa mettere insieme pranzo e cena non era scontato e al resto ci pensa la guerra. Il fronte sale, la linea Gotica è a due passi, gli eserciti cambiano, le bandiere pure, Pontedera è bombardata, gli stabilimenti Piaggio distrutti. Sandro è piccolo, ma non abbastanza per non ricordare. Poi arriva la pace, non si spara più, ma la fame continua a mordere. Sandro cresce e si appassiona alla bicicletta; quando gliene prestano una spinge forte sui pedali, Coppi e Bartali lo entusiasmano, ma una bici tutta sua è solo un sogno.
Quando hai poco o niente, ti rimangono solo gambe e braccia per guadagnare da vivere. Con gambe e braccia puoi lavorare duro, oppure puoi inseguire sogni e se con le gambe è andata male, rimangono le braccia. Rimangono i pugni.
Guido è il fratello maggiore di Sandro e con i pugni ci sa fare: nel 1952 è azzurro alle Olimpiadi di Helsinki. È lui che traccia la strada, è lui che inizia a portare Sandro in palestra di nascosto dalla madre ed è a lui che Sandro guarda come esempio da seguire. La vita poi deciderà diversamente. Sandro andrà avanti mentre Guido, che nel 1956 sarà campione italiano dei medi, si fermerà e si metterà all’angolo del fratello. È così che i fratelli Mazzinghi diventeranno anche una delle più belle storie familiari del pugilato e dello sport italiano.
Pugni al destino
Sandro arriva in palestra intorno ai 16 anni e quando si allena non prende a pugni un sacco, ma un destino.
Picchia duro Sandro, la prima volta combatte quasi per caso, una sostituzione dell’ultimo minuto, ma quando sale sul ring capisce che non ne scenderà più. Diventa campione italiano juniores nel ‘58, bronzo agli europei di Belgrado del ’59, oro a mondiali militari di Fort Dix nel ’61, poi il salto nei professionisti con una serie di incontri e ko che lo portano al titolo mondiale. Ha solo 25 anni quando il 7 settembre al Vigorelli di Milano Sandro diventa campione del mondo superwelter mandando ko Ralph Dupas, titolo che difende e conferma il 2 dicembre nel clima decisamente ostile di Sidney.
Sandro è un campione, il destino però non si dimentica di lui; aspetta solo l’occasione giusta per dare un colpo proibito e lasciare un segno profondo.
Quel 1964
È tempo di pensare anche alla vita oltre le corde. Loro ne parlavano da tempo, adesso ne iniziano a parlare un po’ tutti, anche i giornali. Il 2 febbraio Sandro sposa Vera Maffei e il matrimonio del campione diventa da copertina.
La vita sembra in discesa. Il 12 febbraio però la vita diventa una strada ghiacciata. È notte, Sandro e Vera sono di ritorno da una serata di gala a Montecatini quando la strada sfugge, la Bmw impazzisce e si schianta contro un albero. Vera muore sul colpo, Sandro è sbalzato fuori. Vivo per miracolo, sarà operato per una frattura cranica. La sua vita è sconquassata, la convalescenza impegnativa e c’è il rischio che il prossimo ring possa vederlo solo da spettatore. Altri forse avrebbero mollato, lui no. Sandro si va a riprendere la vita nell’unico modo che conosce: torna ad allenarsi e il 12 aprile, appena tre mesi dopo l’incidente, è sul ring contro Hilario Morales e lo manda ko alla tredicesima ripresa. Chiuderà l’anno con altri sei incontri e in due di questi, contro Tony Montano il 6 ottobre a Genova e contro Fortunato Manca a Roma l’11 dicembre, difende il titolo.
I pugni di Sandro continuano ad essere pesanti, ma se il fisico ha reagito al dramma, l’anima fatica ancora tanto.
Il colpo di Charley Austin che il 24 aprile lo manda al tappeto alla seconda ripresa è un segnale per tutti, anche se non basta a fargli perdere l’incontro; alla nona ripresa l’americano lascia il quadrato con sei punti all’arcata sopracciliare e il ko tecnico decretato dall’arbitro. Qualcuno polemizza, si parla di favoritismi; è solo l’inizio di quello che accadrà l’anno dopo.
La querelle del ‘65
Nino Benvenuti è l’altro idolo del nostro pugilato. Oro superwelter a Praga ‘57 e Lucerna ‘59, oro welter a Roma ’60, dopo le Olimpiadi salta nel professionismo e nel 1963 si prende il titolo italiano dei medi. Il salto vero da fare però è un altro. Benvenuti, i suoi manager, gli organizzatori di incontri e la stessa Federazione puntano alla prima contesa nazionale per un titolo mondiale. Il campione da sfidare, ovviamente, è Sandro Mazzinghi. Atleti diversi, caratteri diversi, l’agonismo tra Benvenuti e Mazzinghi nasce così, certamente sul ring, ma anche a tavolino. Alla stampa non pare vero e ci mette del suo.
Milano, San Siro, 18 giugno, in 40.000 sono tra spalti e parterre, mentre altre centinaia di migliaia sono incollati a radio e televisori in Italia e nel mondo. Sei riprese, meno di mezz’ora, un montante destro, Sandro va al tappeto e Nino si prende il titolo. “A pari condizioni, non ci sarebbe stata storia, avrei vinto io” così dice Sandro e così dirà sempre.
L’agonismo è passione, rivalità e cuori gonfi di pugni e di orgoglio.
Roma, Palazzo dello Sport, 17 dicembre, 20.000 dentro e sempre altre centinaia di migliaia incollati a radio e televisori. La rivincita è una conferma. Ai punti, con verdetto unanime dei giudici, ma non con quello degli appassionati che sulla bontà del giudizio si dividono drasticamente, Benvenuti mantiene il titolo.
Mazzinghi sa colpire duro, ma anche parlare senza mezzi termini, la polemica sui due incontri con Benvenuti lo accompagnerà sempre. Il titolo superwelter di Benvenuti non dura molto però; il 25 giugno 1966, sei mesi dopo, a Seul glielo porta via il campione di casa Kim-Soo Ki. Anche qui le polemiche fioccano e non senza qualche ragione.
Sandro Mazzinghi non molla di un passo
Sandro deve riprendere la corsa, deve rimettere a posto l’anima dai dolori, dalle delusioni e dalle polemiche.
Dopo neanche due mesi dalla sconfitta di Roma è di nuovo sul ring. Dall’11 febbraio ’66 sino al 5 aprile 1968 combatterà tredici volte e vincerà sempre, dieci volte per ko. Vince, inizia a guarire dalle ferite invisibili e fissa dritto negli occhi il suo obiettivo: riprendersi il titolo. Kim-Soo Ki lo sta difendendo bene, ma le opacità continuano ad accompagnare il coreano. Il match con lo sfidante Freddie Little ne è esempio lampante. Kim-Soo Ki è però un pugile coriaceo, insidioso, viene dalle arti marziali e per i coreani è una sorta di eroe nazionale.
La macchina si mette in moto, Vittorio Strumolo con la sua S.I.S. e Adriano Sconcerti tessono la tela, i soldi che girano sono tanti. Kim-Soo Ki accetta la sfida di Mazzinghi, ma dice la sua per la borsa in palio e, ma questo lo vedremo a ridosso del match, anche per il peso. I nostri spuntano Milano e questa è già una vittoria; se il match si fosse svolto a Seul, forse i pugni di Sandro non sarebbero bastati e noi avremmo scritto un’altra storia.
Una domenica di maggio
La serie A si è chiusa il 12 maggio; primo con 46 punti, il Milan ha cucito il nono scudetto sulla maglia.
Senza calcio, due domeniche dopo San Siro potrebbe essere un simulacro estraniante, ma non è così. Il 26 maggio San Siro brulica di gente; 55.000 persone gremiscono spalti, tribune e parterre, il popolo del pugilato è schierato e freme di un tifo vibrante.
Quando sale sul ring Sandro vede e sente il pubblico che lo osanna, ma sono sicuro che in quel momento gli scorra davanti anche tutta la sua vita. La fame, le bombe, la bicicletta mai avuta, il sacco, i primi guanti, le prime bistecche, gli incontri vinti, la notte di febbraio, i titoli vinti e quelli persi. Quello perso. Quello che vuole riportare a casa. Ora e adesso.
Questo non è un match come gli altri, questo proprio non è un match, è molto di più. Ogni pugno dato e preso è anima, cuore, coraggio, rabbia. Come sempre, certo, ma più di sempre.
La battaglia di San Siro
Kim-Soo Ki non è venuto a fare una gita. Ha spuntato una borsa super milionaria, 55.000 dollari sono una fortuna, ma non è tutto. Una volta arrivato in Italia, alle verifiche del peso risulta essere fuori di tre chili, in pratica è un peso medio. Non si può fare, o meglio non si potrebbe. Le condizioni sono prendere o lasciare; se Sandro rifiuta, i coreani tornano a casa e trattengono la borsa. Tre chili declinati sulla velocità di un pugno diventano potenza che fa male, ma a Sandro non importa, accetta e sul ring ci va per vincere ma Kim-Soo Ki, con i suoi tre chili in più, a farlo vincere non ci pensa proprio.
Opacità o meno, Kim-Soo Ki è un pugile forte, un mancino che colpisce duro e sa incassare. Incassa come se non sentisse i colpi e colpisce con pugni che schiantano, ma anche con la testa che tiene bassa per alzarla al momento giusto.
Un momento giusto che arriva già alla prima ripresa quando Sandro si ritrova lo zigomo destro fortemente segnato. Sandro è più mobile del coreano, ma i due si colpiscono duro e alla distanza corta la testa di Kim-Soo Ki è sempre pronta. Alla seconda ripresa a farne le spese è l’arcata sopracciliare sinistra. Potrebbe finire lì, ma non finisce.
Guido all’angolo rabbercia la ferita del fratello e si ricomincia.
La terza ripresa
I colpi sono serrati, pesanti da una parte e dall’altra, il coreano cerca la distanza corta, in un momento quasi schiaccia Sandro all’angolo, ma dopo pochi secondi accade quello che non ti aspetti. Sandro non ha più un pugile davanti a sé, ma un sacco. Colpisce, rompe la guardia, colpisce e colpisce ancora. Oltre venti colpi in una manciata di secondi. Il coreano finisce a terra, si rialza, l’arbitro conta, Kim-Soo Ki si avvicina alle corde e gira le spalle. Dio santo ha girato le spalle! Mazzinghi ha vinto pensano tutti. Non è così, l’arbitro non conta più, il coreano si gira e riprende il centro del ring. Si continua. Alla fine della ripresa Adriano Sconcerti irrompe clamorosamente sul quadrato reclamando a braccia alzate la vittoria. Non c’è verso, non c’è storia o forse sì, c’è una grande storia.
Il titolo torna a casa
La grande storia sono le altre dodici riprese combattute fino all’ultimo secondo. La grande storia sono tutti i cinquanta minuti di assalto continuo, di pugni che non si fermano, di fiato che si spezza, di cuore che non molla con i 55.000 di San Siro che non sono più solo spettatori, ma testimoni.
Nessuno va più a terra, il finale è un verdetto ai punti e nonostante l’evidenza si rischia l’incidente. Dei tre arbitri due, l’americano Harold Valan e l’italiano Nello Martinelli non hanno dubbi, mentre il coreano Soon-Choul Park vede un altro match e assegna il vantaggio al suo connazionale. Forse bisogna capirlo, Kim-Soo Ki era un eroe nazionale per il suo Paese e un eroe, a volte, si difende anche oltre l’evidenza.
Per riprendere il titolo Sandro Mazzinghi ha dato tutto; “…non so come abbiamo fatto a reggere un ritmo così” dirà poi.
La battaglia di San Siro finisce così, con Sandro e Kim abbracciati, gonfi e sfiniti che sorridono ai fotografi.
Kim-Soo Ki continuerà a combattere solo per qualche mese ancora; il primo marzo del ’69 sarà il suo ultimo match. Il suo ultimo incontro con la vita, invece, arriverà a soli 58 anni, il 10 giugno 1997.
Sandro Mazzinghi oltre
Sandro perderà il titolo con Freddie Little a Roma il 25 ottobre del ’68, ma questa è un’altra storia ancora da raccontare. Continuerà a combattere fino al 1970, poi si fermerà e riprenderà, ormai grande, nel 1977 disputando altri tre incontri; l’ultimo il 4 marzo del ’78. Nel mezzo l’anima guarisce, sposa Marisa e arrivano David e Simone; una famiglia che sarà sempre la sua forza.
69 incontri di cui 64 vinti con 42 ko, cinque titoli europei un titolo mondiale fanno di Sandro Mazzinghi uno dei pugili più importanti del nostro panorama. Coraggioso fino a sfidare e vincere il destino, duro di pugni, leale sul ring e nella vita, carattere che non l’ha mai mandata a dire, eclettico sino a cantare e scrivere con successo, Sandro Mazzinghi non ha però lasciato un segno profondo solo nel pugilato. Mazzinghi ha consegnato sé stesso al nostro immaginario e la sua storia oggi è un patrimonio culturale da raccontare e raccontare ancora.
Mai come oggi abbiamo bisogno di buoni esempi e Sandro Mazzinghi, l’uomo che diceva di aver scelto il pugilato perché due guantoni non costavano niente, lo è per tutti.
Il 22 agosto del 2020, nella sua Pontedera, Sandro Mazzinghi non appende i guanti al muro, se li porta con sé, dall’altra parte, pronto a ricominciare. La foto fa parte del suo ultimo servizio fotografico, scattato qualche tempo prima.
Guardatelo bene, guardatelo negli occhi e chiedetevi cosa ci vedete in quegli occhi.
Nel 1980 Sandro Mazzinghi si era ritirato da qualche anno quando in televisione arrivano dei cartoni animati giapponesi che faranno parlare molto. Ai ragazzi di allora che ancora non sapevano di essere dei fortunati boomer inizia a diventare familiare la sigla. Una strofa dice “…non conosce la paura né sa il dolore che cos’è, lotta, cade, si rialza sempre vincerà…”.
La sigla era quella di Mazinga Z.
Pensate che Sandro Mazzinghi fosse diverso?