Guardate bene la foto.
Guardatela e sospendete per un attimo respiro e giudizio.
Guardatela, prendetevi qualche minuto e fatelo questo viaggio nel tempo.
Siamo in uno stadio di città, in alto a sinistra, oltre la curva, si vedono palazzine infilate una accanto all’altra, finestre e balconi da cui ci si poteva godere comodamente almeno una parte dello spettacolo
Siamo negli anni quaranta, guardate il taglio dei capelli, scolpito, sa di barberia, di acqua di colonia spruzzata con la pompetta e calendarietti profumati regalati per Natale.
Dovevo decidere come aprire le danze, come dare il via alla storia di Sportmemory, la nostra, la storia che iniziamo in questo venerdì 2 aprile, anno secondo della pandemia, anno difficile in cui il passato sembra lontanissimo e il futuro tutto da ripensare.
Deve essere stato così anche negli anni quaranta ho pensato, e deve essere stato così in quella Sicilia che la guerra l’aveva conosciuta per davvero.
È stato così che ho deciso.
Foto Totò Surdi, via Villaermosa 3, Palermo.
Così c’è scritto dietro.
Sappiamo da dove viene la foto quindi, e sappiamo che quel giorno era domenica, perché al tempo solo di domenica si giocava a calcio.
Ho cercato Totò Surdi in rete, ma nulla.
Poi ho cercato l’indirizzo, ma nulla anche per questo; a via Villaermosa 3 non c’è più alcun fotografo.
Sono passati troppi anni, per lui, per Totò Surdi fotografo, e anche per Palermo, la città dove Federico II, lo Stupor Mundi, il più grande di tutti, fece bellissima la corte dove si parlava di astri e di alchimia, la città dove nacque la poesia siciliana, radice culturale della lingua e della Nazione, Palermo cambiata chissà quante volte nel frattempo.
Ma la fotografia è potente, ha tutto un mondo dentro, è immediata, evocativa.
È stato così che ho deciso che Sportmemory sarebbe partito da qui, da questa Palermo e dalla storia immaginata di una sua domenica degli anni quaranta, ritratto di un tempo dimenticato, di una partita dimenticata, traccia sopita di un mondo disperso e recuperato, qui e oggi.
E allora fermatevi, concedetevi del tempo, guardate questi volti, guardateli uno ad uno, immaginatevi le vite che hanno vissuto, le partite vinte e le sconfitte, gli amori conquistati e quelli perduti.
Con ogni probabilità ci troviamo proprio a La Favorita di Palermo; lo scorcio fa vedere la mancata saldatura tra curva e tribuna e sullo sfondo si intravede la pista di atletica, quindi siamo in una domenica antecedente al 1948, quando i lavori di ristrutturazione dello stadio ne eliminarono la pista e completarono la curva.
Età indefinita quella degli uomini perché in quegli anni si cresceva in fretta e si diventava adulti presto, ventenni che sembrano quarantenni di oggi, vallo a sapere.
Il bianco e nero restituisce emozioni, ma non certezze assolute, però la livrea del calciatore a destra è quella con i colori rosa e nero del Palermo.
È di profilo, difficile riconoscerlo, ma ha una decisa somiglianza con Gaetano Conti, centrocampista soprannominato la roccia, che ha giocato con il Palermo dal 1945 al 1950 e di cui è stato capitano negli ultimi due anni.
Il cerchio piano piano si restringe; l’anno della foto potrebbe essere proprio il 1948, quando il Palermo domina il campionato di serie B e vince la promozione, appena prima della ristrutturazione e con Conti capitano della squadra.
Guardate l’arbitro.
Ecco, ancora capita che qualche avveduto cronista chiami l’arbitro giacchetta nera, anche se a vederli oggi in campo, sgargianti e fluorescenti, il motivo si perde nella memoria.
Ebbene gli arbitri la giacchetta nera ce l’avevano veramente; correvano in giacchetta, fischiavano in giacchetta e avevano la camicia bianca abbottonata sino al penultimo bottone, abbastanza per aprirne il collo sopra la giacca e presentarsi in campo con l’autorità dell’eleganza e con la pochette a fare capolino dal taschino.
E poi c’è il giocatore di chissà quale squadra ospite, che non ha ricevuto un gagliardetto, ma in mano stringe un mazzo di fiori che sembrano presi al momento da un cespuglio.
Infine il fotografo.
L’altro fotografo, quello di fronte alla camera e non quello che scatta, non Totò Surdi, ma forse un suo amico, tra le dita la sigaretta delle attese che si consuma anche da sola e le mani a cullare la sua macchinetta, a proteggerla come fosse un figlio e tutta la sua vita, una macchinetta fotografica da turista, un obiettivo da 35mm buono per le foto di famiglia, ma da cui lui, probabilmente, tirava fuori il necessario per farla mangiare la famiglia.
Ladri di biciclette, il capolavoro di Vittorio De Sica è proprio del 1948; non crediate che ci sia differenza tra la bicicletta di Bruno, il protagonista del film, e la macchinetta del nostro fotografo.
E poi c’è la grande protagonista della foto: la monetina.
La monetina che fa la differenza, proprio come la sorte fa la differenza nella vita.
Il rito è stato compiuto, la monetina ha volteggiato in aria, ha confuso testa e croce e ora sono tutti lì, a guardare in terra, a scrutare una sorte innocua, una di quelle che non fa male, ma che può decidere una partita.
Sono gli anni in cui gli italiani a giocare alla sorte si stanno abituando.
La Sisal viene fondata nel 1946 dal giornalista Massimo Della Pergola e dai suoi colleghi Fabio Jegher e Geo Molo, gli italiani hanno appena iniziato a prendere confidenza con una sorte che proprio nel 1948, nazionalizzata sotto il Coni, prende il nome di Totocalcio e che, con il mito del tredici, ne accompagnerà i sogni per decenni.
Ecco, tutto questo è il mondo dentro la fotografia.
Connessioni che si aprono in un eterno gioco del domino e che potrebbe continuare a lungo.
Un gioco del domino fatto di immagini, di storie, di donne e di uomini, di vita vissuta e di quella a volte ancora più reale che è la vita sognata.
Immagini, storie e sogni di cui Sportmemory vuole essere la casa aperta a chiunque vorrà raccontarne.
Da adesso e per lungo tempo.