È proprio vero che anche nello sport ci sono scazzottate e scazzottate. Una cosa sono quelle che ogni tanto vediamo sui campi o nelle palestre, provocate dall’arroganza e dalla maleducazione di qualche ragazzotto viziato.
Un’altra è quella capitata il 6 dicembre del 1956 alle Olimpiadi di Melbourne.
Quel giorno, nella penultima giornata del girone finale del torneo di pallanuoto, Ervin Zador è in acqua con l’Ungheria per affrontare l’Unione Sovietica.
Sulla carta un “classico” tra due delle maggiori scuole di questo sport.
In pratica molto di più.
Il fatto è che quella partita arrivava poche settimane dopo i fatti di Budapest, vale a dire la rivolta ungherese schiacciata con la forza e nel sangue dai carri armati sovietici.
Il fatto è che quella partita sarà una battaglia.
Gli ungheresi sono considerati un po’ i brasiliani della pallanuoto.
Avevano già conquistato l’oro olimpico a Los Angeles nel 1932, a Berlino nel 1936 e a Helsinki nel 1952.
Per i Giochi di Melbourne avevano preparato un sistema difensivo di marcatura a zona rivoluzionario per l’epoca.
Quel giorno diedero una lezione memorabile ai russi, battendoli 4 a 0.
Dominarono sul piano tecnico e per tutta la partita insultarono e provocarono i sovietici che a loro volta rispondevano accusando i magiari di essere dei fascisti e dei traditori.
Sugli spalti c’erano 5000 spettatori, per lo più immigrati ungheresi in Australia, che facevano un tifo indiavolato.
In un clima del genere la partita diventò presto una sorta di battaglia.
La pallanuoto è uno sport duro, molto fisico, dove si danno e si ricevono colpi, ma in quell’occasione si andò oltre, tanto che i giornalisti presenti raccontarono di acqua che si tingeva di rosso per il sangue provocato dagli scontri tra i giocatori. E non era una metafora.
A pochi istanti dalla fine, a partita largamente decisa a favore dei magiari, partì una vera e propria caccia all’uomo da parte dei sovietici e tale Valentin Prokopov colpì con un pugno l’ungherese Ervin Zador, spaccandogli l’arcata sopraccigliare.
La foto che ritrae Ervin Zador, che esce dalla vasca con un rivolo di sangue che gli riga il volto fece il giro del mondo e diventò un simbolo della guerra fredda.
Appena terminata la partita dovette intervenire la polizia per scortare la nazionale sovietica fuori dalla piscina e proteggerla dalla rabbia degli spettatori ungheresi che volevano farsi giustizia per le violenze in vasca e anche per quelle nelle strade di Budapest di qualche settimana prima.
Per la cronaca, la nazionale ungherese poi battè anche la Jugoslavia 2 a 1 e conquistò la medaglia d’oro.
La via dell’esilio
Al termine delle Olimpiadi molti atleti ungheresi non fecero ritorno in patria e tra loro anche Ervin Zador dichiarò: “Non tornerò a casa” e scelse la via dell’esilio.
Aveva solo 22 anni e portandosi dietro come bagaglio solo i vestiti che aveva indosso e senza parlare una parola di inglese si trasferì negli Stati Uniti dove mise su famiglia in California e diventò insegnante di nuoto.
Ervin Zador è morto il 29 aprile 2012.
Tra i suoi allievi ci fu anche il grande Mark Spitz.
È proprio il caso di dire che buon sangue non mente.