Era il primo calcio televisivo post 90° Minuto. Un’idea che divenne simbolo degli anni duemila e che avrebbe cambiato, per sempre, a livello emozionale, la vita calcistica di ogni tifoso. La semplicità di un’idea, mescolata alla novità del calcio visto dai tifosi, dai personaggi diventati poi cult televisivi, fecero di “Quelli del Calcio”, un’irripetibile pagina da consegnare agli annali della storia televisiva. Giornalisti pregevoli, radio e telecronisti, condividevano lo studio, con figure a cui tutti siamo ancor oggi legati. Idris, Suor Paola, il moviolista Sassi e Massimo Alfredo Giuseppe Maria Buscemi, impreziosita dalla sapiente e illuminata presenza del giornalista Marino Bartoletti. Fine e sapiente conoscitore, di musica, calcio e sport, Marino Bartoletti è l’elegante e virtuoso simbolo di una televisione di cui oggi avremmo sicuramente bisogno per superare un’invadente trash-tv quotidiana.
Oltre la penna giornalistica e sportiva
Oltre l’inchiostro della penna, della competenza, un giornalista lo possiamo riconoscere della sua conoscenza. Un campo largo, rimanendo nei temi della politica attuale, che ne distingue la vera essenza, poliedricità e capacità di esprimersi in maniera totale, in ogni ambito. È questo che contraddistingue chi in ambito giornalistico sa scrivere e riportare, e chi sa raccontare ampliando i propri orizzonti, le proprie passioni oltre il regolare e normale bagaglio di esperienze, addentrandosi in maniera competente e dettagliata nella storia, negli aneddoti, rendendo magico il proprio racconto, facendo rivivere attraverso la parola immagini, suoni di personaggi e protagonisti del mondo del cinema, dell’arte o della musica, mescolandoli meravigliosamente alle proprie idee e circostanze, senza mai dare il passo all’essere autoreferenziali o autocelebrativi. Lo faceva il leggendario Gianni Brera, quando parlavo di calcio o ciclismo, ma anche di cibo e gastronomia, oppure l’incredibile Beppe Viola, fine umorista , scrittore e autore di brani insieme a Jannacci, anche esso pregevole giornalista sportiva, ma mai rilegato allo sport, ecco , di anno in anno, si arriva giocosamente al baffo competente elegante e stiloso di Marino Bartoletti, figura simbolo di una televisione garbata, competente, virtuosa, capace di appassionare, coinvolgere, grazie alla sua sconfinata competenza musicale e cinematografica. Oltre le sue indimenticabili storie e direzioni di testate come la Domenica Sportiva, fondatore di Calcio 2000, campionati mondiali e giri d’Italia, provate a “bussare” la sua sapiente conoscenza sul Festival di Sanremo, sia dal lato storico, che da opinionista e da giurato, ne avrete un ritratto illuminato e umano, capace di ammaliare semplicemente attraverso una narrazione, oggi si direbbe storytellers, legata ad un ricordo che risiede in ognuno di noi e che sboccia meravigliosamente fuori, senza filtro o pregiudizio. È quella empatica simpatia che proviamo verso chi ci è da sempre familiare, da chi vogliamo sempre attingere conoscenza, ma anche garbo, amichevolezza, leggiadria, tratti e valori che oggi sembrano esser sempre più dispersi.
Quelli del calcio, un’idea innovatrice
“Quelli che…oh yeah”. Bastava quell’aria del derby di Milano, intrisa di versi di Jannacci a far fantasticare il tifoso pallonaro italiano. Era un rito, una messa laica fatta di gioie e dolori, negli anni ultimi in cui si sognava ancora un calcio all’antica. Ultimi squarci e riverberi di un pallone andato, che faceva sognare con i suoi ironici e comici collegamenti dagli stadi. Una sana follia, ma allegra, leggera, che Bartoletti colse e il regista Paolo Beldì tramutò in una piccola opera d’arte televisiva. “Quelli che…” era un dipinto, una tavolozza, ma profondamente rivoluzionaria, che legava la semplicità del calcio al domenicale pranzo del tifoso. La Bareldì, nel calcio irrefrenabile moderno si chiamerebbe così, trasformò il calcio radiofonico in una sorta di allegro carosello catodico. “Quelli che…” era la sinfonia leggera di un’Italia domenicale, allegorica, scanzonata, ma di alto profilo giornalistico. Si portava con sé una vena “arboriana”, veniva rappresentata dal talentuoso capitano Fabio Fazio, una sorta di “Indietro Tutta” sportiva, dove la televisione, l’improvvisazione, il divertimento e la spregiudicatezza, invadevano positivamente le case degli italiani, spingendoli verso il sorriso e facendoli dimenticare, le pesanti beghe settimanali. Un canovaccio no border, dove i protagonisti – comici, inviati, ma anche giornalisti – diventano familiari, accoglienti, amici, attori e divi, di un “piccolo schermo antico”. Era tutto tranquillamente frenetico, senza patinature, ma fresco, sottile, ironico. La nostra casa diventava la gradinata accorata e televisiva e viceversa. Le emozioni del campo, restituite in chiave catodica, si mescolavano a una entusiasmante e vintage emozione da “Febbre a 90”, di hornybiana memoria. Tutto era romanzato, dall’estro e dalla fantasia firmata Bartoletti.
Emilia Capitale
Negli anni 50′ e 60, la provincia aveva qualcosa di profondamente romantico. Sebbene poi fu etichettata, per chi ne proveniva, come un qualcosa di “lontano” dal progresso, manteneva in sè degli insegnamenti atavici, unici e antichi, di cui oggi ne decantiamo le virtù e su cui è stata fondata la nostra nazione. Dalla provincia venivano i suoni, le feste “di paese”, i riti, le tradizioni. Si tramandavano storie, racconti ed aneddoti. La struttura musicale, del pop moderno, ha origine nella musica popolare, nel folklore, nelle bande musicale di piccoli paesi o centri abitati. In Emilia Romagna, era forte la tradizione delle “balere” che diedero vita al primo linguaggio di musica da ballo, intesa come raduno popolare, proprio come accadeva in America con il primo jazz. Quelle “feste” si trasformavano poi in politica, nella celebre “Via Emilia”, tra Modena, Bologna, dove i primi cantautori si incontravano nelle osterie, nelle Case del Popolo o alla Festa Dell’Unita. Una filiera di cantautori, Dalla nelle prime band-dixieland a Bologna, Guccini con una vena più politica a Pàvana, e susseguirsi poi con Bertoli, Vasco Rossi, Ligabue, nel solco che legava l’Emilia Romagna on the road, all’Italia, regalando una scena di cantautori, pari a quella di Genova. Emilia adagiata, distesa, tra alta e bassa padana, raccontata, tra nebbia e zanzare, bar e bestemmie, ma anche quella dell’Adriatico, di Romagna Mia, della tradizione mondiale dei Casadei. Settant’anni di un rivoluzionario valzer, scritto nel 1954 e diventato un’innovazione musicale che ha varcato i confini internazionali. In quel ritmo ci si riconosce ogni romagnolo, è qualcosa di unico, intriso di storie antiche, rurali, nostalgiche. In quel passato, quasi cinematografico, come un Amarcord di Fellini, c’è anche la validità e il fascinoso mondo musicale narrato da Bartoletti. Ragazzo sognante di Forlì, con padre musicista della banda della propria città, che racconta oggi con eleganza, garbo, un mondo fatto di storie, esperienze, incontri, vissuti tra dialoghi e conoscenza. Una vita fatta di note, frasi, scrittura, portato avanti con passione, dedizione, in un ampio viaggio senza tempo, partito dal Gelosino, il giradischi, sino al Festival di Sanremo. In tempi di dispersione e disagio culturale avremmo tutti bisogno di ritornare alle origini, all’empatia e alla signorilità, umana e giornalistica, quella firmata Marino Bartoletti.