George e Carlo sono due giovani calciatori della squadra più e meno amata dell’antica terra di Albione. Uno corre all’impazzata verso la leggenda, l’altro si chiama Carlo “Charlie” Sartori e sarà solo un buon giocatore di belle speranze. Con un record, però, che nessuno potrà mai strappargli: il primo calciatore non britannico a scendere in campo con la maglia del Manchester United.
The Italian Ghetto
Davanti alla chiesa di san Michele, solo da tre anni, c’è una targa che commemora la comunità italiana dell’area di Manchester presente con i primi migranti già da fine diciannovesimo secolo. Siamo ad Ancoats tra le case di “Little Italy” fino a poco fa “The Italian Ghetto”. Qui comincia la storia del piccolo italiano di Blossom Street, grigia ed operaia periferia mancuniana. Carlo ha appena dieci mesi quando arriva in Inghilterra, il papà fatica ad ingranare, ma ce la fa da bravo trentino della Val Rendena, terra di arrotini. Affila coltelli e forbici per gli alberghi della zona, mentre il diavoletto scorrazza per strada dove impara la lingua ed i trucchi con la palla. Ha la faccia pulita e le ginocchia sbucciate, giocare meglio degli altri aiuta quando la gang dei prepotenti non sa vincere senza usare le mani. Lui corre veloce, si addormenta pensando alla pena dei genitori per la sua gemellina volata via troppo presto, sogna la palla all’incrocio dei pali ed il papà che lo abbraccia.
Il piccolo Jinky
Carlo è minuto e rossiccio, ricorda Jinky, Jimmy Johnstone all’anagrafe, il folletto imprendibile del Celtic Glasgow. Il suo talento è fame, alla fama non pensa, ma è il passaparola che lo porta all’attenzione del Chief Scout dello United, Joe Armstrong in persona. Colui, per intenderci, che ha portato Duncan Edwards e Bobby Charlton al club. Una tazza di tè con mamma Sartori, una stretta di mano con papà: affare fatto. Carlo deve solo essere puntuale per non mancare il bus che porta al campo di allenamento, al resto pensa una società organizzata ed attenta come nessun’altra. Il Manchester United: 123 anni di storia, 60 trofei nazionali ed otto internazionali.
Il grande Manu
Nella giovanile spesso incrocia George Best, due anni e due marce in più. Sono due ali. Carlo può fare la seconda punta, George può fare quello che vuole. Al compimento dei diciotto anni l’attesa firma sul primo contratto da professionista. L’esordio in prima divisione è il 9 ottobre 1968 a White Hart Lane contro gli Spurs, 2-2, davanti a più di 56mila spettatori. Subentra a Burns ad inizio ripresa, è il fortissimo ManU di Stepney tra i pali, Nobby Stiles a far legna, Bobby Charlton direttore d’orchestra, Denis Law e George Best a far impazzire. Carlo trova comunque spazio tredici volte in campionato e due in Coppa Campioni con la chicca del goal decisivo per il passaggio del turno con l’Anderlecht. Non c’è Carlo nella doppia semifinale con il AC Milan, Matt Busby si affida ai titolarissimi, ma non basta. I rossoneri sfoderano la partita perfetta a San Siro (2-0, Sormani ed Hamrin) ed alzano il muro davanti al ragno nero Cudicini nella bolgia dell’Old Trafford (1-0), Sir Bobby goal, assist Simply the Best.
La stagione successiva è più corposa
Complessivamente 27 presenze, tre reti. Ritrova l’Italia in un’altra terra di migranti dove il soccer cerca di farsi spazio. Il torneo di New York è una strana vetrina, Best & Co. non sono motivatissimi, ma per il nostro Bari è un’occasione unica per confrontarsi con i campioni d’Europa davanti a più di 5000 connazionali. Il quinto Beatles segna ma sorprendentemente Dino Spadetto, prelevato di recente dall’Inter, pareggia prima dell’intervallo. Proprio Carlo riporta in avanti i Red Devils con una deviazione da sottomisura in una posizione più che dubbia. Le proteste, che si sommano ad altre precedenti per decisioni a senso unico, scatenano l’ira barese, soprattutto dalle tribune di Randell’s Island. Invasione di campo, saranno un centinaio i “tifosi” che inseguono l’arbitro greco e i due guardalinee, uno dei quali italo-americano originario di Giovinazzo e perciò in grado di comprendere anche il più pugliese degli insulti. Il NYPD interviene, capitan Loseto placa gli animi, la partita riprende in qualche modo. Il Bari ritrova la concentrazione per sfiorare il pari ma Rimmer dice no, finisce 2-1 con Sartori che abbraccia tutti, quasi scusandosi.
Back home
Carlo prova ad arretrare il raggio d’azione, a lui partire da dietro non dispiace, meglio star lontano dai marcantoni delle difese inglesi. Gioca ma non spesso, alla fine saranno 56 partite e sei reti tutte con il ManU. Con l’Italia non spezza mai il filo, rientra nel 1973 per il servizio militare. E qui, chissà se uovo o gallina, nasce la possibilità di giocare nella nostra Serie A. Il Bologna lo corteggia prima sottotraccia poi avviando una trattativa con il club inglese, ci si accorda nel marzo ’74 per 50.000 sterline. Da Caderzone Terme, prov. di Trento, a Manchester e ora finalmente la Serie A. La favola continua all’Olimpico per l’esordio in rosso blu, subentra a 15′ dalla fine con i felsinei sotto di una rete (sarà 2-1 Roma. Ghetti, Prati e Diba). Non incide Carlo, non ci riuscirà quasi mai. Non è più duttile, è ibrido. Non trova sintonia con il calcio italiano, non trova la giusta collocazione – chi lo vede ala, chi a centrocampo, chi non lo vede proprio. Le prossime fermate – Ferrara, Benevento, Lecce, Rimini ed infine Trento serie C1 – sono un’altalena di rendimento e soddisfazioni. Il ricordo migliore, senza forse, è con la nazionale militare: campioni del mondo in Congo. Uno squadrone, lui a centrocampo con Furino, Bordon in porta, Graziani davanti. Chiude, trentaseienne, con quasi 300 presenze tra le tre massime categorie del calcio italiano.
Radici
Carlo Sartori oggi ha quasi 77 anni. È tornato a Manchester per l’azienda di famiglia e per i figli, la nipotina e gli amici di sempre. È sempre Charlie del ManU per i vicini di casa. Tra loro c’era anche Nobby Stiles, il più tignoso dei boys of ’66, scomparso nel 2020. Non c’è più Nobby la roccia, non c’è più Bobby il professore, non c’è più George che chissà dov’è a far danni, c’è ancora quella vecchia pellaccia di Denis, ma la salute è quella che è. La malinconia viene giù come la pioggia che qui comanda discreta. Lui non si perde una partita dei rossi e ripensa a quanto di più poteva fare. È andata così, ma tutto sommato non è andata male.