Aerautodromo, parola dispersa che ha il sapore della velocità di macchine, uomini e aerei.
Via Emilia Est, al tempo appena fuori Modena che dei motori e della velocità è una Patria.
Anni cinquanta, irripetibili anche quelli.
Ebbene quel 7 maggio del 1950 per Modena è un giorno speciale.
Si corre la prima edizione del Gran Premio di Formula 2, uno di quelli che poi spariranno dal panorama motoristico e, con tanto di ministro, vescovo e generali, si inaugura il nuovo impianto.
Tra i piloti in gara c’è anche lui, Manuel Fangio. Pilota, certo, tutti sono piloti. Manuel Fangio, però, dei motori è anche un divo.
L’aerautodromo
Progettato dal geometra Enzo Dailati, fortemente voluto dall’Automobil Club cittadino, supportato dall’amministrazione locale e costruito nel 1949, l’aerautodromo ha voglia di modernità e risponde alle anime del territorio. La pista di volo con i suoi 1.500 metri consentirà il trasporto aereo dei prodotti agricoli, la pista automobilistica da 2.306 metri sarà disponibile per i collaudi delle industrie motoristiche della zona e ospiterà gare che faranno da volano turistico della città.
Il futuro però chiede sempre pegno e sul quel circuito ci lasceranno Eugenio Castellotti nel 1957 e, nel 1961, Giulio Cabianca. Proprio quest’ultimo incidente ne segnerà il declino e poi l’abbandono per le corse automobilistiche, mentre quelle motociclistiche andranno avanti fino al 1976. Passato un periodo di disuso e abbandono, oggi sull’area dell’aerautodromo c’è un parco cittadino e dell’originaria vocazione non è rimasto nulla se non l’intitolazione a Enzo Ferrari.
Il 7 maggio 1950
Ma torniamo a quel giorno, una domenica di primavera che si apre sotto un sole promettente. Se quella mattina si fosse passati intorno alla zona del circuito, si sarebbe visto un gran da fare, ma soprattutto si sarebbe sentito nell’aria l’entusiasmo di tutti.
Dunque, c’è chi lavora, chi si prepara ad un’altra giornata di primavera, chi sta per uscire di casa per andare ad assistere alla gara e poi c’è lui, Manuel Fangio.
Manuel Fangio
Argentino, classe 1911, Fangio quella mattina non riesce a pensare ad altro che alla sua auto.
Non dovrebbe sorprendere, è così che si diventa uno dei più grandi campioni automobilistici al mondo, ma quel giorno di maggio in particolare, vuoi per la gara, vuoi per l’evento inaugurale, vuoi per la macchina, Fangio annusa l’aria e cerca di capire.
Si veste per la gara, indossa una tuta con la scritta Pirelli in giallo che domina il petto, si vede riflesso in uno specchio e nota di avere gli occhi un po’ stanchi. “Forse avrei dovuto dormire di più”, ma è un pensiero fugace, ora non c’è tempo per questo.
El chueco, lo storto per via di quelle gambe arcuate che lo tengono in piedi, appena arriva al box dal suo equipo argentino viene accolto da tutti con grande entusiasmo, chi lo abbraccia, chi gli dà pacche sulle spalle, chi gli stringe la mano, ma anche per questo non c’è tempo.
La monoposto
Fangio va dritto verso la sua Ferrari 166 F2. Entrata in produzione nel 1948, pensata per le competizioni di Formula 2, a quella macchina Fangio deve e dovrà molto. La guarda e poi la accarezza delicatamente con la mano.
Cade il silenzio. Tutti lo osservano e in quel momento non vedono un pilota, ma un devoto che sembra pregare il suo Dio. La mano scorre leggera sul cofano, poi indugia anche sugli pneumatici. Fangio sa bene quanta differenza possono fare le gomme in gara.
“Meravigliose” sussurra tra sé e sé, poi si gira e vede tutti gli occhi su di lui.
Sorride. “Abbiamo una gara da affrontare adesso“
Ricomincia il caos, ma Fangio si sente nel suo posto sicuro.
La grande attesa
Gli spalti iniziano a riempirsi: c’è un vociare allegro, ognuno dice la sua sicuro di sapere come andrà a finire la competizione, c’è chi allunga il collo per cercare di vedere un campione passare.
Vicino al parterre si avvicina una grande macchina americana targata Consulado de Argentina, qualcuno d’importante si vocifera. La macchina si ferma, l’autista scende e apre la portiera. Stretto nella sua veste marrone con bombetta tono su tono, ne esce un fraticello dal fare un po’ buffo. Chi si aspettava di vedere una celebrità sarà rimasto deluso, ma il fraticello non era proprio un frate qualunque; lui è Fray Pedro, padre spirituale di Eva Peron anche se quel giorno era lì solo per sedere in tribuna, godersi il sole e, soprattutto, tifare Fangio.
Il cielo cambia
Gli altoparlanti annunciano che di lì a poco la gara avrebbe avuto inizio.
L’emozione sale.
Manuel Fangio discute ancora una volta con la sua squadra della strategia di corsa, l’ansia della mattina sembra averlo abbandonato, fino a quando non sente un fragore animare il cielo.
Dopo l’avvio soleggiato della mattina, le nuvole pesanti che si erano affacciate all’orizzonte non avevano girato largo come tutti avevano sperato e adesso scaricano pioggia a catinelle. Prima uno scroscio intenso, dura poco, ma non smette del tutto di piovere.
Quando l’altoparlante fa il secondo annuncio, Fangio guarda la pista completamente bagnata, sale sulla monoposto e si avvicina alla partenza. “Andrà tutto bene, le gomme sono perfette” si ripete.
Pronti al via
Fray Pedro, accomodato in tribuna, vede sfilare il suo campione. “È in ottima forma “dice a chi gli sta vicino, “la gara andrà benone”.
I piloti si sistemano sulla griglia di partenza, i motori fibrillano, i pensieri si annullano, i cuori pompano come pistoni e poi, finalmente, il via sprigiona energia pura.
Il Gran Premio di Modena ha inizio, Fangio e tutti gli altri in pista diventano la macchina che guidano.
Fray Pedro in preda all’entusiasmo in tribuna resiste poco, un paio di giri, poi scende e va al box dell’Automovil Club Argentina, la scuderia che ha messo in pista Fangio.
Bordo pista
Alla partenza Fangio è terzo, qualche giro e supera Ascari, anche lui si Ferrari 166 F2, ma un modello più recente. Ora l’argentino è secondo, la corsa può essere sua, ma a Fray Pedro non sfugge un particolare. Da appassionato ed esperto di motori, quando la Ferrari di Fangio gli passa davanti sente un rumore che stona, un rumore che non è musica né ruggito di motore.
“Questo rumore non va bene” dice ai meccanici. Lo sanno anche loro.
Fine dei giri
Quindicesimo giro. Manuel Fangio rientra ai box. La macchina non va, i meccanici aprono il cofano, ascoltano, manovrano, richiudono, ma sono scettici. Fangio riparte, ma dura poco, neanche mezzo giro di pista e si ferma, lascia la macchina sul prato e s’incammina verso i box. Risponde al saluto e agli applausi che gli arrivano dalle tribune, sorride, ma è solo apparenza. Il ritiro brucia e non solo a lui.
Alla vista dell’argentino abbandonare la macchina e camminare nel prato inzuppato di pioggia, qualcuno in tribuna piange.
Finisce così
Fangio è però uomo straordinario, maschera come può rabbia e delusione e quando arriva ai box, invece di ritirarsi di buon grado, rimane e si adopera per aiutare i meccanici dell’equipo argentino che assistevano anche altre macchine in gara. È così, ad esempio, che si mette a svitare le candele alla Simca-Gordini T15 di Nello Pagani.
La prima edizione del Gran Premio di Modena la vince Ascari; 80 giri in 2 ore 47 minuti e 31 secondi.
La Ferrari di Fangio viene riportata ai box e l’argentino è lì accanto, quasi come se avesse trovato una lingua misteriosa per intendersi con lei.
Fray Pedro sa che è un momento difficile per il campione, gli si avvicina, vorrebbe dargli qualche parola di conforto. Mentre pensa a quelle giuste da dire, gli mette una mano sulla spalla ma Fangio sembra quasi non accorgersene. È così che Fray Pedro lo sente mormorare “…che gomme magnifiche, c’eran da fare migliaia di chilometri”.
Fangio è un campione e un campione, che vinca o che perda, pensa sempre, e da subito, alla prossima gara.