Tutto inizia nel freddo panorama nei monti Urali nel 1903. Maurice Tillet è il gracile figlio di due espatriati francesi, famoso nel quartiere per i suoi occhi azzurri e i sottili capelli chiari. È tutto ciò che sua madre desidera, al punto da soprannominarlo “Angelo”. La vita della famiglia Tillet è lieve: il padre è un ingegnere ferroviario impegnato nella costruzione della ferrovia Transiberiana mentre la madre è un’insegnate di filologia in una delle più grandi scuole di Mosca. È qui che Maurice passa gran parte della sua infanzia, fra giochi e lezioni, arrivando a parlare ben cinque lingue.
Bonjour mon Ange
La Rivoluzione Russa causa una prima grande frattura nella favola di Maurice: perde il padre e si trova costretto a fuggire in Francia, a Reims, con la madre che spera di trovare lì un futuro più roseo per il suo Angelo.
Nonostante tutto, la vita vince di nuovo e i due cercano di costruire sulle macerie che li circondano. Maurice cresce sano e forte, desidera fare l’avvocato da grande e già la sua stanza è tappezzata di libri di giurisprudenza che sua madre compra di seconda mano alla libreria del paese. La sua parlata francese dai toni così severi, ereditati dal russo, non lo limita nelle amicizie: è un ragazzo sereno, tranquillo e che riesce a trovare del buono in chiunque gli si presenti. È ben voluto: vuole bene e apprezza che tutti riconoscano in lui l’Angelo che si sente di essere.
Poco dopo l’aver compiuto diciassette anni, però, nuovamente il mondo di Maurice Tillet viene completamente capovolto. Giorno dopo giorno, ora dopo ora, strani rigonfiamenti compaiono sul suo corpo. Quello che si ricorda è solo sordo dolore bianco che lo costringe a letto per un tempo che a lui pare infinito. La madre non può fare altro che guardare inerme mentre quel suo angelo lotta per non spegnersi mentre qualcosa lo corrode da dentro.
Perdersi
Il corpo di Maurice diviene un campo di battaglia: il suo torace si allunga, le estremità crescono a dismisura e quel volto che tanto era piaciuto in passato diviene irriconoscibile. Finalmente si ha una diagnosi: il giovane mostra chiaramente i sintomi di un caso acuto di acromegalia, un tumore benigno della ghiandola pituitaria che comporta l’eccessiva crescita e ispessimento delle ossa.
Maurice non si riconosce più allo specchio, ancora di meno quando scopre che la malattia ha intaccato anche le sue corde vocali, rendendo difficile il potersi esprimere con la stessa fluidità di prima. All’alba dei suoi diciotto anni, la madre bussa educatamente alla porta, entra e con un discorso rotto dalle lacrime cerca di fa capire a quel figlio che ormai riconosce solo con il cuore come probabilmente l’avvocato non lo potrà fare mai.
Maurice non è sciocco, già lo aveva immaginato, ma sentire sua madre confermare i suoi stessi dubbi è forse il dolore più grande di sempre.
Eppure, l’Angelo (perché tutti continuano a chiamarlo così) non si perde d’animo.
Il percorso rimane lungo e tante sono state le notti interminabili passate a cercare una soluzione per un problema che non ha origine ma, improvvisamente, decide di seguire le orme paterne e di diventare ingegnere.
L’Angelo Francese
Maurice ottiene un lavoro in marina e per cinque anni, svettando sopra il resto dei suoi colleghi, gira il mondo. Nonostante l’aspetto che spesso trae in inganno, i suoi modi educati e la capacità di dialogare con tutti (complici anche le lunghe ore passate ad ascoltare le lezioni della madre) sono rimasti gli stessi. L’Angelo forse non ha l’aspetto di prima, ma resta una creatura di luce.
È durante uno dei suoi viaggi che Maurice incontra l’uomo che gli cambierà la vita. Mentre è in visita a Singapore, incontra l’ex wrestler diventato promoter Karl Pojello che, colpito da quel gigante buono, gli chiede di considerare una carriera nel wrestling.
Maurice non sa cosa dire, ma l’insistenza di quell’ometto lo convince a dargli una possibilità. Dopo infiniti allenamenti in compagnia di Pojello stesso, Maurice realizza presto di possedere un vero e proprio talento per questo tipo di lotta. La sua stazza gli conferisce una forza fuori dal comune e le gambe muscolose gli permettono di compiere balzi che lasciano spesso gli avversari senza parole. Si sceglie un nome d’arte che racconta tutto di sé, l’Angelo Francese, e inizia una carriera che lo porta in lungo e in largo in Europa, spostandosi poi in America a causa della guerra.
Ovunque vada la sua fama lo precede
Fan del wrestling si mescolano con semplici curiosi, spinti dalla promessa di vedere colui che viene definito “un orco dai modi gentili”.
Maurice Tillet stupisce entrambe le categorie, soprattutto quando poi viene visto lasciare il ring fumando diversi sigari in compagnia delle donne più belle del posto. L’Angelo sfrutta la fama che il suo essere freak comporta; compare in numerosi film di Hollywood interpretando quasi sempre il personaggio dell’uomo preistorico armato di clava, suscitando sempre più interesse nei suoi confronti. Numerosi sono gli imitatori e poco alla volta iniziano a fioccare angeli da ogni lato del globo: l’Angelo russo, l’Angelo Canadese, l’Angelo Irlandese e anche una Lady Angel.
Tutti cercano di copiare l’originale, ma è difficile farlo quando nel 1940, a Boston, Maurice vince il titolo mondiale per la categoria pesi massimi, imbattuto per i diciannove mesi consecutivi.
Essere Angeli non è un lavoro da poco
Nel 1945 però la sua salute inizia a peggiorare, costringendolo ad affrontare un numero sempre minore d’incontri. Nel febbraio del 1953, circondato dalla fitta cerchia di amici che mai lo abbandona a bordo ring, l’Angelo Francese disputa il suo ultimo incontro a Singapore. Proprio lì dove tutto ha avuto inizio, dice addio a quel mondo che lo ha accolto e idolatrato come pochi altri, creando un eroe dove tanti avrebbero visto solo un orco.
Oltre l’ultimo istante
Nel 1954 uno scompenso cardiovascolare si porta via Maurice che lascia questo mondo con la stessa straordinaria delicatezza con cui si era mosso tutta la vita. Sul suo letto di morte sono fatti realizzare alcuni calchi di gesso delle sue mani e del busto a grandezza naturale, uno dei quali è esposto al museo internazionale di scienza chirurgica di Chicago. La sua tomba viene eretta accanto a quella dell’amico di una vita, Karl Pojello, morto lo stesso giorno. In mezzo vi è il bassorilievo di due mani che si stringono mentre sotto reca la scritta “amici che neanche la morte ha potuto separare”.
Forse Shreck, forse no
La fama di Maurice Tillet arriva fino ai giorni nostri per via del film d’animazione Shrek e della strabiliante somiglianza fra l’orco dal cuore tenero e l’Angelo Francese. Non vi sono conferme se effettivamente la figura del pugile sia stata d’ispirazione per il personaggio.
La cosa certa è che nello scoprire la sua storia, risulta riduttivo restringere la vita di Maurice Tillet a quella di un freak che in qualche modo ce l’ha fatta.
La storia di Maurice è una storia di amore e di riscatto in un mondo che facilmente avrebbe potuto schiacciarlo e far di lui l’ennesima marionetta cui tirare i fili.
Maurice ha sempre agito secondo il proprio volere, arrivando a dire che sì, gli orchi non solo si meritano un lieto fine, ma che sono anche in grado di prenderselo da soli.