Ci vuole coraggio. Già il nome incute qualche timore di suo; skeleton suona bene, ma se lo traducete in scheletro, qualche timore può anche venire. Il coraggio vero, però, non sta nel pronunciare il nome o nell’immaginare danze macabre, ma nello stendersi a pancia sotto su una specie di slitta ossuta, lanciarsi sulla pista di ghiaccio e prendere velocità vertiginosa mentre curve e discese vi guardano in faccia.
Lo skeleton è più leggero di un bob e di uno slittino, ma pur sempre una slitta e va velocissimo.
Quando Nino Bibbia sente parlare per la prima volta dello skeleton rimane un po’ sulle sue e forse la differenza non gli appare chiara da subito. Lui è un esperto di salto, discesa libera e hockey, quello gli basta.
O forse no.
Il figlio del fruttivendolo
Nino Bibbia nasce il 5 marzo 1922 in un piccolo paese in provincia di Sondrio, Bianzone. A soli quattro anni però si trasferisce con l’intera famiglia in Svizzera dove, ancora piccolo, inizia a lavorare con il padre fruttivendolo.
Nino lavora duramente, ma non trascura le sue passioni; il tempo per infilare gli sci e dedicarsi al salto, alla discesa libera, slalom, pattinare sulla pista di hockey sul ghiaccio o scendere dentro bob, lo trova sempre. Gli piace il riflesso della luce sulla neve, quella pace rarefatta che solo le piste la mattina presto riescono a regalargli.
La scoperta dello skeleton
La sua carriera sulle piste inizia quasi per caso: si racconta che all’inizio fosse solo un gioco da bambini. Entrare dentro una cassetta della frutta, lanciarsi per le discese e lasciarsi sferzare il viso dal vento era incredibilmente divertente.
Il ragazzino cresce, il divertimento diventa passione ed è così che sci, pattini e bob prendono il posto delle cassette svuotate. Lo slittino, poi, lo prende parecchio al punto che sembra che sia stato un provvido scambio con un cliente a metterlo sulla strada che segnerà il suo successo. Pare, infatti, che nei giorni di Natale del 1947 un cliente gli abbia proposto un affari alla pari: una cassa di Chianti per il suo skeleton.
È la svolta della vita: lo skeleton è uno sport adrenalinico che, superate le paure iniziali sulla posizione da assumere, per Nino è ancora meglio dello slittino.
1948. Tornano le Olimpiadi
Passata la furia della Seconda Guerra Mondiale, i Giochi Olimpici riprendono. I primi in assoluto sono quelli invernali di St. Moritz, dal 30 gennaio all’8 febbraio. Poi ci saranno quelli di Londra, dal 29 luglio al 14 agosto.
A St. Moritz partecipano 669 atleti di 28 squadre nazionali che si sfideranno in 22 discipline.
Gli italiani sono 57 e tra loro c’è Nino Bibbia. Incredibile si potrebbe dire, certo, ma dell’incredibile vita di Nino Bibbia questo è solo il prologo.
Vico Rigassi è un giornalista sportivo, frequenta St. Moritz e quel ragazzo che si butta sulla Cresta Run, la futura pista olimpica, non gli passa inosservato. Lo segnala al CONI, la macchina si mette in moto. Nino Bibbia viene invitato a far parte del team italiano per il bob a due, quello a quattro e per lo skeleton, in Italia semi sconosciuto.
Ci vediamo sulla Cresta Run
L’atmosfera olimpica è suggestiva, a tratti anche austera, ma a 26 anni puoi anche prendere il mondo in mano e rigirarlo. Nino inizia a gareggiare il 30 e il 31 gennaio con il bob a due, poi gareggerà ancora il 6 e il 7 febbraio con il bob a quattro, ma è il il giorno che cambierà la sua vita non è tra questi
Dopo una pausa olimpica di 20 anni si torna allo skeleton, gareggiato per la prima volta nel 1928 proprio lì, a St. Moritz.
La gara si disputa in sei maches distribuite su due giornate
3 febbraio. Appuntamento alla Cresta Run. Tre prove in programma, tutte dalla partenza più bassa per 870 metri di discesa. Tra i favoriti, neanche a dirlo, Nino Bibbia non compare. Tutti pensano allo statunitense John Heaton – argento a St. Moritz 1928 -, al britannico Crammond e allo svizzero Fishbacher, padrone di casa.
A Nino non interessa, lui conosce bene la Cresta Run e sa come scendere.
A fine giornata molti si devono ricredere; il secondo posto, a 2 decimi da Crammond, seppur condiviso con Heaton, è proprio il suo.
Il giorno dopo si ricomincia: questa volta si parte in cima. Il percorso è di 1.231 metri con quindici curve mozzafiato da affrontare a pancia sotto e faccia avanti prima di tagliare il traguardo.
Se non è coraggio questo, ditemi cosa è.
Nino non è mai partito da questa altezza, non si è mai fidato di quelle nuvole basse che nascondono le pendici della montagna. Questa volta però è diverso. Bastano pochi secondi dopo lo sparo d’inizio per far capire a Nino che quello è il suo posto naturale. Le curve strette non lo fermano e la velocità che aumenta costantemente non gli mettono paura, lo fanno felice.
È così, con l’adrenalina che sprizza felicità da tutti i pori Nino Bibbia domina le tre manches e scrive la storia: il primo oro olimpico italiano ai giochi invernali è il suo.
Dopo le Olimpiadi
Lo skeleton esce dal panorama olimpico nel 1950 per rientrarci solo nel 2002 con le Olimpiadi di Salt Lake City, ma la Cresta Run per Nino Bibbia sarà un destino.
Nei suoi lunghi anni di carriera sportiva, su quella pista lui vincerà per altre 230 volte.
Saranno sue, tra l’altro, otto edizioni del Grand National e altrettante della Curzon Cup, le massime manifestazioni di uno skeleton a lungo estromesso dalle competizioni olimpiche.
L’ultima gara Nino la disputa nel 1972. Vince anche quella.
Ai Giochi di Torino del 2006 una curva della pista di bob, skeleton e slittino viene chiamata in suo onore.
Nino Bibbia abbandona il mondo e le sue piste nel 2013, lasciando dietro di sé il ricordo delle sue imprese e di una vita coraggiosa che non ha avuto paura di guardare in faccia le curve di ghiaccio.
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