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Quando Cané era meglio di Didì, Vavà e Pelè…

In un calcio mitico, lontano anni luce da quello di oggi, si consumò l’epopea di Cané, ala brasiliana che infiammò la tifoseria napoletana fino a meritarsi un coro geniale in cui una sua parte anatomica era considerata meglio dei più grandi giocatori verdeoro dell’epoca.
Cané

Quando ero bambino, con i miei genitori andavamo a fare la spesa in un bel supermercato dell’Arenella, quartiere collinare di Napoli. Spesso mi capitava di incrociare tra gli scaffali un signore non troppo alto, sempre vestito in maniera elegante, dal viso simpatico da scugnizzo. Quello che mi sorprendeva era il contrasto tra i suoi capelli grigi e la sua esotica pelle ambrata.
Un giorno mio padre, notoriamente non un grande conoscitore di calcio, mi disse: “Quello è un ex giocatore del Napoli.Se lo conosceva pure lui, significava che doveva essere uno davvero importante! Qualche anno dopo scoprii che quel signore era il brasiliano Jarbas Faustino, in arte Cané.

Un curioso soprannome

Il nomignolo Cané, che conserverà sempre, gli fu dato dalla madre. Diminutivo di caneca, che indica in brasiliano la tazza del latte, pare che da piccolo il futuro campione la tenesse sempre tra le mani.

L’acquisto da una fotografia

Nel 1963 il Brasile era ancora un paese mitico e lontanissimo, dove si raccontava che nascessero campioni di calcio come funghi. L’allora presidentissimo del Napoli, quell’Achille Lauro precursore del populismo, ‘o comandante che regalava ai napoletani una scarpa prima delle elezioni e una dopo, si invaghì di questa giovane ala, si racconta, guardandolo in fotografia. Roba da fantascienza, oggi. Pagato 30.000 dollari, Cané arrivò in Italia senza che l’allenatore e il direttore tecnico della squadra azzurra, il petisso Pesaola e Monzeglio, ne sapessero niente. I giornali scrissero che il ragazzo di Rio de Janeiro era abituato pure a giocare quattro partite in due giorni.

Gli inizi in campionato e l’amore

Il primo anno in maglia azzurra non fu esattamente spettacolare per Cané, anche perché a Napoli trovò una squadra che si reggeva essenzialmente su giovani ancora un po’ acerbi della Primavera, ma dal futuro assicurato: Juliano, Montefusco, Rivellino. Poco male per il brasiliano, che si calò subito nella nuova dimensione:“Come tanti ragazzini brasiliani, sognavo di giocare all’estero sin da quando davo i primi calci al pallone. Immaginavo questa magnifica Europa guardando le fotografie sui giornali sportivi. Quando il comandante Lauro mi prese nel Napoli, mi ci trovai subito bene: la città assomigliava a Rio nel carattere e negli usi. Si faceva molta vita sociale porta a porta prima che cambiasse il mondo, sia a Napoli che a Rio. Dopo due anni mi fidanzai con una ragazza napoletana che sarebbe diventata mia moglie.”

Cané

La carriera a Napoli

Ma già qualche anno dopo, le finanze del club migliorarono e Lauro si diede alla pazza gioia comprando in una sola sessione di mercato nientedimeno che Omar Sìvori e José Altafini, che con Cané formarono un trio fantastico che lottò a lungo per il vertice. Furono anni importanti, che Cané oggi ricorda volentieri nelle interviste:“Quando giocavo con Sivori e Altafini, il figlio del Presidente Lauro, Gioacchino, ci metteva in una Cadillac e giravamo fra i paesi del Vesuviano per fare pubblicità alla squadra porta a porta. Un altro mondo.”
Complessivamente, Cané militò nel Napoli dal 1962 al 1969 e di nuovo dal 1972 al 1975, vincendo anche la Coppa delle Alpi nel 1966. Nel 1969, per problemi economici del club, fu ceduto al Bari, con cui militò per tre stagioni tra Serie A e Serie B. Tuttavia, questo trasferimento fu vissuto come un tradimento, tanto dal giocatore quanto dalla tifoseria, con cui il legame era molto solido. Nel 1972 tornò a giocare nel Napoli di Vinicio, con il quale disputò altre tre stagioni segnando 7 gol in 51 partite. In totale in maglia azzurra saranno 217, condite da 56 reti. 

Cané

Allenatore

Dopo la carriera da calciatore, Cané intraprese tra alterne fortune quella di allenatore, prima sulla panchina delle giovanili del Napoli, poi su quelle di Frattese, Turris, Afragolese Sorrento e Campania-Puteolana, tutte compagini dell’area napoletana.
Nella stagione 1994-95, tuttavia, si tolse lo sfizio di allenare il Napoli in serie A, in coppia con il direttore tecnico Vujadin Boškov il quale, essendo sprovvisto del patentino federale, non poteva ricoprire ufficialmente il ruolo di allenatore.

Un coro salace

Oggi Cané vive ancora a Napoli insieme alla sua famiglia partenopea. Lo scorso 21 settembre ha compiuto la bellezza di 85 anni. I tifosi si ricordano sempre di lui, non solo per le sue gesta in campo, ma anche per un salace coro che lo accompagnò per tutta la sua esperienza da professionista: “Didì, Vavà, Pelè, site ‘a uallera ‘e Cané!
Chissà cosa avrebbe detto ‘O Rey se avesse saputo che a Napoli lo consideravano inferiore a una determinata parte anatomica di Cané. Conoscendolo per persona molto intelligente, ne avrebbe sicuramente riso. Così come adesso staranno ridendo tutti i partenoparlanti…

Davide Zingone Napoletano classe ‘73, vive a Roma dove dirige l’agenzia letteraria Babylon Café. Laureato con lode in Lingue e Letterature Straniere e in Scienze Turistiche, parla correntemente sei lingue. È autore della raccolta di racconti umoristici "Storie di ordinaria Kazzimma", Echos Edizioni, 2021; del saggio “Si ‘sta voce…”, Storie, curiosità e aneddoti sulle più famose canzoni classiche napoletane da Michelemmà a Malafemmena, Tabula Fati, 2022; e di “Tre saggi sull’Esperanto”, Echos Edizioni, 2022.

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