Questa volta la storia che vi voglio raccontare non sarà bella, non vi strapperà nessun sorriso e nemmeno compassione perché è storia di falsa gloria e di rovinose cadute dalle quali Tiberio Mitri non riuscì mai a rialzarsi.
Sono passati già venti anni.
Era il 12 febbraio del 2001 quando, alle 6 e 40, lo trovarono diviso in due dalle parti di Porta Maggiore, investito da un treno mentre camminava sui binari.
Per riconoscerlo hanno dovuto guardare i documenti, mezzi stracciati anche quelli, proprio come lui.
Tiberio Mitri era di Trieste, bello e statuario.
Dissero che volle suicidarsi perché non ce la faceva più a vivere e che non aveva più soldi nemmeno per mangiare.
Non era vero! Tiberio aveva una pensione e anche se aveva dissipato il suo patrimonio per le mille avventure e traversie che la vita gli aveva riservato, aveva ancora un conto in banca.
Su quei binari ce lo aveva portato forse la malattia che negli ultimi anni lo aveva appannato o forse fu la sua scelta ultima e disperata di ribellarsi a quella vita, anonima anche per sé stesso, per quello che era stato e di cui aveva sempre meno memoria.
Memoria di lui che invece, a me e al mio amico Franco Pulicati che lo abbiamo conosciuto, è rimasta viva e intatta, proprio come la foto con dedica che Tiberio diede a Franco in ricordo dei vecchi tempi.
Una foto che oggi, a distanza di anni, ha il sapore del pegno di una vita.
Tiberio Mitri era di Trieste, bello e statuario.
Una vita difficile fin dall’inizio la sua, una vita da cui non solo imparò sulla sua pelle a difendersi, ma anche ad attaccare tirando di boxe sotto gli occhi di maestri che capirono subito il talento che si portava dentro.
Erano quelli gli anni in cui i pugili erano più famosi e ricchi dei calciatori di serie A di oggi.
Il talento di Tiberio trovò presto la sua strada e agli organizzatori degli incontri non parve vero avere tra le mani un personaggio così.
Tiberio Mitri non li deluse; bruciò le tappe e arrivò velocemente al Titolo Italiano dei Medi e poi a due Titoli Europei.
Tiberio Mitri era di Trieste, bello e statuario.
Diventa presto un simbolo e avrà una vita che non avrebbe mai immaginato di vivere.
Sposa un’attrice bella e famosa, già Miss Italia nel 1948, Fulvia Franco, è un matrimonio da favola con un bagno di folla e ben quattordici donne svenute per applaudire gli sposi, come ci informa il Cinegiornale Luce.
Si separerà dopo pochi anni, ma nel frattempo la storia animerà cronache e gossip.
Tiberio Mitri era un personaggio perfetto, aveva tutte le caratteristiche per essere un divo da rotocalco oltre che da ring e quando lo portarono nella Grande Città, a Roma, ne diventò subito un idolo, con scene che oggi non potete neanche immaginare.
Trieste vs. Bronx
Qualcuno pensò che per lui fosse arrivato il momento di osare.
Fu così che decidono di fargli fare il grande passo e gli organizzano il match del secolo. Così pubblicizzarono l’incontro tra lui e Jack La Motta, il Toro Scatenato del Bronx.
Tiberio aveva solo 24 anni.
Riflettori accesi, interviste, giornali, applausi, ma quello era un match che non si sarebbe mai dovuto fare perché Tiberio per quell’incontro non era pronto, troppo grande la differenza tra lui e Jack La Motta.
Ma al di là di tutto, al di là della parte sportiva, Tiberio poi ci raccontò che aveva perso già prima di salire sul ring, ma per tutti altri motivi.
Anche Fulvia Franco si lasciò trascinare in quel vortice pubblicitario. La moglie bellissima del pugile bello e famoso che sfidava quello che già allora era un mito del pugilato, era un soggetto troppo ghiotto per la stampa e lei, abituata a stare sotto i riflettori del cinema, ci mise del suo con interviste e fotoservizi dove esibiva la sua bellezza con generosità.
Tiberio Mitri, icona plastica del campione ideale, era fatto per combattere sul ring ma, gelosissimo, non era pronto per questo.
Litigarono i due e anche tanto.
Tanto al punto da fare pace la notte prima del match.
Una pace che durò tutta la notte.
Il 12 luglio 1950, al Madison Square Garden di New York, Tiberio Mitri è un monumento nel finire in piedi le quindici riprese contro Jack La Motta, ma le finisce distrutto. Probabilmente molto di più quanto non si vede.
Dopo non sarà più quello di prima.
Combatte ancora; i risultati alterni, ma lui è la Tigre di Trieste e aspetta solo il momento giusto per tornare alla grande.
E il momento arriva.
Roma, 2 maggio 1954, stadio Torino.
Informalmente al tempo si chiamava così quello che oggi è lo stadio Flaminio e che incredibilmente sembra abbandonato a sé stesso.
Quel giorno gli spalti sono gremiti, migliaia di persone sono lì solo per lui.
Dopo 1 minuto e 5 secondi il gancio sinistro di Tiberio Mitri manda al tappeto Randolph Turpin e lo fa diventare Campione europeo pesi medi.
Una bella vittoria, ma anche un canto del cigno.
Tiberio Mitri rimarrà sul ring per altri tre anni.
Nel 1957 con 101 incontri, 88 vittorie e 6 sconfitte, smette di combattere e la sua vita diventa altra.
Tiberio Mitri era di Trieste, bello e statuario.
All’industria dell’immaginario non poteva sfuggire.
Arriva a Roma nel 1951 e subito Cinecittà lo adotta tra i suoi figli. Il suo primo film, I tre corsari, è infatti del 1952.
È così che Tiberio alterna il ring con i set e quando smetterà di combattere il cinema diventerà la sua seconda opportunità.
In tutto girerà 17 film, la sua vita cambia, ma entra in un giro di alcool e droga.
La vita che aveva sconfitto a pugni, piano piano se lo riprende.
Non ne uscirà più.
Tiberio Mitri era di Trieste, bello e statuario.
Scrisse anche un libro Una botta in testa nel quale ci avvisò che tutto quello che costruiamo nella vita può andare distrutto in 10 secondi.
Lui Campione come pochi, l’ha imparato sulla sua pelle.
Si sposerà altre due volte, avrà due figli dal destino tragico; Alessandro morto per overdose e Tiberia, morta di AIDS.
Una vita da ring, una vita da rotocalco, una vita bella e dannata, una vita tragica nel senso greco del termine.
Una vita che Tiberio Mitri di Trieste, bello e statuario, guarda in faccia anche quando non gli perdona nulla.
Una vita che guarda in faccia fino alla fine, fino a quando la sfida per l’ultima volta su quei binari.
È lì che paga il conto e la vita se lo riprende.