8 marzo cento anni. Classe di ferro 1924. Grande, irregolare Walter Chiari. Una vita di amore, amarezze ed accelerazioni che può essere raccontata da tanti angoli, tutti da smussare. Il più naturale e giusto parla dell’uomo di spettacolo. Numero uno della commedia, del varietà, solo la simpatia più forte del suo talento.
Spettacolo, guerra e boxe
Lo spettacolo, nelle sue diverse accezioni, l’ipotenusa. I due cateti, la guerra e la boxe. Penso ai vent’anni del mio papà, addestramento a Varese e poi Gorizia. Walter, coetaneo, addestramento a Francoforte sul Meno poi Thionville sulla Mosa alla frontiera tra Francia e Belgio. Ogni storia un destino. Il rientro è gambe in spalle, testa alta, cuore in gola. Chi attraversa i campi verso Milano, chi i boschi della Svizzera. Andò bene, ma le ferite non andranno più via, lo so dal silenzio, dai racconti mai condivisi.
Ma di Walter Chiari pugile si può parlare.
Peso piuma, sotto le 126 libbre che sono kg. 57, 153. Lo smilzo ci sta come soprannome se sei più di 1.80cm con un allungo niente male. Campione regionale lombardo per la categoria novizi, quindici anni o poco più. Gli avversari rendono sempre dieci, quindici centimetri, lui balla tra le corde, non lo prendi mai, è una farfalla, non fa malissimo, anzi ha quasi paura di far male, ma la stoffa non si intravede, c’è.
Walter già legge Mark Twain che scrive delle riunioni al Madison Square Garden. Walter legge Jack London, pugile amatore, ed i suoi racconti londinesi sull’arte nobile e legge anche Bernard Shaw e della sua amicizia con Gene Tunney, il massimo rivale di Dempsey. Legge Walter, legge, prende ed apprende.
La boxe quasi mai porta la gloria, ma spiega in fretta la vita
Portare il pane a casa, giocarsi tutto, le false certezze della vittoria e della sconfitta, non essere mai pronti, la lealtà. Walter suda in palestra e suda di più a casa dove c’è il vero avversario, imbattibile. Papà non ne vuole sapere. Walter si allena e combatte all’insaputa fino a quando il suo nome non arriva sul giornale. Carmelo Annicchiarico non aspetta il gong, piazza una gragnuola di ceffoni sul ragazzino che schiva, ma chiude con un occhio pesto. Non c’è modo di convincerlo, ci prova Libero Cecchi che è il suo allenatore, non l’ultimo arrivato, sarà il manager di Mario D’Agata. “Walter diventerà un campione, deve solo essere più cattivo“. Non basta, Walter svuota l’armadietto, butta le fasce, farà altro.
Oltre il ring
Di boxe Walter continuerà a parlare, il modo migliore di tirare a far tardi con gli amici, continuerà a seguire le grandi riunioni, i grandi campioni italiani di cui sarà spesso amico, Duilio Loi su tutti, ma anche Sandro Mazzinghi. Come quella notte di luglio ’61 allo stadio Flaminio, 25.000 paganti e tutto esaurito, il nostro Raimondo “Ray” Nobile, siciliano trapiantato a Bologna, contro l’inglese Dave Charnley per l’europeo dei leggeri. Ray torna a Roma dopo la sconfitta di cinque mesi prima con l’americano Moore, l’unica tra 28 vittorie e due pari, è al suo primo assalto alla cintura continentale. Walter è a bordo ring a sostenere il nostro, ma il match volge a favore del britannico detentore sin dalle prime scaramucce. Colpi durissimi, Ray passivo ed incapace di sfuggire ad una punizione severa, calvario. Verso l’epilogo del terzo round, la spugna vola sul ring per accorciare l’agonia. KOT. L’angolo di Ray non capisce, non sono stati loro a gettare l’asciugamano, si voltano interdetti verso le prime file del pubblico, mentre Ray guadagna a fatica lo sgabello. Cosa è accaduto? È stato Walter a lanciare la sua giacca, indignato e preoccupato per la salute del ragazzo. L’incontro finisce lì, al gong del quarto round Ray scuote la testa e si arrende per davvero.
Walter era sempre Walter
I comici, nella vita reale noiosi. Gli incendiari che diventano pompieri. Indiana Jones che te lo ritrovi in pantofole. Niente di tutto ciò con lui, Walter era sempre Walter, nella buona e nella cattiva sorte fino all’ultimo giorno.
Hemingway, a Cuba, non credeva al suo passato di pugile e rischiò di finire lungo sul pavimento della cucina. Al cinema è Walter Martini per una pellicola “Era lei che lo voleva” non memorabile. È un peso medio, “Dinamite”, che si prende l’europeo e soprattutto il cuore di Nausicaa (Lucia Bosè) che studia l’effetto di una sconfitta nella testa di un boxeur. Walter trascina sul set i pugili di un’epoca magica, anni cinquanta, anni di programmazione, passione pura, grandi amori, eravamo l’America. Ci sono Leone Javovacci, er nero de Roma, Enzo Fiermonti, Aldo Spoldi, Egisto Peyre, Carlo Orlandi, Tiberio Mitri sparring di lusso.
Siamo fatti così
E poi che dire di quella volta che arrivò tardi al funerale di un vecchio amico pugile, lo salutò con una breve orazione per scoprire poi che il caro estinto non era un pugile, semplicemente perché non era il suo amico, anzi aveva proprio sbagliato chiesa.
Tanto di più ci sarebbe da ricordare, siamo pieni di segni della sua presenza non solo dietro ad una telecamera e sul palcoscenico. L’Orizzonte, Radio Fante, Coltano, le più belle sono le sconfitte sottolineate dall’oblio quando i riflettori si smorzano. Siamo fatti così. Non lo ricordiamo per i cento anni, lo ricordiamo perché ci fa star bene, esempio meraviglioso della grande generazione. Perché ci hai fatto ridere, ci hai sedotto, perché sei stato il ragazzo della via bluff, perché ci hai ricordato di osare sempre.