Tengo un amigo muy bravo.
Se lo dice Mumo Orsi, che aveva letteralmente stregato Edoardo Agnelli alle Olimpiadi di Amsterdam, ci si può credere. Mumo è l’ala sinistra albiceleste che si ferma ad un passo dall’oro, ma strappa un contratto da sogno ai padroni della squadra con due scudetti in bacheca nei primi trent’anni di storia: 100.000 lire di ingaggio, 8.000 al mese di stipendio, una FIAT 509 con autista e una villa in collina.
“L’amigo muy bravo” è Renato Cesarini.
“Questo giocatore può fare la fortuna del nostro club” dice Mumo, la Juve si fida e chiude con il ventitreenne del barrio Palermo di Buenos Aires per la bellezza di 40.000 lire di ingaggio, 4.000 al mese più qualche premio qua e là.
Della Zona Cesarini ancora nessuno può immaginare nulla.
Renato Cesarini
Strana la vita, Renato Cesarini è nato nel nostro Paese. Ha nove mesi, gennaio 1907, quando lascia Senigallia per imbarcarsi a Genova sul bastimento Mendoza, zeppo di italiani affamati di pane e futuro da azzannare nella terra promessa d’Argentina. Nella culla di legno, nessun giocattolo, solo un rosario ed uno spicchio d’aglio. La prima casa sono quattro mura umide dove il papà ciabattino lavora sodo e la mamma si sgola per convincere Renato a rientrare dopo una giornata di calci alla palla per strada. Il ragazzino ha le due qualità che – per me, sono di parte – sono le più importanti (va bene, diciamo tra le più importanti) nella vita: saper (far) ridere e saper giocare a pallone.
El Tano per i suoi amici prima e per tutti poi è davvero il numero uno: a quindici anni gioca nella squadra di borgata, a diciotto l’esordio in prima divisione, a venti la nazionale, tre anni dopo la firma per l’incredibile viaggio di ritorno verso l’Italia.
L’uomo delle cravatte
La Juve non sa ancora che quel ragazzo che sbarca significativamente proprio a Genova – impeccabile giacca e cravatta rosa carico, sciarpa di seta, gemelli d’oro, borsalino e valigia si dice piena solo di altre cravatte – sarà uno dei grandi protagonisti del quinquennio d’oro.
Bravo Mumo hai visto bene
L’impatto è straordinario, “bravo Mumo hai visto bene”. Altrettanto elegante con le scarpe bullonate, la mezzala sinistra non fa rimpiangere Cevenini III, 10 reti nelle prime sedici partite. Alla fine del periodo magico i numeri dicono 147 partite e 53 reti. Nel 1932 è suo il primato delle marcature nella Coppa dell’Europa Centrale che sfugge alla Juve solo per la squalifica in semifinale dopo che i tifosi ne avevano combinate di tutti i colori per reagire al gioco esageratamente ostruzionistico dei cechi dello Slavia Praga.
Oltre gli schemi. Sempre
Simpatia contagiosa, generosità senza limiti, il colpo di testa è il pezzo forte del repertorio in campo, qualcuno dice anche fuori. In effetti Renato Cesarini non è irreprensibile, fuma un pacchetto di siga al giorno, apre una tangheria proprio sopra il bar Combi e dice che non c’è modo migliore di migliorare l’italiano che frequentare quelle case un po’ così, quelle come le difese avversarie che si parano davanti alla schiacciasassi di Carcano. La Juve lo coccola, ma qualche multa fiocca e lui, senza battere ciglio, paga e risponde sul campo. Altri tempi ed altra Torino, il personaggio è eccentrico ma vive sereno. Si racconta, ma ci si ride su, di quando acquista un pappagallo ed una scimmietta da un senzacasa per aiutarlo a sbarcare il lunario. Il pennuto dura poco, dopo le minacce dei vicini esausti di ascoltare notte e giorno il ritornello di “Tripoli, bel suol d’amore”. La scimmia regge più a lungo e lo accompagna spesso nelle passeggiate sotto i portici.
Con Vittorio Pozzo
Il talento spacca e non può sfuggire al mister Vittorio Pozzo già al lavoro per l’appuntamento con la storia. Aggrega Cesarini alla trasferta in terra basca per affidargli un compito arduo, seguire a uomo Cirri, mediano e uomo guida della Spagna. La marcatura di Cesarini è asfissiante, su ogni palla e su ogni contrasto senza respiro, a quindici dalla fine Cirri molla e guadagna la via degli spogliatoi, letteralmente esausto. E Cesarini che fa? Lo segue [“perche’ una guardia rispetta la consegna fino alla fine”] tra lo stupore di tutti, anzi il mister non la prende bene per niente. Peccato, non sarà mai amore tra Il Ce’ e la maglia azzurra, senza drammi o polemiche, resterà fuori dalla rosa di Roma ’34.
Nasce il mito
Non importa, nella leggenda Renato Cesarini c’entra lo stesso e sempre dalla porta principale, otto mesi dopo dalla partita a reti bianche con le furie. Al Filadelfia per la quarta giornata della Coppa Internazionale, l’Italia incontra la fortissima Ungheria. Andiamo avanti due volte, ci riprende Avar due volte. L’ultima azione nel racconto del nostro protagonista: “Credo che tutti aspettavano il triplice fischio dello svizzero Mercet, portavo palla ma Kocsis era un terzino davvero bravo a chiudere. Trovai l’ala della Roma, Costantino, sulla mia strada ed invece di evitarlo, ci finii contro, spalla contro spalla, sbilanciando sia lui che il mio avversario. A quel punto, tra passare ad Orsi che sopraggiungeva e provare un tiro difficile, scelsi quest’ultima soluzione. Ujvari ci arrivò con le due mani, ma senza trattenere e la palla finì oltre la linea bianca”.
44′ e 52″
3-2 per l’Italia, il cronometro segna 44′ e 52″. Nasce il mito della “Zona Cesarini“. Rafforzato da altre quattro reti, due prima e due dopo quel fatidico giorno di Santa Lucia del 1931. In nazionale, Cesarini marca il pari al minuto 85 del confronto di Berna con i rossocrociati e con la Juve il 3-0 di campionato al 90′ con l’Alessandria. Dopo l’Ungheria, arrivano le reti con la Lazio ed il Genoa, vittorie larghe con i suoi goal segnati nelle battute finali.
La Zona Cesarini
Cinque reti per scrivere una delle fiabe più belle, quelle che non ti stanchi mai di ascoltare. Il suggello è del giornalista Eugenio Danese, sette giorni dopo i magiari, che descrive così il goal dell’interista Visentin contro la Roma: “la rete decisiva è arrivata in piena zona Cesarini”.
La maquina
Dopo la raffica di successi in bianconero, Renato Cesarini torna in Argentina dove diventa simbolo del River milionario prima come giocatore e poi, in modo indelebile, come allenatore. Conferma di essere avanti, la sua innovazione tattica prende il nome de “la maquina”, cinque giocatori offensivi con il primo falso nove della storia, Adolfo Pedernera. La macchina asfalta due titoli nazionali di fila, prima del nuovo richiamo di una signora a cui non si può dire di no. Torna a Torino da allenatore, vive gli anni e le gesta degli Immortali, lancia Giampiero Boniperti. Da tanghero senza pace, di nuovo Argentina e di nuovo River Plate dove è il primo ad intravedere il genio unico di Omar Sivori, El Cabezon che ritrova ancora in bianconero nella sua terza esperienza, stavolta da direttore tecnico, segnata da due scudi ed una coppa Italia. Infine Messico, ancora Argentina, la malattia, il fischio finale.
L’ultimo giro di lancette
La Zona Cesarini, invece e meravigliosamente, non c’ha più lasciato. Ha resistito al nuovo millennio, alla lavagna luminosa che evidenzia quanto tempo di gioco resta, ad un gioco che si fatica a riconoscere. L’espressione anzi è entrata nella nostra lingua per indicare i minuti finali, di recupero e non, di un evento sportivo o di qualsiasi situazione con epilogo in extremis. Renato Cesarini -il Ce’ per Mumo, El Tano per il barrio, l’Italiano per gli argentini – il tempo l’ha fermato per avere il tempo di fare l’ultimo goal. E noi, ancora adesso ed a mani giunte, ci affidiamo a lui per trovare l’urlo liberatorio all’ultimo giro di lancette.
[Renato Cesarini, Senigallia (AN) 11.4.1906 – Buenos Aires, 24.3.1969]