Di Giusto Cerutti sappiamo poche cose.
Piemontese di San Giusto Canavese, nasce nel 1903 e nei suoi 90 anni di vita, per cinque, dal 1927 al 1932 sarà ciclista professionista.
Di lui abbiamo questa foto che lo ritrae al Tour de France del 1928, dove è iscritto nella categoria dei touriste-routiers, qualcosa di analogo agli isolati del Giro d’Italia, ciclisti che correvano senza una squadra ufficiale.
Giusto Cerutti è un ciclista indipendente, uno che correva per sfida, amore e passione, mettendoci del suo. Poco o tanto che fosse.
Sulla sua maglia la scritta Fratelli Cerutti è però ben visibile e questo ci fa immaginare che, almeno in quella occasione, Giusto non fosse del tutto solo.
Aneddoto singolare e inesplorato nelle tracce trovate di lui è che nella lista dei partecipanti il nostro Giusto Cerutti sia indicato di nazionalità francese. Possibile che per qualche suo motivo si fosse naturalizzato, proprio come Maurice Garin, il vincitore del primo Tour, italiano di nascita e francese di adozione.
Gli altri Cerutti
Cercando in rete di Cerutti ciclista ne troviamo altri due.
Francesco nasce a Torino nel 1883, stessa zona di Giusto, ma ben venti anni prima. Non si può escludere che fossero fratelli, ma a quel tempo si diventava padri presto e non si può neanche escludere che la passione per la bicicletta sia stata per Giusto una dote paterna.
Ma ovviamente non possiamo neanche escludere che tra i due non vi fosse altro che semplice omonimia con un cognome ben diffuso da quelle parti e una passione altrettanto diffusa per spingere i pedali su strade oggi improbabili.
Qualche anno dopo troviamo invece Manlio Cerutti, lombardo di Travedona Monate dove nasce nel 1926. Anche lui corre, in gran parte come indipendente, ma tra il 1945 e il 1950. Cognome ricorrente, figlio, parente? Vallo a sapere.
Il Tour del 1928
Giusto Cerutti partecipa al Tour de France del 1928.
Ventidue tappe, 5.377 chilometri, da Parigi a Parigi.
Nelle prime sei tappe Giusto arriva in posizioni da gruppone, tra il cinquantesimo e il novantesimo posto. Al traguardo della sesta tappa, dopo aver corso i 204 chilometri che separano Vannes da Les Sables d’Olonne in poco più di sette ore, è settantacinquesimo.
Poi più nulla.
O meglio, poi con ogni probabilità c’è la foto.
Giusto Cerutti non era un campione.
Era un ciclista abituato a pedalare e a spingere al suo meglio dando fiato e gambe per quanto ne aveva. Tanto basta.
Alla storia Giusto Cerutti non passa per vittorie e trofei, ma per questa fotografia.
Nota alla rete è possibile che l’abbiate già vista, ma questa volta provate a leggerla bene. Questa foto fa respirare ciclismo, polvere, crampi e sudore.
La foto, questa foto, vale più di una vittoria, forse anche più di tante vittorie.
L’estetica della caduta
La caduta di Giusto Cerutti deve essere stata rovinosa, con ogni probabilità non su quella stessa strada bianca che ora percorre a piedi. Lo stato della bicicletta fa pensare a una discesa impazzita, a un fosso, a un dirupo, a uno scontro.
La ruota davanti è saltata, il cerchione spezzato non è abbandonato al suo destino, ma portato con sé stretto nella mano come se fosse l’anima da cui è impossibile separarsi, come un ferito che non si lascia indietro. Attorno al collo la camera d’aria, la bicicletta è a spalla, distrutta, ma da esibire e amare come il trofeo più prezioso.
La gamba destra fasciata è il segno visibile del corpo offeso nella caduta, ma non è l’unico. Ormai incrostato di polvere e di sole di giugno, sulla gamba sinistra si vede un rivolo di sangue rappreso che da sotto i pantaloncini si allunga sin quasi alla caviglia.
Il pegno pagato
Non è felice Giusto Cerutti.
Sono occhi induriti quelli che guardano il fotografo, sul viso il sorriso è spento, le labbra sono serrate, i sogni acciaccati, la fatica è muta, ma è tutta in quella maglia sporca e nelle sue maniche arrotolate.
Partiti da Parigi in 162 il 17 giugno, dopo 5.377 chilometri percorsi alla media di 27,866 km/h, il 15 luglio torneranno a Parigi solo in 41.
Tra di loro non c’è Giusto Cerutti, il suo Tour è finito da tempo.
Lui ha pagato pegno e ha consegnato al Dio del pedale una bicicletta sconquassata.
L’unica che aveva, quella che gli ha fatto tagliare il traguardo del tempo e che lo ha portato sino a noi.
Da indipendente e da vincitore.
A Giusto Cerutti, ovunque sia.