Finisce. Hai vinto, hai perso, hai segnato di tacco, hai fatto autogol, non importa: ora sei in fila di fronte alla fontanella.
Uno dietro di te dice: “Oh, nun t’attaccà” e un altro “Oh rega quanno se rivedemo per la prossima?”.
Qualche “boh, vediamo” timido.
Chi lo sa. Ci sono anni in cui ognuno pensa che il tempo sia infinito.
Nessuno pensa che sia l’ultima.
O forse qualcuno c’è…perché solo il campetto lo sa.
Via Lemonia
Proprio come il campetto di via Lemonia a Roma, zona Tuscolana, a ridosso del Parco degli Acquedotti. Oggi che il campetto è scomparso, la zona si chiama così.
Al tempo della foto, qualcosa in più degli anni cinquanta, uno sterrato tra i palazzi che iniziavano a esser tirati su e le baracche abbarbicate lungo l’acquedotto Felice.
La memoria del campetto
Lui, il campetto che ha visto passare generazioni di ragazzi e li ha sempre accolti a braccia aperte.
Lui sì che ne ha visti di palloni.
Lui sì che ha visto tante maglie sudate e sporche, tante scarpe rovinarsi, tante ginocchia sbucciarsi.
Poi, alla fine, si torna a casa, chi in bicicletta, chi in motorino. Per qualcuno c’è la sorpresa della ragazza fuori dal campetto che lo aspetta per accompagnarlo. Già lo sai che lui farà un po’ tardi per la cena. Mica puoi andare a casa senza averle dato neanche un bacio, magari anche due.
Poi un giorno non vi troverete più tu e la tua compagnia in quel posto.
E ogni volta che vi capiterà di passare in macchina vicino a un campetto con le porte senza reti e con dei ragazzini che giocano, voi, con le vostre responsabilità, il vostro lavoro, i vostri mille pensieri, vi fermerete.
Vi scapperà un sorriso e ricorderete tutto come fosse non ieri, ma questa mattina.
Vi scapperà anche un sospiro.
A Roma lo chiamiamo magone.
Non so come potrei tradurlo in italiano, perché il magone è qualcosa in più della commozione.
Sono sicuro però che abbiate capito cosa sia.