Cominciai ad appassionarmi e conseguentemente ad impegnarmi nelle attività sportive sin da ragazzino, probabilmente inseguendo il ginnasiale insegnamento, tratto dalle Satire di Giovenale, mens sana in corpore sano.
Ma ancor prima, da bambino, era nato il mio amore per il mare, come credo possa essere accaduto ad ogni bambino del mondo; amore che crebbe poi negli anni successivi con le regate veliche. Proprio durante quelle regate, mentre mi spostavo sulla tuga delle imbarcazioni aggiustando le vele alla ricerca del vento migliore, mi ritrovai spesso a fissare sotto di me il “blu” su cui lo scafo filava. E quel “blu” continuò col tempo ad attrarmi sempre maggiormente, così la mia passione passò da sopra il mare a sotto il mare, cominciando così a conoscere la subacquea, un impegno che mi offrì l’opportunità ancor oggi che ho i capelli bianchi, di poter esplorare il “sesto continente”. Uno sport che coniuga l’impegno psicofisico attitudinale con una voglia di conoscenza di un mondo vastissimo dove noi, esseri umani, possiamo essere solamente ospiti di passaggio. Barriere coralline, relitti, biologia marina, i tanti misteri del mondo sommerso avevano facilmente catturato il mio desiderio di conoscenza, dunque per anni scelsi come meta dei miei viaggi i mari più belli del mondo.
Mi resi conto sin dalle mie prime immersioni che scendere nel blu richiedeva conoscenze ed esperienze per me inusuali e dunque oltre allo studio della didattica, mi rivolsi a capaci istruttori per formarmi in questa mia nuova passione, così passo dopo passo o forse sarebbe più corretto scrivere: brevetto dopo brevetto, cominciai a scoprire le meraviglie dei fondali marini.
Andare sott’acqua è sicuramente una piacevole esperienza, lo slogan promozionale di una delle scuole di preparazione più note nel mondo della subacquea è, appunto: “dive is fun”, ma per scendere in sicurezza bisogna essere adeguatamente preparati, soprattutto tenendo ben presente le differenze tra le immersioni ricreative e quelle tecniche. Tra le immersioni di specialità, desidero ricordarne solo alcune: profonda o deep dive, notturna o night dive, ed in particolare vorrei ricordarne una a cui mi lega un aneddoto personale, l’immersione in corrente o drift dive.
Maldive, atollo di Ari, dall’isola di Maafushivaru ci spostammo con il classico dhoni, la barca che solitamente viene usata dai maldiviani per portare i subacquei sui siti d’immersione, verso una pass oceanica, appunto uno di quei passaggi che mettono in comunicazione le acque generalmente più riparate degli atolli con la forza del mare aperto. Il dhoni ci lasciò all’imbocco della pass, lo avremmo ritrovato successivamente all’interno della barriera dove saremmo arrivati portati dalla forte corrente, provando la sensazione di volare pur trovandoci ad una ventina di metri di profondità.
Entrammo in acqua con il consueto passo del gigante e scendemmo sul fondo per raggrupparci; in totale eravamo in 7, apriva il gruppo un dive master, la guida subacquea che tracciava la rotta per il gruppo, in mezzo io ed altri 4 corsisti ed ultimo il nostro istruttore che avrebbe dovuto valutare come ce la saremmo cavata nelle varie prove di specialità previste per ottenere il brevetto advanced. Inoltre ove fosse accaduto qualche imprevisto, l’istructor sarebbe potuto andare in soccorso di chi tra noi subacquei alle prime esperienze si fosse trovato in difficoltà.
A quel punto entrammo uno alla volta nel flusso più forte della corrente, e cominciammo a correre sospinti dalla velocità delle acque. Gli imprevisti sott’acqua possono essere molteplici, una maschera che si riempie d’acqua, il cinghiolo di una pinna che si sgancia, un eccessivo consumo di aria…quel giorno di imprevisti ne avemmo cinque ed arrivarono tutti assieme, infatti ci vennero incontro cinque squali pinna bianca che forti della loro capacità natatoria, risalivano la pass per andare in cerca di cibo in mare aperto.
Di norma i pinna bianca non attaccano i subacquei, ma sicuramente non saprei come avrebbero reagito se noi portati dalla corrente, fossimo andati ad urtarli. Il nostro dive master si rese immediatamente conto del pericolo e ci segnalò di scendere sul fondo sgonfiando completamente i GAV, i giubbotti ad altezza variabile che oramai tutti i subacquei indossano per gestire al meglio un’immersione, ci fece comprendere a gesti, esistono infatti degli specifici segni per comunicare sott’acqua, come aggrapparci sul fondo dando così modo ai “pinna bianca” di passarci sopra la testa. Quel punto della pass era particolarmente stretto e sul fondo lo spazio per noi tutti era limitato, dunque io non riuscii a trovare un posto accanto ai miei compagni d’immersione, così non mi rimase altro che accostarmi il più possibile alla barriera tenendomi ad un corallo per non farmi trascinare dalla corrente che mi avrebbe portato, con grande probabilità contro uno degli squali. La decisione del dive master si rivelò tanto prudente quanto corretta, gli squali sfilarono sopra di noi pur vicinissimi, potemmo così terminare l’immersione soddisfatti, oltre della prova in corrente, soprattutto di quell’incontro particolarmente ravvicinato, con i “pinna bianca” che per me furono i primi squali della mia allora iniziale attività da diver.
Più tardi al rientro al resort commentando la nostra avventura con gli altri sub, la mia compagna che invece era rimasta a crogiolarsi al sole, mi chiese: “ma non hai avuto paura?” In quel momento non le risposi, ma solo più tardi nel bungalow avendo difficoltà a prendere sonno, lei mi chiese nuovamente se non avessi avuto paura nei momenti in cui gli squali ci erano passati accanto, io le dissi: “certo che ho avuto paura, infatti stavo pensando a cosa sarebbe potuto succedere se il corallo che mi aveva consentito di non essere trascinato via dalla corrente si fosse spezzato”!
Sono oramai passati tanti anni e soprattutto tante immersioni, ma anche oggi che anch’io sono diventato un dive master, quella scena con gli squali che ci passarono sopra le nostre teste la rivedo come allora, ed ancora sento l’adrenalina che in quella pass accese le mie emozioni.