Mi piace correre. Senza una meta, senza una destinazione, senza un obiettivo: corro fin che posso e soprattutto finchè riesco.
Quando mi capita di parlarne con qualcuno, la prima domanda che mi viene fatta è sicuramente: “perché?”. Ne seguono poi, certamente, tante altre, ma questa è quella più inutile, nonché la più frequente.
Perché corro? mi piace: immagino non esista risposta più facile e banale.
La domanda che usualmente segue? Ancora più scontata della precedente: “Come fa a piacerti?”. Mi risulta sempre difficile rispondere; avrei tante cose da dire, ma la gente non ha tempo di ascoltare mezz’ora di spiegazioni, si aspetta una risposta rapida e coincisa.
Oggi invece elencherò i motivi, sperando che i “veri” interessati li ascoltino con piacere.
Mi piace correre perché mi fa sentire viva. Con il termine viva non intendo, ovviamente, non morta, bensì piena. Vi starete giustamente chiedendo “piena di cosa? acido lattico?”. Emozioni, sensazioni, ma anche quello non manca.
Sono una ragazza che ha sempre vissuto agli estremi; fino a qualche anno fa non accettavo la via di mezzo, avevo bisogno di provare emozioni forti, belle o brutte, era indifferente. Mi ripetevo continuamente: “o tutto bianco o tutto nero”. Preferivo provare un forte dolore, piuttosto che trovarmi in un limbo di sensazioni quasi impercettibili.
Mio nonno mi ripeteva continuamente che avrei raggiunto una stabilità emotiva nel momento in cui sarei riuscita a vivere la mia vita in scala di grigi e devo dire che, poco a poco, sto imparando a seguire il suo consiglio. Aveva ragione lui, senza dubbio. Ora che accetto la via di mezzo vivo più tranquillamente, sono serena e riesco a osservare le situazioni che mi circondano in maniera più obiettiva. I miei rapporti interpersonali sono più solidi e le difficoltà non mi paralizzano.
Eppure il mio limite non è sparito. Ho solo trovato un modo alternativo di perseguirlo.
La premessa era indispensabile per farvi comprendere quanto la corsa sia importante per me. Detto ciò, veniamo a noi.
Come ho precisato in precedenza, la corsa mi fa sentire piena. Riesce a farmi provare tutte quelle emozioni forti, cui ho dovuto rinunciare nella mia quotidianità.
Potrei partire dall’estremo negativo: il nero. Provo dolore, fisico ovviamente. Dolore alle gambe, quando arrivo al decimo chilometro; dolore alla testa, quando l’aria fredda in inverno mi taglia la fronte; dolore alla schiena, quando supero una certa velocità. Poi c’è la fatica: quando in estate, con 40 gradi e un sole pieno, ti sembra di portare sulle spalle un carico da 100 chili o quando l’acido lattico accumulato nelle corse precedenti ti fa rimpiangere di aver messo piede fuori casa.
Tutta la rabbia, lo stress, la tristezza, si volatilizzano dopo una buona corsa.
Tuttavia, come afferma anche il grande Eraclito, fortunatamente in questo caso, non può esistere alcun nero senza il bianco. E così mi ritrovo a stilare la lista delle emozioni positive, indubbiamente più lunga della precedente, almeno nel mio caso.
Voglio iniziare con la mia preferita, che non è propriamente un’emozione, ma piuttosto una sensazione: l’adrenalina. Quando inizio a correre, sento un brivido che mi attraversa la schiena, come fosse una scarica elettrica. Sono consapevole che quello è il mio momento di libertà, la vera libertà. So che molti avranno da ridire su quest’ultima affermazione, ma siamo sinceri, in quale altro momento di lucidità possiamo dire di poter essere slegati da qualsiasi vincolo se non quando facciamo qualcosa che ci fa provare adrenalina?
Non posso poi non introdurre nella lista l’allegria. L’allegria di quando esci di primo pomeriggio e nel correre incontri i bambini appena usciti da scuola, felicissimi o quando attraversi un parco per cani e ti ritrovi inseguito da uno di loro che ti chiede di giocare o addirittura quando incroci gli sguardi dei passanti e, per magia oserei dire, vista la scarsa frequenza con cui accade, ti sorridono e ti salutano. C’è anche il divertimento, per quanto difficile da credere: quando sei a metà percorso, scoppia a piovere e ti ritrovi a ridere da solo sulle tue precarie condizioni o quando incroci lo sguardo di un altro corridore e, entrambi stremati, vi lanciate occhiate umoristiche di intesa e comprensione.
Poi c’è il sole, il cinguettio degli uccelli, il rumore del vento: mi scaldano il cuore.
Potrei continuare a scrivere all’infinito, ma penso di aver reso a pieno il concetto. O almeno spero di averlo fatto.
È una sorta di valvola di sfogo alternativa, come tutto ciò che ci piace fare d’altronde. La vostra qual è?