In un mondo prettamente maschile, quello del tennis degli anni 60 e 70, essere una donna non è poi così facile.
Nel caso lo avessimo dimenicato, lo racconta bene un film del 2017, La Battaglia dei sessi, narrazione cinematografica di una storia vera
Nel turbinio che annuncia il ’68, Billie Jean King è la numero uno nel ranking e per anni a seguire rimarrà ai vertici del tennis mondiale.
Billie Jean King vince Slam e Tornei, ma intorno a lei respira sempre lo scetticismo maschile di quelli che la vedono sì brava, ma anche incapace, in quanto donna, di sostenere stress e tensioni di gara come invece sanno fare gli uomini.
Insomma, al di là dei risultati nel suo caso innegabili, in una società che interpreta il gesto sportivo come prettamente muscolare, una donna è vista fisiologicamente sempre un gradino sotto rispetto a uomo.
Una vecchia storia quella dello sport inteso come territorio maschile.
Ne sanno qualcosa donne come Alice Milliat, alla quale dobbiamo lo sdoganamento definitivo della partecipazione olimpica femminile, e Kathrine Switzer che il 19 aprile 1967, a Boston, infrange il tabù della partecipazione femminile alla maratona più antica del mondo.
I pregiudizi maschili di vecchia maniera contro i quali Billie Jean King si scontra non sono però solo morali e teorici, ma trovano concreta declinazione nell’esiguità dei premi femminili rispetto a quelli maschili.
Billie Jean King di questa rivendicazione di dignità sportiva ed economica diventa una portabandiera, critica fortemente la United Tennis Association e insieme ad altre tenniste paventa anche la possibilità di organizzare un torneo al femminile scavalcando le organizzazioni ufficiali.
La polemica monta, la stampa se ne appropria e per diverso tempo divide animi e opinione pubblica, sportiva e non.
Il momento zero
Poi arriva il momento zero, ovvero quando tutto diventa show grazie all’entrata in scena di Bobby Riggs, non proprio uno qualunque.
Bobby Riggs è stato un protagonista del tennis degli anni ’30 e ’40, più volte al numero uno del ranking mondiale sia come dilettante che come professionista, tanto che nel 1967 viene inserito nell’International Tennis Hall fo Fame.
Ebbene nel 1973 Bobby Riggs ha 55 anni, ha lasciato il tennis da parecchio, ma è convinto che nessuna donna possa sconfiggerlo sul campo, neanche le migliori al mondo, neanche se di 30 anni più giovani di lui.
Non solo ne è convinto, ma lancia il guanto, vuole dimostrarlo ed è così che nella migliore tradizione americana parte la sfida: 50.000 dollari in palio per la tennista che lo batterà sul campo.
E come poteva essere chiamata lasfida se non la battaglia dei sessi?
In fondo è proprio questo che voleva Riggs che si autodefinisce un maiale sciovinista: grande ribalta e riflettori accesi.
In un primo momento Bobby Riggs chiede a Billie Jean King di essere la sua sfidante, ma lei di questa sfida vede solo l’aspetto pubblicitario, mediatico, non sostanziale e declina, preferisce occuparsi di femminismo concreto e non da copertina.
Allora Riggs sfida Margaret Court, soprannominata The arm, storica rivale di Billie Jean King
Margaret Court accetta. Ha 24 anni meno di lui, nel 1970 ha fatto un Grande Slam, è ai vertici del ranking mondiale, è brava, ma forse sottovaluta l’avversario o l’incontro.
Fatto è che il 10 maggio 1973 la battaglia dei sessi vede Riggs vincere a mani basse: 6-2, 6-1.
Sport Illustrated non perde l’occasione e come ulteriore prova di un tennis a sovranità maschile dedica la copertina a Riggs.
Bobby Riggs è istrionico, eccentrico, veste i panni di attore consumato, coglie il favore delle telecamere che è riuscito a far accendere su di lui e complice anche la sua vena ludopatica, rilancia la sfida: la posta in palio per la tennista che riuscirà a batterlo sul campo passa da 50.000 a 100.000 dollari.
Bobby Riggs non vuole una tennista qualunque
Lui vuole Billie Jean King, proprio lei che l’anno precedente aveva vinto gli US Open incassando un montepremi inferiore di 15.000 dollari a quello riservato al vincitore maschile, Ilie Nastase e che aveva dichiarato ai quattro venti che se il monte premi non fosse stato parificato, l’anno seguente lei non avrebbe giocato.
Questa volta Billie Jean King non si tira indietro e accetta.
Appuntamento al 20 settembre
La sfida è fissata al 20 settembre e la preparazione dell’incontro è già uno show di suo.
Bobby Riggs si allena in costume, al posto di usare la racchetta usa una padella, oppure indossa delle pinne da sub, proprio a sottolineare come sia in grado di giocare a prescindere.
Billie Jean, 26 anni meno di lui, invece si allena con metodo, anima e cuore perché quel 10 settembre sul campo non ci sarà soltanto lei, ma tutte le altre a cui il sogno di essere prese sul serio è sempre sfuggito; lei vuole vincere per tutte loro.
Il grande show del Reliant Astrodome
Il 20 settembre al Reliant Astrodome di Houston in Texas la battaglia dei sessi è un evento mediatico puro, kitschissimo.
Diretta televisiva, pubblico infuocato, Billie Jean entra in campo trasportata su una sedia arricchita di pennacchi colorati mentre Bobby entra su un risciò trainato da ragazze mozzafiato.
Lo scenario è perfetto, Bobby sente la partita in tasca, l’umore è a mille, l’adrenalina anche.
In campo però il film è diverso.
Billie Jean ha studiato bene il suo avversario, sa tutto di lui, ha visto e rivisto le sue partite, sa dove e come tira, sa dove e come farlo sbagliare, sa dove e come attaccarlo.
Il mondo si capovolge, o forse torna al suo ordine naturale.
Billie Jean King vince con un inappellabile 6-4, 6-3,6-3.
Vince e guadagna il premio, ma soprattutto guadagna il rispetto per sé e per tutte le altre tenniste.
Ma attenzione, di Bobby Riggs lei parlerà sempre con affetto, lo considererà sempre un suo grande amico credendo che proprio lui, con la sua istrionica e ironica battaglia dei sessi abbia fatto molto per la pari dignità femminile nel tennis.
Il biopic
Nel 2017 la vicenda di Bobby e Billie Jean trova il suo forse tardivo esito hollywoodiano e il biopic La battaglia dei sessi irrompe sul grande schermo.
Emma Stone e Steve Carell tratteggiano i personaggi con convinzione, giustamente sempre altalenando tra le corde della commedia e quelle della cronaca, restituendo allo spettatore un film godibile che evidenzia i caratteri di ognuno e li inserisce in quello dell’epoca in cui i protagonisti si muovevano.
A tutti gli effetti un film che diverte, ma che lascia spazio anche alla riflessione di quanto sia stato faticoso, e in parte ancora lo sia, affermare i diritti naturali della dignità e del rispetto. In campo e fuori.