In una piovosa giornata estiva, un villeggiante e suo figlio cercano riparo dentro un bar. In un angolo, una bacheca piena di fotografie e ricordi.Non è un bar qualunque quello dove sono capitati e neanche il barista è un barista qualunque.
Il barista è Roberto Tancredi, portiere della Juventus degli anni Settanta.
Parte, così, il racconto di una vita: dall’arrivo a Torino, ancora ragazzo, alla gavetta nelle serie minori; dalla volata scudetto contro il Cagliari di Gigi Riva, all’ultima combattutissima edizione della Coppa delle Fiere, disputata contro Barcellona, Twente e Leeds.
Cinquant’anni di partite, raccontati con caparbio amore, da un uomo coraggioso e di talento, una persona per bene, un uomo come tutti noi: esperienze ed emozioni spese tra vittorie, sconfitte e ingiustizie, tra campo e tribuna dirigenti, incrociando il cammino dei più conosciuti personaggi del mondo del calcio.
È un racconto fluido, veloce e scattante come il protagonista, la cui figura appare tra le pagine in continua evoluzione, mutando tra un capitolo e l’altro insieme al mondo che lo circonda.
La storia di Roberto Tancredi non è solo la parabola di una figura di spicco del calcio italiano degli anni ’70 ma anche quella di un intero paese che muta costumi e cerca sempre nuovi personaggi da eleggere come eroi. Ma in questa interminabile ricerca Roberto Tancredi sembra rimanere legato ancora ai suoi inizi come giovane terzo portiere in attesa della sua grande occasione che, per quanto sembri evitare di mostrare, ha saputo cogliere al massimo delle sue potenzialità.
Lui rimane sempre il giovane ragazzo che con il solito “insopportabile maglioncino bianco indosso” è in grado di portare una nuova visione di normalità in un ambiente che di normale non ha mai avuto nulla, contaminato da quella patina di mondanità e follia che solo lo sport del calcio può permettersi di possedere.
Ed è così che in “Come un’onda che si tuffa sullo scoglio” Roberto Tancredi impara a camminare con giganti come Pelè o Cruyff, mimando il loro passo sempre con lo sguardo verso il futuro.
E dunque Sivori, Cruijff, Zoff; Boniperti, Charlton, Moggi e Donadoni; e ancora Picchi, Anconetani, Chiellini, Herrera, Allegri, Protti e Platini: una palla che rotola e rimbalza su prati verdi, campi in sabbia e terra battuta, con un unico filo conduttore, una sola irrefrenabile pulsione che rasenta la follia, quella di giocare e continuare a farlo, costi quel che costi. Ché non importa quanto amareggiati o entusiasti, determinati o arrendevoli, vecchi o giovani si possa sembrare; giocare è l’unica cosa che conta davvero: perché continuare a farlo significa continuare a vivere, e la vita è tutto quel che resta da poter mettere in gioco.
È proprio questo che Roberto Tancredi, durante il suo lungo parlare, tenta di far comprendere al suo uditorio ma anche al singolo lettore: non importa quante volte ti ritroverai l’avversario davanti, pronto a lanciare una palla impossibile da prendere nella tua rete, ma quante volte sarai pronto a lanciarti “come un’onda che si tuffa sullo scoglio”. Perché questa è la vita: un immenso gioco, un lancio e rilancio di occasioni che ognuno di noi può essere in grado di carpire, basta solo calibrare bene i tempi e, se alla fine di tutto, ci troviamo stanchi non bisogna mai scordarsi che, almeno una volta nella vita, l’intero stadio di Ellan Road, a Leads, ha urlato il nostro nome, facendolo risuonare fino a Casa.
(Come un ‘onda che si tuffa sullo scoglio di Giorgio Bernard, Felici Editore, 234 pagine, 14 €)
L’autore
Giorgio Bernard è nato a Milano nel 1972. Ha trascorso i primi anni della vita professionale tra Italia e Regno Unito, lavorando come sceneggiatore di fumetti e sistemi di gioco narrativi. L’esordio come romanziere è del 2008, con Giovanni Gelati, Diario di un podestà antifascista, edito da Belforte. Nel 2017 pubblica Benedetta e Niccolò, la storia vera di una mamma e del suo bambino, affetto da una grave forma di autismo. Nel 2019 dà alle stampe Sangue di Re, primo capitolo della trilogia I Racconti degli Esterni. Come un’onda sullo scoglio è il suo settimo romanzo.
Per gentile concessione dell’Editore pubblichiamo un estratto di Come un’onda che si tuffa sullo scoglio
“Gli capiterà una volta soltanto, di lì a un anno, quando la Nazionale
allenata da Edmondo Fabbri, intento a rifondarla dopo il disastro
dei Mondiali del Cile, verrà a mettersi alla prova al vecchio
Combi, affrontando i giovani bianconeri. In un pomeriggio
sferzato da una gelida tramontana, Roberto sfodererà
una delle sue prestazioni migliori, immortalata da una istantanea
memorabile: lui in uscita su Rivera, la schiena dritta,
le braccia larghe a chiudere lo specchio della porta; il solito,
insopportabile maglioncino bianco indosso.
Eppure a qualcuno è piaciuto: “Una grandiosa delusione”,
commenterà il famoso cronista della “Gazzetta”, Bardelli:
“l’unica cosa interessante di questa brutta partita è il giovane
portiere bianconero, bello nella sua divisa chiara, come
un’onda che si tuffa sullo scoglio”. Il direttore della “Stampa”,
Paolo Bertoldi, alla fine di quella partita farà recapitare
a Roberto un biglietto scritto di suo pugno: Simpatico lo è,
bravo anche: se si conserva così diventa campione del mondo.
Ai suoi auguri e vivi saluti, Roberto riuscirà a rispondere soltanto
con un «grazie…» imbarazzato, prima di venire inghiottito
dalla calca dei cronisti e dei compagni di squadra”.
“Il suo stinco è gonfio e gibboso come quello di una vecchia
con la gotta, la pelle traslucida, e la caviglia neanche si vede
più, da quanto è tumefatta. Roberto storce la bocca e distoglie
lo sguardo: ricorda ancora bene le infiltrazioni di antidolorifico
che Igor doveva fare per riuscire a scendere in campo,
la piega amara che la sua bocca aveva preso quando erano
riusciti a convincerlo a giocare per un’ultima stagione. Come
dirigente è ancora giovane, però, ha una fulgida carriera davanti
a sé: questa tegola dell’Union Deportiva Eivissa a Igor
non ci voleva proprio.
«Cosa farai adesso?», gli domanda di punto in bianco Roberto,
in un arrochito borbottio.
Quello ricopre la gamba, scrolla le spalle, ma sulle prime
non risponde.
«Voglio dire, io sono vecchio. Ho speso più di cinquant’anni
dentro questa gabbia di matti. Nel mondo del calcio ne
ho viste e fatte di cotte e di crude: posso anche ritirarmi, alla
buon’ora!»
Il vecchio cannoniere ride di gusto, scuote il capo: l’ha capito
al volo che quella che Roberto ha appena detto è una
balla colossale.
«Cosa c’è da ridere?», lo pungola lui.
«Ma niente… Niente, diretùr, davvero!»
«E allora?»
«Allora cosa farò, mi chiede?»
«Sì. Proprio così.»
«Be’, tanto per cominciare, potrei fumarmi un sigaro anch’io,
cosa ne dice?»
Roberto gli lancia il portasigari d’argento e lui afferra la
scatola al volo, la osserva ammirato.
«Che bello!», esclama.
«Lo so», gongola Roberto, «me l’ha regalato Donadoni,
sai? Poco prima di andare via da Livorno.»
«Bello per davvero», ripete Igor, rigirandosi il portasigari
fra le mani.
Sopra al coperchio è stata incisa una frase: Per un amico
vero. Roberto prende altre quattro boccate e poi finisce di
scolarsi la bottiglia, mentre un aereo decolla fischiando, nello
spicchio di vetrata dietro di lui.”