Pietro Mennea, almeno per un paio di generazioni -i nati negli anni ’50 e ’60 di sicuro – è stato molto più di un atleta.
“Ma ‘ndovai co ‘sto fisico!” gli avranno detto tante volte al magro ragazzo di Barletta con lo sguardo malinconico preso in prestito dalla Gioconda.
La cosa che ci ha fatto amare Mennea come un fratello è stata anche la sua totale normalità estetica: 179 centimetri per 68 chili di ossa e muscoli.
Non esattamente i 195 di Bolt per 94 chili senza un filo di grasso.
Ora, tra il 19 e 72 di Città del Messico e il 19 e 19 di Berlino ottenuto dall’atleta con il fisico più spettacolare del secolo, la differenza in fin dei conti è un soffio.
Ecco, vederli insieme che tagliano il traguardo affiancati è un sogno a cui gli appassionati di sport avrebbero voluto assistere.
Il bianco e il nero, il tanto e il poco, il gigante e lo scoiattolo, l’analogico e il digitale, lo spaghetto al pomodoro e l’integratore superproteico, insieme con lo stesso identico tempo.
Solo l’uomo vitruviano di Leonardo, ovvero la perfezione delle forme, poteva sancire la parità tra i due, statue viventi ora parcheggiate nella nostra mente nel garage Colosseo.